venerdì 31 dicembre 2010

Non l'ho mai amata perchè mi dava tristezza. Ora l'ho desiderata, eppure con malinconia la vedo passare. Chiudo oggi il bilancio di un anno della mia vita.
Un dolore profondo, un'ansia incalzante come un'onda che si frange contro il duro scoglio dell'angoscia. E poi l'ansia ancora per una cosa che non vuoi, che temi perchè non la conosci e che non puoi evitare. Sfinita, non opponi più resistenza, ti abbandoni per recuperare le forze ed è un'altra prova. La superi ma ne esci dimezzata, ti ricomponi, di nuovo, lo devi fare e perchè lo vuoi. Altro ti attende. La vita prospetta sempre nuove battaglie interrotte da pause che danno più gusto alla vittoria.
Oggi sono riuscita a pulire e ad affettare un ananas. Mi viene quasi da ridere; per la prima volta ho voluto rischiare e mi sono cimentata in questa lotta con il "frutto corazzato". Fino all'anno scorso mi sentivo inadeguata anche a questo; e come faccio a sbucciarlo così a scaglie, duro com'è, potrei tagliarmi, e poi, le fette così precise... non mi verrebbero mai. In balia di questi dubbi esistenziali rinunciavo all'impresa e anche al piacere di mangiare l'ananas. Più volte, infatti ho detto del senso di inadeguatezza che ha preso gran parte della mia vita, e si può ben immaginare che se mi sentivo non proprio capace  per una cosa tanto semplice, figurarsi che cos'era per me ogni volta affrontare l'approccio dell'ago con le mie vene. E quella mattina altro che approccio sarebbe stato! Marta mi prese il braccio sinistro e cominciò ad osservarlo attentamente, poi prese a rotearlo nel tentativo di scovare una vena decente, ne tastò qualcuna, ma da come stringeva le labbra indispettita capii che nessuna la soddisfaceva. "Marta, qualcosa non va? Non si trova?" E intanto il cuore cominciava a battermi forte. "Insomma... Aspetta! Eccone una proprio bella!" Gli occhi le brillavano ed io non capivo che cosa di bello potesse avere una vena destinata al martirio. Il posto poi, dove era situata era ancora meno bello,la parte destra sottostante il pollice, proprio sull'osso. L'ago trovò la vena ma anche la resistenza dell'osso e per me furono allora tutte le stelle del firmamento e mi fu chiaro perchè Marta prima di cominciare mi aveva detto: "Fai un bel respiro e stringi i denti", lo sapeva anche lei che non era una cosa tanto facile da sopportare. E così anche se a tratti mi mancava il respiro e gli occhi si erano offuscati per le lacrime involontarie, riuscii a reggere quel dolore del tutto inaspettato e il prelievo fu fatto. Tornai quindi ad attendere l'esito degli esami prima dell'infusione sfogliando una rivista e sperando che  venisse smentito il detto" Il buon giorno si vede dal mattino", visto che " il mattino" così come si era presentato non era stato affatto bello.

giovedì 30 dicembre 2010

"Domani vado in ospedale." "Ma cosa ci vai a fare! Invece di dimenticare..." Vado a fare una flebo di supporto per l'anima." Gli ho risposto così, perchè mi è venuto da dentro, perchè per me tornare dove ho pianto ma anche tanto riso per semplici battute, per il gusto di assaporare una serenità che credevo aver perso per sempre, significa prendere una boccata d'aria, sentirmi a mio agio dopo aver metabolizzato completamente tutto ciò che mi è capitato. Lui non mi può capire e come lui nessun altro che non abbia percorso la mia stessa strada. Torno lì e il ricordo ridiventa vivo e invece di sentire male provo tanta tenerezza per me ma non solo, per chi mi è stato vicino e con me ha sofferto, per chi mi ha curato e per coloro che da semplici comparse in una trama di dolore sono diventati coprotagonisti in una storia di speranza. Come Mara, che quella mattina aspettava di fare la flebo di supporto. L'avevo conosciuta durante il ricovero e mi aveva colpito per il volto sempre e solo sorridente e la grande forza. All'indomani dell'intervento di mastectomia bilaterale, non erano ancora ventiquattro ore, camminava lungo il corridoio del reparto parlando al cellulare con i suoi bambini, voleva far sentire loro la sua presenza sempre e comunque, minimizzando il problema e facendo coraggio a loro ma anche a se stessa. Mara aveva una lunga familiarità riguardo al tumore al seno, molte donne della sua famiglia ne erano state colpite, "Se riuscirò a salvarmi sarò la prima, e combatterò per esserlo a tutti i costi," così aveva detto e aveva fatto del sorriso la sua prima arma. Ed ora era lì, perchè dopo la prima chemio aveva vomitato più di venti volte in un giorno e non ce la faceva più, completamente svuotata, con il viso pallido e le mani gelate. Avevo parlato un po' con lei ed avevo preso ancora coraggio ritenendo di essere stata già molto fortunata. Mi sentivo carica anche se a tratti mi coglieva l'ansia ed intanto arrivava per me il momento del prelievo che precede l'infusione.

mercoledì 29 dicembre 2010

All'alba ero sveglia, non ero tesa o preoccupata, ma il sole appena levato aveva lasciato passare attraverso una veneziana un raggio che aveva illuminato la prima parte del corridoio. Le giornate si erano notevolmente allungate e faceva ormai giorno molto presto. Restai a letto ancora un po', ma non potendo più dormire cominciai sì ad essere nervosa; meglio alzarsi, così avrei avuto più tempo per prepararmi e sarei rimasta calma e tranquilla. Cosa più facile a dirsi che a farsi, lo sa bene chi, costretto dalla situazione si trova a vivere nella normalità momenti, ore che normali non lo sono proprio. Comunque preparai tutto per il pranzo, rifeci il letto e poi andai a vestirmi; avevo "la mise" pronta dalla sera prima, per sdrammatizzare avevo pensato di "studiare" volta per volta un tipo di abbigliamento diverso, abbinando gli accessori, i colori e persino gli orecchini (i miei "gioielli" preferiti), così, come se dovessi andare dal parrucchiere o, non so, a prendere un aperitivo. Poi un tratto di matita sotto gli occhi (prima non lo avevo mai fatto, lo consideravo inutile), in testa la parrucca e via... verso il noto non noto. Con me sempre Valeria. "Dai ma', l'altra volta è andata bene ed eri tanto nervosa, stavolta andrà ancora meglio, è la seconda, e comunque pensa, stasera, prima di addormentarti potrai dirti, è passata anche questa." Effettivamente l'idea di archiviare per la seconda volta questa "incombenza" mi faceva stare meglio, mi rincuorava; ogni cosa, anche la più brutta alla fine passa, come mi ripeteva spesso il dottor Antonio, e allora dovevo tirare un bel respiro ed aspettare che passasse. In ospedale le solite persone ad attendere il proprio turno, chi per il "follow up", chi per il prelievo prima della terapia. Dora mi venne incontro vivace e accogliente come sempre, facendomi i complimenti per "il nuovo taglio di capelli"; mi donava molto, lo sapevo, ma il sentirmelo ripetere mi convinceva sempre più che "non tutti i mali vengono per nuocere"; io, da questa disavventura ci stavo anche guadagnando, scoprendo di avere un volto niente male se "incorniciato" nella maniera giusta. Che occasione! Ne avrei dovuto far tesoro per il futuro. E non è solo ironia.

martedì 28 dicembre 2010

"Dopo quello che abbiamo passato dobbiamo volerci bene; non siamo niente sulla faccia della terra, siamo formiche sulla strada, perciò..." Anna mi ha parlato così stamattina quando mi ha telefonato per gli auguri, voleva sottolineare l'affetto reciproco nato così per caso in una situazione non piacevole e cresciuto nella volontà di darsi una mano per riuscire a farcela. E in effetti aveva ragione, con un concetto semplice ha espresso un pensiero molto profondo: si pensi a un piccolo gruppo di formiche su una strada, lunga, larga. Non si notano neppure. Però se si stringono in un esercito, una miriade, sì che si notano e non solo, diventano una forza, si sostengono e vanno avanti sfidando ogni pericolo. E' quello che facciamo noi, mantenendo vivi i contatti, confrontandoci e raccontando ciascuna la propria esperienza che è sempre particolare e mai identica ad un'altra. Anche nella sua unicità ogni storia diventa un aiuto importante, un punto di riferimento che sprona a non mollare mai, a sorridere subito e con convinzione anche dopo aver pianto tanto. Con questa motivazione sono portata a continuare a...ricordare e raccontare i mesi passati, difficili a volte duri, ma contesto temporale di una mia crescita interiore di cui via via divento fiera. E torno alla scorsa primavera, a quei giorni, sempre più lontani e comunque vicini, presenti nella memoria. Era la fine del mese d'aprile e la seconda chemio da vivere: c'è da dire che mi sentivo molto più tranquilla della prima volta, poi mi ero organizzata bene, nei tre gioni precedenti a quella data avevo cucinato per il resto della famiglia, per non dover fare "il braccio di ferro" con la nausea, e mi sentivo "pacatamente" pronta, visto che non c'era scampo e bisognava farla, e poi tutto sommato la prima volta non era andata così male, insomma si poteva sopportare. Mi andavo ripetendo questo il giorno prima, facendomi una sorta di lavaggio al cervello che mi avrebbe aiutato a riposare durante la notte e ad arrivare al giorno dopo in una condizione ottimale.

lunedì 27 dicembre 2010

Un anno per Natale regalai a mia madre una Sacra Famiglia, di quelle fatte con la carta di riso e il gesso dipinto; era comunque molto bella e particolare per la sua struttura. I tre personaggi erano disposti quasi a formare un cono: sovrastava la figura di San Giuseppe ma il Bambinello era messo in un modo tale che la Madonna non sembrasse affatto in posizione inferiore. I volti, poi, erano molto espressivi nonostante la fattura artigianale e aggiungevano armonia all'insieme. Regalai appunto questa Sacra Famiglia a mia madre con un biglietto: "Per te che nella famiglia hai sempre creduto e a cui hai sempre dato tanto." L'aveva accettata piangendo per la commozione e oggi è capitata a me la stessa cosa. La domenica che segue al Natale si celebra la Sacra Famiglia e quindi è dedicata in generale al modello di famiglia inteso nel senso cristiano. Durante la Santa Messa tutte le coppie di sposi sono salite sull'altare per rinnovare le promesse matrimoniali... "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia..." Le lacrime sono venute giù, da sole senza che potessi porre loro un freno, non so spiegarne il motivo, forse perchè anch'io ho sempre puntato tutto sulla famiglia, impegnandomi tanto e poi c'è stata la mia malattia che mi ha fatto temere di perdere tutto in un attimo minando la famiglia stessa e ciò che avevo costruito. E' anche vero che io, già tendenzialmente facile alle lacrime ora mi commuovo persino per una nuova foglia che mette su una pianta, per un cucciolo d'animale, e naturalmente per un bimbo che vede la luce. E' la VITA quindi che dà moto al mio cuore, la vita e tutti i doni che essa mi ha fatto, la famiglia, la gioia di vederla evolvere e maturare e anche, a volte quel po' di dolore nel constatare che il mio ruolo pur restando importante, non è più lo stesso, che mi dovrò adeguare via via alle situazioni trovando nuova forza. Lo farò ancora una volta perchè, si sa, le battaglie non finiscono mai ed è da soli che bisogna combatterle e vincerle.

domenica 26 dicembre 2010

Può la nascita di quattro pesciolini in un acquario far sentire più forte il gusto della vita? Sì, se l'acquario è quello voluto per reagire ad uno stato d'inquietudine proprio un anno fa e se è mia l'esistenza che sta apprezzando in questo periodo un momento di rinascita. Ieri che era la Vigilia di Natale queste piccole nuove vite hanno aggiunto una nota di gioia, sarà perchè ora nulla mi passa inosservato, sarà perchè tutto mi piace ed ha un valore in più, certo è che mi sono sentita veramente fortunata di esserci ancora, e, come ha detto anche mio padre, ieri quando eravamo tutti a tavola, prima di cenare, ringrazio Dio di avermi dato quest'altra possibilità che vorrei però non sprecare.  Ora mi trovo in una fase di passaggio, non sono più quella di prima, ma non sono neanche ancora quella che vorrei essere; si fa fatica a scrollarsi di dosso quella dura scorza che ti ha accompagnato per tanti anni, una parte è sì andata via, ma l'altra resiste un po' per stanchezza, un po' perchè nessuno ti aiuta ad eliminarla completamente... Ma che, faccio la vittima ora? Comincio a piangermi addosso? Non può essere! Da sola devo riemergere e non solo per galleggiare ma per seguire, accarezzandola, l'onda della vita, tra alti e bassi, però sempre su. E' vero che ora non è più come prima, sono ancora vulnerabile per tutto quello che ho vissuto e in certi momenti... però è proprio in questa condizione di debolezza che risiede una forza straordinaria, a volte sembra che non ci sia, ma solo perchè mi faccio prendere un po' dall'ansia del domani e dal vuoto della solitudine. E allora gli altri si stupiscono, ma come tutto è passato e invece di essere contenta... Io, in realtà sono felice, anche se non è vero che tutto è passato; è passata la fase cruda della malattia, però non quella che tocca l'anima nel profondo che stravolge anche positivamente l'atteggiamento verso la vita ma lascia dei segni indelebili nella mente e nel cuore.

venerdì 24 dicembre 2010

La Vigilia di Natale dell'anno scorso fu una vigilia diversa dalle altre. Tutto era un non senso. Le luminarie offuscate dalle lacrime furono stelle tristi in un cielo senza luna, le nenie natalizie, la colonna sonora di un inizio di storia che mai avrei voluto fosse vissuta, le persone a me care, comparse in un copione di falsa normalità.
Un anno è passato; tutto è stato stravolto, tanto è cambiato, molto ancora cambierà. Non volevo andare incontro al Natale, non me la sentivo, e il Natale è venuto incontro a me con dei segni che solo il mio cuore poteva interpretare.
Oggi è ancora una Vigilia di Natale diversa dalle altre, ma c'è la speranza che dà la consapevolezza di un grande mistero.
E stasera arriva Valeria, la mia "grande" e "forte" figlia. Sembra che stia facendo la sua strada e il suo successo è anche il mio; come la mia sofferenza è stata anche la sua e forse fu per questo che non volli aggiungerne altra, la mattina di quel sabato quando cominciarono a cadere i capelli. Il primo impulso fu quello di appoggiarmi ancora a lei, di avvalermi del suo supporto, ma qualcosa mi fermò: non era giusto, dovevo da sola metter fuori completamente la mia forza e finalmente "crescere". Non me la sentivo comunque di tenere unicamente per me il dolore di quella "morte annunciata" e così andai dalle mie amiche parrucchiere più che altro per distrarmi. Era strano come lontano dalle pareti domestiche tutto apparisse ridimensionato, meno grave e più facile da sopportare. Teresa timidamente azzardò l'ipotesi della rasatura totale, poi guardandomi non andò oltre e concluse:"Dai, siediti, facciamo una bella pettinata!" Con tocchi sapienti spettinò la mia parrucca e poi la mise a posto come fossero capelli naturali. Guardandomi allo specchio non pensai più a quello che era successo prima a casa; in quel momento avevo una "piega fatta di fresco", quello volevo credere e vedere, mi doveva bastare. Dopo tre giorni avevo la seconda chemio da affrontare, non potevo soffermarmi, c'era bisogno del pieno di forze per un'altra dura prova.

giovedì 23 dicembre 2010

"Ma a te piacciono queste feste?! Io le detesto, la confusione, la spesa, il sangue amaro che ti fai! Non le sopporto." Una nostra conoscente mi ha parlato così mentre saliva in auto e poi mi ha guardato come chi attende una risposta, magari retorica come la domanda. Ma io non me la sono sentita di confermare quello che aveva detto, perchè per me ora è tutto talmente bello e gioioso che se potessi lo griderei al mondo intero dalla mattina alla sera. Così le ho risposto, e le ho spiegato il perchè raccontando tutto dall'inizio; è quasi sbiancata, si è scusata perchè non sapeva nulla, poi visibilmente commossa mi ha abbracciato, "Scusami, sei molto forte e riesci a guardare tutto con gli occhi della vita, io non so se sarei stata capace." "Sicuramente, credimi! Anch'io pensavo la stessa cosa e ora, vedi, parlo così. La forza è in ciascuno di noi, forse nascosta, bisogna solo andarne alla ricerca e scoprirla. Perciò, ti prego, non dire più quello che hai detto; tutto è vita, il bello e il brutto, il divertimento e la noia, il riposo e la fatica. Auguri, cara, Buon Natale." Ha annuito con il capo stringendo le labbra ed è andata via.
In un altro momento della stessa giornata mi sono rivista con Stefania, la mia amica veterinario; come un anno fa nello stesso giorno,ma per motivi diversi. Ora ci siamo concesse un po' di tempo per raccontarci, ricordare e analizzare tutto ciò che è successo in questo tempo. Stefania è straordinaria, bravo medico ma anche persona molto sensibile, non si limita a curare gli animali ma va oltre, nella comprensione del rapporto animale e padrone, prendendosi cura in determinate occasioni dell'atteggiamento di quest'ultimo non alimentando false illusioni pur tenendo viva la speranza. Mi è stata sempre vicina in tanti anni, ma da quando Betty si è ammalata ed è morta, e poi sono incappata nella disavventura del tumore, l'ho sentita molto più che un'amica e forse anche più di una sorella, ecco... un'altra me stessa, perchè a lei potevo raccontare senza essere fraintesa di sensazioni e sentimenti che altri non avrebbero capito. "Che cos'è un anno? Tutto sommato è poco! Dodici mesi che ti hanno cambiato la vita. Se qualcuno te l'avesse detto in anticipo quello che avresti vissuto forse non gli avresti creduto. E invece tutto è successo, l'hai superato e anche bene: puoi raccontarlo, questo ti basti." In poche frasi, la sintesi di un anno della mia vita, forse il più duro. Grazie, Stefania e Buon Natale!

mercoledì 22 dicembre 2010

Ieri mattina l'ho incontrata di nuovo sull'autobus quella signora; mi sono sentita battere sulla spalla: "Buongiorno, signora. Vi ricordate?!! Anzi, possiamo darci del tu?" E senza aspettare la mia risposta che comunque era scontata, "Senti... sai che da venerdì penso sempre alla stessa cosa, a quello che ci siamo dette. Ti ho incontrato per caso e tu mi hai dato coraggio. A casa pensavo, mi ha tirato su una persona che sta peggio di me... aspetta, volevo dire un'altra cosa... ora si vede che stai bene, meglio di me... volevo dire..." L'ho preceduta senza farle finire la frase. "Non ti preoccupare, ho capito che cosa volevi dire, una persona che ha vissuto una situazione peggiore della mia." "Sì, proprio così. Per esempio ho problemi alla colonna vertebrale e mi sto curando, però mi lamento sempre. Beh, da oggi ho deciso che non mi lamenterò più, non è giusto, e poi mi sto curando??! Passerà." Questa volta è stata lei a scendere per prima dopo avermi regalato il più bello dei sorrisi.
In ospedale, intanto mi aspettava il dottor Antonio per il controllo degli esami di routine e dei marcatori; ad attendere oltre me c'era Antonietta, un'ottantaduenne che era lì per la terapia contro le metastasi ossee, un'altra signora anziana  e, aspettava anche per i contolli, una donna sedicente maga che però non era stata "abbastanza maga" da prevedere la sua malattia. Sono stata ricevuta per ultima ed è stato un bene perchè avevo bisogno di tempo per parlare, per fare un excursus dei mesi passati, una rapida carrellata delle sofferenze e delle gioie che mi hanno vista protagonista durante la malattia.Era necessario per poter celebrare "degnamente" l'anniversario di questi giorni, l'avvento del "mio" tumore. In particolare con il dottore, ma anche con Dora, Marta e Grazia so di poter parlare, di non rischiare mai di apparire stucchevole o petulante, lì in quell'ambiente e in quel contesto mi sento a casa più che a casa mia perchè hanno avuto il merito di donare i pregi della quotidianità alla mia disavventura.

martedì 21 dicembre 2010

"Signora, sapete se la cassa ticket è aperta anche nel pomeriggio?" mi aveva chiesto una signora che era salita sull'autobus e s'era seduta di fronte a me. "Veramente non lo so, perchè io vado sempre di mattina." Così le avevo risposto mentre mi guardava incuriosita; poi continuava a fissarmi fino a quando non riuscendo a trattenersi aveva esclamato, dando l'impressione di continuare un discorso già iniziato nella sua mente: "I capelli me li farei proprio così; quante volte ho pensato di tagliarli ma poi sono tornata indietro perchè i parrucchieri non ti capiscono mai, viene fuori sempre un'altra cosa, e allora c'ho rinunciato. Ma i vostri... sì! Sono proprio belli." "Non state a guardare me, perchè io ho la parrucca, perciò i miei capelli sono tanto perfetti e non ho un pelo fuori posto". La signora a questo punto sgrana gli occhi e spalanca la bocca: mi sento un fenomeno da baraccone o in alternativa una delle sette meraviglie. Stentava a crederci che fosse una parrucca ciò che incorniciava il mio viso e allora mi è venuto da sorridere e sempre sorridendo le racconto la mia storia, la disavventura capitata mio malgrado e come, quasi con entusiasmo ho inteso percorrere quella strada fatta sì d'iniziale angoscia, ma anche di gioie per le piccole vittorie e di forza che cresce col passare dei mesi. E ora ero lì a parlare dei fatti miei con una sconosciuta, non certo per mania di protagonismo ma per desiderio di condivisione, in un certo senso mi era stato fatto un complimento ed io ringraziavo così, SORRIDENDO E APRENDO IL MIO CUORE. " A sentirvi parlare in questo modo, con questo spirito,sapete che cosa ho capito??! Se capiterà a me io non avrò paura perchè è vero... sì... si può fare." Aveva detto queste parole la signora e io mi ero sentita di aggiungere: "Si può fare certo e bisogna sempre ripetersi che oggi avere il cancro non vuol dire necessariamente essere destinati a morire, con questa malattia quando si cronicizza si può persino convivere a lungo. Bisogna però darsi sempre animo e non stancarsi mai di combattere: questo è fondamentale." Un saluto prima di scendere alla prossima fermata mentre manca una settimana a Natale.

lunedì 20 dicembre 2010

Poi fu un sabato mattina,quando mancavano tre giorni al secondo ciclo di chemio; seduta sulla mia poltrona in camera da letto recitavo come al solito le preghiere del mattino, sentii all'improvviso prurito un po' al di sopra della nuca, là dove terminano i capelli. Non potei fare a meno di grattarmi e ritirando la mano sentii qualcosa che sfregava sulle dita; un ciuffetto abbondante di capelli era rimasto bloccato tra il pollice e il medio, meccanicamente e quasi con disgusto aprii le dita e benchè corti ma purtroppo visibili li guardai cadere e posarsi sul pantalone della mia tuta. A questo momento pensavo di essermi preparata bene, ero partita da lontano, avevo persino tre parrucche, eppure... eppure in un attimo, quasi non credendo ai miei occhi, mi sentii trafitta da una lama. "Dio, ci siamo!" pensai tra me e chiusi gli occhi con la timida speranza di riaprirli e vedere che mi ero sbagliata, che tutto era frutto della mia immaginazione stressata dall'ansia. E invece era vero, i capelli erano ancora là, mi alzai di scatto e scuotendo il pantalone me li tolsi di dosso, violentemente come violento era stato questo nuovo attacco contro di me che già ne avevo da raccontare. La mia mente era confusa, avrei voluto piangere, ma non dovevo, l'avevo promesso a me stessa, l'avrei gridato ai miei figli per trovare conforto, ma non era giusto e poi si sapeva che sarebbe successo anche se un po' ci speravo di diventare un'eccezione, e allora che fare? Come un automa mi chiusi in bagno e mi guardai allo specchio, presi il pettine e lo passai tra i capelli, una volta e poi ancora... e tra i denti restavano bloccati, fermi lì ad aspettare che fossero liberati ora che, indeboliti non avevano più ragione di essere. Basta! Stavo per piangermi addosso e questo non era possibile, dovevo reagire. Ricacciai indietro le lacrime, come negli ultimi tempi solevo fare sempre più spesso, mi ricomposi, dopo tutto non era successo niente di irrimediabile, e andai da mia figlia, Valeria. Avevo bisogno di lei, della sua forza.

domenica 19 dicembre 2010

Delle tre settimane che separano un ciclo di chemio dall'altro, la centrale è certamente la migliore; si viene fuori da giorni d'intenso malessere e sembra di toccare il cielo con un dito, tornano l'appetito, il sorriso e la voglia di fare. Il peggio è alle spalle, il prossimo ciclo è ancora lontano e si ritorna finalmente a vivere. Appunto questo era il mio stato d'animo a una settimana dalla prima "rossa", poi s'aggiungeva un'altra novità: mi sentivo euforica perchè erano arrivate le altre due parrucche, le avevo provate e guardandomi allo specchio mi erano piaciute tantissimo le nuove immagini di me, persona abitudinaria e tradizionalista  che non aveva mai voluto "tradire" se stessa nemmeno nell'aspetto esteriore. Dopo tutto aver osato non era stato troppo difficile nè doloroso, e il risultato alla fine non era niente male. Le tre testine parruccate troneggiavano sul comò non allineate ma con una collocazione leggermente sfalsata, mi piaceva di più tenerle così sistemate, mi divertivano e mi rassicuravano. Alla sera, quando mi mettevo a letto, sdraiata sul fianco sinistro, le guardavo e provavo la stessa gioia di un tempo, quando da bambina prima di addormentarmi davo un ultimo sguardo alle mie bambole accanto a me e poi chiudevo gli occhi, serena, sicura di avere ciò che mi serviva, altro non mi interessava. Intanto i giorni passavano ed io pensavo alla casa, alla spesa, uscivo, incontravo gente e a tutti raccontavo quello che mi stava succedendo, senza paura nè reticenza, mi faceva bene parlarne ed ogni volta era come togliere un sassolino dalla grande massa di pietre che gravava sul mio cuore. Avendo trovato io il coraggio di condividere una cosa così propria e intima, si ridimensionava la curiosità altrui, gli altri non potevano far altro che compiacersi del mio atteggiamento positivo, e mostrare al massimo la loro solidarietà non certo la pietà, cosa che mai e poi mai avrei voluto suscitare. Andavo avanti in questo esercizio che giorno per giorno rafforzava il mio carattere, però trovavo anche il tempo di riflettere, e non so perchè, quando pensavo portavo la mano ai capelli; chissà quando sarebbe iniziata la "grande caduta," o magari no, non sarebbe successo niente, e intanto mi strattonavo un ciuffo col cuore che batteva in gola e gli occhi che non volevano guardare.

sabato 18 dicembre 2010

Finalmente era arrivato  il "nostro" turno, dico così perchè ad essere chiamata è stata solo una, ma ad entrare ci siamo fatte avanti in tre. Il dottor F.C. quando ha visto queste simpatiche mastectomizzate in parrucca ha esclamato sorridendo: "Che comitiva! Siamo proprio al completo." Poi ha tolto la parrucca a Rosa e se l'è messa in tasca. "Ma tu quando te la togli 'sta cosa? Vedi come stai bene! Senti il mio giudizio di uomo non di medico: sei più sexi. E poi se tu trovi il coraggio di mostrarti come sei, darai prova di aver accettato e superato tutto quello che ti è successo." In realtà per me, si indugia a togliere la parrucca proprio perchè si è accettato l'aspetto non certo piacevole, quale la caduta dei capelli, di una condizione dolorosa; infatti, superato il disagio iniziale, metabolizzi la situazione e ti adatti un'immagine che arriva a piacerti così tanto da non poterci rinunciare facilmente. Col tempo certamente tutte abbandoneremo la parrucca, riabituandoci al nostro volto di un tempo, riscopriremo il piacere di mettere a posto una ciocca scompigliata accarezzandola e lisciandola con la mano. I nostri capelli! Lisci o ricci, tinti o al naturale, pettinati o arruffati, motivo d'orgoglio o di lamentela... comunque i nostri capelli. Riconquistata la sua parrucca, Rosa se l'è risistemata in testa, promettendo che alla prossima visita si sarebbe ripresentata senza. Ho poi chiesto io al dottore quando ci avrebbe ricostruito: "Dottore, perchè non ci ricostruite insieme nello stesso periodo? Pensate, per noi, nella stessa stanza sarebbe come partecipare a una gita scolastica!" "E come no... vedremo, solo che tutte e tre non potete entrare insieme nella sala operatoria, ma una alla volta in successione." A questa battuta abbiamo tutti riso sdrammatizzando e rendendo persino piacevole il pensiero di quella che comunque sarà sempre un'operazione, di plastica ricostruttiva, quasi di estetica, ma pur sempre un intervento.
Uscendo dall'ospedale era ormai buio, tanto freddo, ma lo sentivamo poco quel freddo, strette in un vincolo che solo noi possiamo capire fatto di volontà di condividere, di combattere e di certezza di essere riuscite nell'intento.

venerdì 17 dicembre 2010

Abbiamo fatto un'attesa niente male... un'ora e mezza! Ma diciamo che è passata abbastanza in fretta, in quel posto non hai mai modo d'annoiarti, tutt'altro. Quante donne di ogni età! Un'anziana che camminava aiutandosi con un bastone e sottobraccio a sua figlia: "Mamma, hai visto?! Ti avevo detto che non ti avrebbe fatto male." Una ragazza molto giovane, accompagnata da sua madre è uscita dallo studio piangendo e Maurizio, il marito di Rosa l'ha vista e mi ha guardato, inizialmente non avevo capito e invece avrei dovuto, perchè lui non ha una "sensibilità proprio maschile", è tanto dolce e nulla gli passa inosservato, soprattutto riguardo a questo. E c'era un'altra signora che indossava un cappellino rosso, di lana, dopo la visita si è avvicinata a noi perchè conosceva Rosa e Carmela e ha detto che stava cominciando a perdere i capelli, si sentiva stringere il cuore a vedersi così ma non aveva il coraggio di rasarsi a zero, voleva prima la parrucca, e come le faceva male il cuoio capelluto, e quanti dolori alle ossa! E pensare che l'indomani avrebbe avuto la seconda chemio! Mah, che si poteva fare?! Doveva andare così, ma il dottore le aveva detto che per agosto tutto sarebbe passato e avrebbe avuto pure di nuovo i suoi capelli, e lei era contenta, ad agosto sua figlia si sarebbe sposata. Tre donne di età diverse, tre situazioni, un dramma comune: quanta paura, quanta sofferenza e tanta speranza! La speranza che non muore mai e che rende forti quando si è troppo giovani e non si ha esperienza, quando si è avanti negli anni e si pensa che ormai... e quando hai ancora tanto da fare e non puoi permetterti il lusso di lasciarti andare. Cara e benedetta speranza che non abbandona!

giovedì 16 dicembre 2010

Ha un vissuto difficile alle spalle Anna, e lei lo racconta con una naturalezza tale da farlo sembrare dignitosamente normale. E' fiera di sè, di come sa destreggiarsi per vestire con pochi soldi o preparare il pranzo riciclando a volte gli avanzi senza farli apparire tali. Se la cava sempre e anche ora con la malattia va alla grande, racconta la sua storia recente e porta sempre sottobraccio una cartellina colorata dove sono raccolti i fogli del suo ultimo excursus sanitario. Quando la vedo la prendo un po' in giro: lo fa per apparire "donna in carriera?" le chiedo, e lei: "Che cosa? Non so neanche che significa. La cartellina mi serve per portare sempre appresso la mia storia precisa, così se qualcuno la vuole sapere o mi chiede qualcosa tengo subito pronta la risposta." Dice a tutti che sono stata io in quei giorni all'ospedale,a darle la forza, il coraggio di operarsi, di non aver paura delle terapie invasive, in realtà tutto questo ce l'aveva già e viveva quel momento difficile, in un certo senso contenta che gli altri finalmente si accorgessero di lei e di quanto fosse importante nell'ambito della famiglia. E' stata contenta che fossi andata a trovarla: "Ma sei venuta apposta per me? Tu sei proprio una vera amica sincera." E dicendo così mi ha regalato tanto, soprattutto la sua stima di persona grande nell' accontentarsi di poco.
Nel pomeriggio sono stata al centro di senologia, ci sono andata per fare gli auguri al dottor F.C. il chirurgo che mi ha operato; mi sono accodata a Rosa e alla sua e ora anche mia amica Carmela, che avevano la visita prenotata e con un po' di faccia tosta mi sono presentata. Non potevo mancare nei confronti di una delle persone che mi avevano ridato la gioia di vivere e la speranza del domani, poi ci tenevo che mi rivedesse così come sono ora, tanto diversa rispetto a nove mesi fa, in netta ripresa, senza paura e sicura di sè tanto da non essere più accompagnata da "uno stuolo di angeli custodi", come aveva detto la prima volta che mi aveva incontrato.

mercoledì 15 dicembre 2010

Continuo a...proseguire nella ricostruzione di me... del mio voler essere persona... della mia vita. Oggi, giornata di Day Hospital; nel senso che ho trascorso mattina e pomeriggio in ospedale, ma non come s'intende normalmente, infatti non avevo alcun controllo o terapia da fare, però degli appuntamenti mirati, fortemente voluti, quelli sì li avevo e per niente al mondo avrei rinunciato a quell'arricchimento che viene dal confrontarsi, dallo scambio di opinioni e, perchè no, di sentimenti. Stamattina dovevo vedere Anna; aveva il suo quarto ciclo di CMF e ci eravamo accordate di incontrarci in reparto per scambiarci gli auguri di Natale. L'ho conosciuta quando mi sono operata, si era appressata a me timidamente, quasi con timore perchè mi avevano sistemata in una stanza a pagamento (al momento del ricovero mancava il posto), e lei credendomi una persona facoltosa e per questo inavvicinabile, mi guardava da lontano, sussurrava qualche parola all'orecchio di un'altra paziente e poi tornava indietro. Fino a quando non aveva retto più e, forse anche spinta da altre, si era fatta coraggio e aveva esordito con il più bel sorriso che io possa ricordare. "Scusate signora, se vi disturbo, ci hanno detto che vi siete operata alla mammella, ma è vero che ve l'hanno tolta tutta quanta?" e dicendo così aveva sgranato gli occhi contemporaneamente abbassandoli verso il mio seno. Eh sì, Anna è"stupendamente" semplice e schietta, e conquista per questo, poi una volta che entra nella confidenza di qualcuno diventa travolgente con la sua esuberanza temperata da una tenera ingenuità. Per lei io sono diventata "la mia amica dell'ospedale", anche se lì,  insieme siamo state solo tre giorni, per me, lei "una forza della natura", disarmante con gli atteggiamenti e le parole e nello stesso tempo commovente col suo guardarmi a bocca aperta mentre le parlo.

martedì 14 dicembre 2010

Raccontando del periodo che ha preceduto l'intervento, mi torna in mente quanto sia stato allora mutevole il tempo; spesso tanta pioggia e il sole che si faceva attendere dopo un inverno triste per più versi. Sembrava quasi che la stagione volesse rispecchiare l'alternarsi dei miei stati d'animo, con una prevalenza di grigiore che allontanava la luce e la sua stabilità.
 In uno di quei pomeriggi assai piovosi ero andata dal mio medico curante, ed ero in sala d'attesa. Pensavo. Era una delle mie prime uscite ufficiali con la parrucca, a tratti mi sentivo osservata come se tutti sapessero del mio "trucco", poi decidendo di "stare al gioco", mi divertivo a mostrare disinvoltura, innanzitutto a me stessa. Ecco, questo era il modo giusto per affrontare i mesi a venire, provare a divertirmi, giocando con la mia nuova immagine. Un'idea un po' folle? Forse... ma si sa che a volte sono le piccole follie quelle che aiutano a vivere.
Ero lì ad attendere il mio turno sfogliando una rivista, quando entrò Marta, l'infermiera del Day Hospital: che coincidenza! Stesso medico curante. Nel vedermi restò a bocca aperta. "Ma stai benissimo, quasi non ti riconoscevo! Caspita che trasformazione, e in meglio direi. Anche l'aspetto è buono, non si direbbe che hai fatto la chemio meno di una settimana fa." Nel sentirmi dire queste cose, mi rincuorai ancora; Marta era stata sincera, lo sentivo, e quindi il mio desiderio di non suscitare pietà in chi mi vedesse veniva esaudito. La serenità, il mio stare bene interiormente veniva fuori a tal punto da far sì che un'altra delle mie amiche esclamasse: "Ascolta, forse non dovrei dirtelo, ma lo sai che a te, quasi quasi la chemio fa bene?" Mi venne da sorridere: che la chemio mi facesse bene ai fini della malattia era indiscutibile soprattutto perchè il mio atteggiamento con il tempo diventava TOTALMENTE POSITIVO, così come più volte mi era stato raccomandato da tutte le persone che tenevano a me.

lunedì 13 dicembre 2010

Quella sera, saputo dell'intervento, prima di andare via dissi a mamma Ripalta: "Devi rimetterti in fretta; a giugno dovrò operarmi anch'io e sei tu la prima persona che voglio vedere dopo che mi sarò risvegliata dall'anestesia." Mi abbracciò e ci salutammo. E il giorno dopo quella domenica mamma Ripalta fu operata e il tumore venne rimosso insieme con i tre quarti dello stomaco. A 86 anni con la sua forza e serenità aveva vinto un'altra bella battaglia, ce l'aveva fatta e così, ospite d'onore di tutto rispetto, sarebbe stata presente al matrimonio della nipote Silvia. A darle motivazione di continuare il suo cammino, l'affetto di tutti e la sua grande voglia di dare ancora molto.
Per me intanto, andata via completamente la nausea, stavano per iniziare due settimane di tranquillità; sottratto un ciclo ai quattro prescritti, il conto alla rovescia diventava reale ed effettivo e bastava solo questo pensiero a farmi stare meglio, poi una serenità interiore nata dalla consapevolezza di fare tutto il possibile per me stessa, mi dava ancora più forza e mi distraeva dalle ombre della paura. Mi sentivo di nuovo bene e in verità prima di iniziare non l'avrei mai creduto; avevo da fare tante cose in quelle due settimane, l'avrei programmate per non dimenticarne una. Quattordici giorni, non sono tanti ma possono diventare tali se, astratti da quelli precedenti duri ed irreali, li vivi con l'intensità di una vita intera.

sabato 11 dicembre 2010

Non pensavo che si parasse davanti uno scoglio così, all'improvviso. E per quest'anno non avrei voluto. Ho preso una sfera rossa e l'ho riposta, ho svolto un nastro d'oro e l'ho riavvolto, ho acceso una prima luce e poi l'ho spenta; ho pianto al suono di una melodia, le lacrime scendevano in silenzio e piano, ad una ad una perchè non fossero viste. Sapevo di dover superare questo scoglio, eppure esitando con ostinazione restavo ferma lì senza decidermi. Ma poichè in una dinamica senza soste tutto scorre senza voler lasciare traccia, logico e giusto era che mi muovessi anch'io. Mi son fatta una ragione e ho preso forza. Dovevo superare questo scoglio e l'ho fatto: un passo avanti nella ricostruzione di me stessa. Un albero tutto d'oro è là allo stesso posto. E' UN ALTRO NATALE. Ed io intanto guardo agli altri che verranno.
Stamattina, di ritorno dall'ospedale, è salita sull'autobus, aiutata da un'ausiliaria, una signora anziana, si muoveva a fatica un po' ansimante. Finalmente dopo qualche sforzo è riuscita a sedersi, davanti a lei c'era un'altra signora, più o meno della stessa età. Chiaramente era stata in ospedale per dei controlli ed ora tornava a casa. "Che brutta bestia la vecchiaia! Non dovrebbe proprio esistere. E quante sofferenze! Non ce la fai a fare niente e devi dipendere sempre da qualcuno. Uh, com'è brutta la vecchiaia!" E l'altra. "Sa' quanti vorrebbero arrivare alla vecchiaia e non la vedono proprio! Che ci lamentiamo a fare?!" "Sì , però uno dovrebbe avere sempre la stessa energia." "E non saresti più vecchia allora. Ci sono i 20, i 30, i 40... fino pure a 100 di anni, ma ogni età ha le cose sue, e tutti devono accettare quello che viene." "E' vero, è giusto, Dio ha voluto così e ci chiama quando Lui ha piacere, però quante volte non ce la fai." "E tu chiedi aiuto al Signore e vedi che ce la fai, sì che ce la fai!"
Questo scambio di battute tra le due donne mi ha fatto ricordare un pensiero che mi era venuto alla notizia del tumore. "Che peccato, avrei voluto tanto diventare nonna!" In effetti i miei anni potenzialmente me lo consentivano, ma vedevo la realizzazione di quel desiderio allontanarsi rapidamente perchè il subconscio "alludeva" in realtà alla vecchiaia. Eh già, stavo rischiando di non poter arrivare a quell'età che, se da una parte ti rende debole e vulnerabile, dall'altra ti dà la possibilità di guardare indietro al passato, il tuo, e al futuro rappresentato dai figli e dai nipoti. E' come non morire mai! E poi ho pensato a mamma Ripalta, quando nel dirmi del nuovo tumore non mostrò di avere affatto paura, "La vita mia ormai l'ho fatta, l'età ce l'ho, posso anche andarmene, però... prima voglio andare al matrimonio di Silvia." E disse così, un po' ironica e un po' sorniona.

venerdì 10 dicembre 2010

Mamma Ripalta si era di nuovo ricoverata il venerdì dopo Pasqua. Era arrivato l'esito dell'esame istologico del campione prelevato durante la gastroscopia e l'avevano richiamata dall'ospedale: a 86 anni, dopo 36 mesi avrebbe dovuto affrontare un nuovo intervento non certo facile. Caterina, sua figlia me lo aveva comunicato al telefono ed io sarei andata a trovarla quel pomeriggio di domenica. Pioveva, pioveva forte quando arrivai in ospedale; parcheggiai l'auto sotto un albero con i rami bassi, le foglie sfioravano il finestrino, aprii lo sportello e non feci in tempo ad uscire che un vero, piccolo scroscio d'acqua proveniente dalle fronde mi colse in pieno. Qualche mese prima sarebbe stata una tragedia per me, per i miei capelli mai a posto, tanto sensibili alla sola umidità, figuriamoci poi all'acqua. Istintivamente mi toccai la testa, ma non era quasi bagnata, al tatto sentii solo delle perline fredde, le gocce di pioggia. Straordinario! La parrucca non s'era inzuppata d'acqua, ma questa scivolava via sotto forma di gocce, lasciandola quasi asciutta. Per completare l'opera diedi una scrollata alla testa, un po' come fanno i cani quando sono bagnati, e fui in un attimo a posto. Salii al quarto piano e mi diressi nella stanza di Mamma Ripalta. Nel vedermi provò una grande gioia, mi venne incontro a braccia aperte e mi abbracciò con una forza inaudita per una donna di quell'età. E pensare che ci conoscevamo da soli 33 giorni! "L'hai detto che venivi e sei venuta. Che piacere! Come stai? Hai fatto la chemio? Ma come stai bella co' sti capelli! Ti sei cambiata colore, pettinatura, brava, hai fatto bene!" "Ma no, questa è una parrucca!" "Veramente? E stanno  'ste parrucche così belle, vere vere? Me la compro pure io, allora, così li mando in pensione 'sti quattro peli bianchi che ho!" Scoppiammo a ridere. C'erano anche Anna e Caterina, due delle sue tre figlie, mi fecero i complimenti per il nuovo look e meravigliate, quasi incredule vollero toccare la mia parrucca. "E' perfetta!" fu il loro commento all'unisono. Chiusa questa parentesi "leggera" mamma Ripalta mi prese da parte. "Io domani mi opero perchè c'ho il tumore allo stomaco." "Ma no, sarà ulcera." D'impulso guardai le figlie che nel frattempo erano diventate serie, troppo serie.

giovedì 9 dicembre 2010

L'unico amore della mia vita me ne portò non uno di cappelli, ma ben tre; aveva voluto strafare anche lui come me e ne aveva comprati tre: tre parrucche e tre cappelli! Uno per ogni testa e nella mia un pensiero: il numero perfetto come buon augurio perchè tutto in quel momento andasse alla perfezione per me. Quel dono mi mise di buon umore, adesso sarei stata a mio agio anche in casa, anzi, poichè i cappellini era diversi per modello e colore, avrei potuto abbinarli alle varie magliette. Mentre pensavo questo mi venne da sorridere: ecco un'altra strategia, avevo trovato il modo di sdrammatizzare una situazione spiacevole ricavandone un'opportunità in più per valorizzare la mia femminilità fin troppo mortificata. Ad uno ad uno l'indossai guardandomi allo specchio; il primo, assai carino, a righine bianche e rosa nelle varie sfumature, il secondo viola, il colore dell'anno, il terzo blu, più serioso, in quel momento avevo pensato che non l'avrei indossato, troppo scuro, in seguito invece mi avrebbe accompagnato più degli altri, persino in ospedale. Ringraziai l'uomo della mia vita abbracciandolo; tante volte mi ero lamentata di lui che non mi capiva sempre a fondo, siamo stati dall'inizio tanto diversi, però nei momenti più difficili era sempre riuscito a stupirmi e a strapparmi un sorriso. Ho sempre detto e lo dico ancora, modificando il titolo di una celebre commedia di Natalia Ginzburg, che l'ho sposato per allegria e con lui non mi sono mai annoiata; confronti e qualche litigio non sono mancati, anzi, però ci siamo incontrati sempre a metà strada chiedendoci scusa nello stesso momento.
Indossai subito il cappello a righine, il più colorato, mi guardai di nuovo allo specchio e SORRISI, andai in cucina davanti ai fornelli e mi sentii disinvolta. Che cosa avrei potuto volere di più? Con la parrucca ero uno schianto, con il berrettino parevo un'operatrice di fast food e... mi sentivo contenta di entrambe le mie immagini.

mercoledì 8 dicembre 2010

"Amore, che cosa posso portarti?" Questo mi aveva detto la mattina della domenica l'uomo della mia vita, prima di uscire di casa. Avrebbe voluto che andassi con lui come avevo sempre fatto, ma mi sentivo ancora un po' sfasata così avevo preferito restare a casa, avrei preparato il pranzo ma mi sarei anche riposata. "Niente, non ho bisogno di niente. Anzi... aspetta... comprami un cappello!" Gli risposi d'impeto perchè in quel momento stavo pensando alla "mia testa"; quando uscivo portavo la parrucca, mi sentivo a mio agio ed era perfetto, in casa, invece mi sembrava di essere nuda girando così "a capo scoperto", di un fazzoletto neanche a parlarne,faceva troppo "campo di concentramento" con quella mia magrezza, il pallore e le occhiaie... no... proprio no, allora occorreva un altro genere di copricapo, niente di meglio di un cappello, magari colorato e anche spiritoso, sì un cappello... mi sarebbe piaciuto! E intanto quando passavo davanti a uno specchio mi guardavo: come ero cambiata! Gli occhi, in particolare, sembravano tristi. Allora mi soffermai un momento, provai a sorridere, forzatamente certo, ma sorrisi e quegli occhi non furono più fissi e spenti, s'illuminarono: mi piacqui e decisi che avrei sempre sorriso e non solo davanti a uno specchio. Avevo conquistato, ancora una volta da sola, un altro tassello per ricostruire me stessa e ne fui soddisfatta.
I capelli erano cortissimi ma stavano ancora tutti sulla mia testa e mi chiedevo chissà quando sarebbe iniziata la "grande caduta" e come sarebbe stata; io ero preparata, mi dicevo, sicuramente avrei retto bene il colpo,dopo scacciavo violentemente l'idea, era meglio non pensarci, c'era tempo e poi... potevo anche essere un'altra eccezione alla regola, no? Forse a quell'evento non ero così preparata.

martedì 7 dicembre 2010

E sentendomi parte di una globale normalità cominciai a stare meglio; è vero, permanevano alcuni fastidiosi disturbi , quali la stipsi, la nausea solo per alcuni cibi e tutti gli odori forti, la stanchezza, ma avevo trovato anche per questi "inconvenienti" la strategia e i rimedi giusti per non risentirne più di tanto. Contro la stipsi, mela cotta con un cucchiaino di miele,che andava bene anche per la stanchezza, per combattere la nausea avevo abolito tutti gli alimenti "sbagliati" per me, al primo posto la carne e i salumi, e privilegiato frutta e verdura, dal sapore fresco e profumo delicato; i miei uomini, poi continuavano a rinfrescarsi il viso dopo la rasatura con l'acqua del rubinetto. Era tutto a posto quindi, ed io in quattro giorni  avevo smaltito la sbronza di rossa e potevo riprendere la mia vita come se niente fosse. O quasi. Al terzo giorno mi ero sentita di "osare" e mi ero spinta fino all'ASL per inoltrare la richiesta di esenzione dal ticket spettante alle patologie oncologiche; ed ero sopravissuta nonostante la strada fatta a piedi e la coda allo sportello, uscendo fuori orgogliosa del mio 048(codice dei malati oncologici) e fiera di essere riuscita a portare a termine qualcosa per me stessa anche se non ero al pieno delle forze. Mi era sembrato di camminare sulle nuvole perchè avevo la sensazione di un cuscinetto sotto i piedi e un orecchio tappato che mi ovattava i suoni, però CE L'AVEVO FATTA e ne ero davvero felice. Al quarto giorno ero riuscita persino a mangiare la pizza, non tutta, ma l'odore non mi aveva dato fastidio; al mattino avevo fatto le grandi pulizie in casa perchè la stanchezza era meno pesante, e poi... la stipsi... anche la stipsi andava in ferie per un paio di settimane. Come mi sentivo bene!! Magari per altri poteva essere una condizione di salute normale, ma per me no. L'essere uscita da quella spirale di malessere ed essere tornata più o meno come prima mi dava una gioia grandissima, come quando si crede di aver perso un oggetto caro e prezioso e lo si ritrova all'improvviso.

lunedì 6 dicembre 2010

Si deve ricordare il passato ma nella maniera giusta; i momenti brutti non vanno considerati a se stanti, ma come tappe di crescita individuale, e se a ciò si aggiunge, come spesso mi ha ripetuto il dottor Antonio, che niente è talmente brutto da non avere una fine, si comprende bene come del passato restino solo le positività. Anche il ricordo della mia avventura con la chemioterapia, conclusa spero per sempre, non è tanto terribile; sono riuscita a superare i disagi inerenti agli effetti collaterali, lasciandomeli alle spalle con facilità e senza strascichi, ed ora mi rendo conto di essere molto maturata. "Gli esami non finiscono mai" era il titolo di una nota commedia di Eduardo De Filippo ed è un'affermazione sempre valida ed attuale: nella vita siamo sempre sottoposti a prove più o meno difficili e nella misura in cui ci riveliamo capaci di superarle dipende la nostra statura morale e la forza di andare avanti nel percorso che ci è dato. La chemio, si sa, non è cosa facile, richiede un atteggiamento mentale estremamente positivo, però e bisogna riconoscerlo, si è sempre supportati da personale medico e paramedico che cura anche il lato psicologico in modo competente e umano. Questo è capitato a me e a tanti altri con cui mi sono confrontata. Dora, la "vivacità accogliente", non mi ha mai fatto sentire malata, quando veniva a sedere accanto a me per tenermi compagnia parlava dei suoi figli, di ricette, degli ultimi articoli casalinghi di cui sua madre era presentatrice, e lo ha fatto sempre sorridendo, allegra, nascondendo bene i crucci e le sofferenze che come tanti sicuramente aveva. Quel giorno m'era bastato sentire la sua voce al telefono per farmi stare meglio, avevo mangiato pane e pomodoro e mi era piaciuto come non mai; i suoi consigli, poi, dati con trasporto ed entusiasmo sarebbero stati per me uno sprone, un incoraggiamento a non arrendermi, qualsiasi ostacolo avessi incontrato.

domenica 5 dicembre 2010

Si va verso la fine dell'anno ed è tempo di bilanci; prendere atto delle voci in attivo e in passivo non è impresa semplice soprattutto da accettare e quindi si cerca di rimandare  il più possibile. Io non posso farlo; dall'approvazione del mio bilancio dipenderanno i mesi futuri ma in particolare i prossimi giorni. Ora sono come sospesa tra quello che successe un anno fa, ciò che vivo oggi e come mi sentirò di agire domani: un tantino abulica, un po' timorosa, incerta a proseguire nella mia normalità. Il fatto è che nel mio bilancio le voci in passivo superano le altre, almeno in apparenza; ho perso la mia cagnolina, mi è stata tolta una mammella, ho trascorso in pochi mesi tanto tempo tra medici, infermieri, esami, flebo, più che in tutti gli anni vissuti fino ad ora. Stando così le cose dovrei chiuderlo in negativo e basta, ripeto, questo almeno in apparenza. Oggi, però mi ha fatto riflettere Francesco, il mio figlio "silenzioso" che parla poco ma quando lo fa  diventa il mio figlio "saggio". "Mamma, ti senti così, vivi male l'approssimarsi delle feste perchè ricordi con insistenza il passato, questo non va bene:  proprio perchè è passato resta alle spalle. Ciò che è successo un anno fa ti aveva destabilizzato; è morta Betty che per tredici anni ha rappresentato la stabilità, Valeria ed io eravamo piccoli, andavamo a scuola, tu eri la "mamma",che pensava a tutto, si sentiva forte, capace di gestire qualsiasi situazione. Betty è invecchiata, noi siamo diventati grandi ed autonomi, poi è morta proprio quando stavamo staccandoci da te. E' stato troppo, hai creduto di perdere i "tuoi affetti" in una volta sola, poi la malattia ha fatto il resto e hai pensato di sprofondare, che ormai era la fine. Ma non è stato così, sei qui, ce la stai facendo e non sei più quella che non ti piaceva essere, sei diversa. E allora??! Non pensare più, continua a...guardare avanti come già stai facendo e non ti girare più indietro perchè ce l'hai già fatta." Francesco mi ha riportato alla lucidità, ha evidenziato due voci nel mio bilancio dell'anno che sta andando via, due voci in attivo: la voglia di vivere e il recupero dell'autostima.

sabato 4 dicembre 2010

Restai a letto per un paio d'ore, alternando momenti di riposo ad altri di veglia; a tratti sentivo la voce di Valeria che parlava al telefono e il passo di mio figlio Francesco in corridoio, mentre Beauty ogni tanto si dava una grattatina. Non stavo bene e il constatare che nonostante tutto,nausea compresa, la vita intorno a me continuasse normalmente non mi dava fastidio, anzi provavo un senso di protezione e ristoro simile a un caldo abbraccio quando hai freddo. Stando a riposo lo stomaco aveva sofferto molto meno e quando mi sentii un po' meglio decisi di alzarmi; di mangiare però non se ne parlava proprio, la nausea era ripresa forte e non sapevo davvero come fare a metter su un pranzo decente per la mia famiglia. Di nuovo pasta con l'olio per tutti? Aggiudicata! Avrei cambiato formato e sarebbe sembrato un piatto nuovo o... quasi. Però ripensandoci, a me nauseava anche quella. Che guaio! Aveva avuto ragione Marta: stesso disturbo della gravidanza. Certo... all'improvviso mi venne da pensare, avrei sopportato meglio questo disagio, tutto sommato passeggero, se l'avessi vissuto proprio come una gravidanza; del resto la fase critica di un tumore, tra diagnosi, intervento e terapia ha più o meno la stessa durata, quindi poteva essere considerata l'attesa di una nascita. Alla fine del tempo,infatti sarebbe nata una nuova creatura: me stessa. Questa rinascita mi avrebbe visto come persona del tutto diversa, con un carattere migliore, molto coraggio e tanta combattività. Un simile pensiero se da una parte mi risollevava, dall'altra non era sufficiente a farmi chetare il voltastomaco, così quando non ce la feci più mi decisi a telefonare al Day Hospital per avere qualche consiglio. Rispose Dora, la caposala, con una bella voce squillante; beata lei, pensai, si sente bene e in forma, ma in realtà Dora è sempre così, a me piace definirla dalla"vivacità accogliente". "Pronto?! Sei tu. Che cos'è questa vocina flebile? Non ti senti bene, vero?" Per rispondere raccolsi tutto il fiato disponibile, tuttavia ne venne fuori una voce ad intermittenza con... puntini di sospensione, non so se ho reso l'idea. Alla mia richiesta di cosa avrei dovuto fare per sentirmi un po' meglio e soprattutto cosa avrei potuto mangiare visto che ogni cibo mi dava nausea, mi rispose: "Pane e pomodoro! Quello devi mangiare: è stuzzicante, saporito e fresco. Tutti i pazienti che fanno la chemio riescono a mangiarlo e lo tollerano molto bene. Poi per sentirti meglio, non stare chiusa in casa, esci, distraiti, VIVI UNA VITA NORMALE! perchè nella malattia la tua esistenza sia più normale che mai: lo devi agli altri che ti sono accanto ma soprattutto a te stessa. Non fare niente se non ti va di farlo e FAI SOLO CIO' CHE TI FA VERAMENTE PIACERE"

venerdì 3 dicembre 2010

  Gli occhi non si volevano aprire, le palpebre grevi e le tempie pulsanti mi impedivano di svegliarmi al nuovo giorno. Dovevo reagire  e cercai di alzarmi, ma fu come se qualcuno, tenendomi un pugno sullo stomaco, volesse spingermi indietro, ed io senza forze mi lasciai andare sul letto. Ma che cosa stava succedendo? Mi ero coricata che stavo bene, o almeno credevo, ed ora non ce la facevo a muovere un dito. Feci uno sforzo e riuscii a sedermi. Il pugno sullo stomaco era salito fino in gola, le orecchie erano tappate e tutto mi girava intorno; possibile??! Il giorno prima, a 24 ore dalla chemio filava tutto liscio, e adesso ero uno straccio strizzato. Restai ancora un po' a letto, la fiacca era davvero grande, ma NON VOLEVO ARRENDERMI: le mie giornate dovevano essere uguali a prima, magari un tantino lente, ma mai e poi mai sarei stata senza far niente, non ero mica "malata"? Eh già, perchè io malata non mi sentivo affatto; la mia logica funzionava come quella di un bambino che dice di essere malato solo quando ha la febbre, la febbre non l'avevo e quindi nessuno poteva chiamarmi "malata", nemmeno io stessa. Quando fui in piedi mi resi conto che la nausea mi sarebbe stata compagna fin troppo fedele per tutto il giorno; mi dava il voltastomaco persino lo spostamento d'aria che procuravo muovendomi, senza parlare dell'odore della mia pelle... Sarebbe stata dura, una bella impresa arrivare fino a sera! Comunque non mi sgomentai: NON VOLEVO ARRENDERMI. C'era il bucato da stendere, così andai sul balcone: la brezza primaverile e l'odore di erba appena tagliata mi fecero aumentare la nausea. Mamma mia, che cosa sarebbe successo allora col cibo? La risposta mi arrivò non appena aprii il frigorifero, dovetti richiuderlo all'istante come se all'interno avessi visto un mostro. Inutile andare avanti: non dichiaravo resa ma mi concedevo una tregua per chiamare a raccolta tutte le mie forze e continuare la battaglia. Era meglio tornarsene a letto e cercare di dormire il più possibile; feci così, mi coricai e ai piedi del letto si accucciò Beauty,piccola sentinella a vegliare il mio riposo.

giovedì 2 dicembre 2010

Oggi, primo giorno dell'ultimo mese dell'anno ho provato la stessa sensazione d'inquietudine. E' stato un attimo e solo una sensazione. Oggi non è come ieri, tanta strada ho percorso, molte difficoltà ho superato col nodo alla gola e le gambe tremanti. Ieri non era come oggi,  non mi sentivo capace neanche di fare un breve tratto e ogni piccolo ostacolo bloccava il mio cammino. La ragione mi ha riportato nella mia attuale realtà e ho capito che per superare tutto e arrivare al traguardo devo continuare a... rivivere col pensiero e raccontare quello che ho passato, che mi ha fatto piangere e sorridere, che mi ha fiaccato e dato forza. Tante sono state le strategie che ho adottato per combattere questa battaglia, una dopo l'altra le ho messe in atto e ora sono qui a raccontarle perchè diventino forza per CHI CREDE DI NON AVERNE.
Un momento dopo aver indossato la parrucca, fiera del mio nuovo look, mi piacqui così tanto, che mi venne la voglia di strafare. "Teresa, ho deciso! Penso di volerne prendere altre due. Le voglio diverse però, che io possa vedermi tutte le volte una persona nuova." Uno sguardo al catalogo e fu fatta: avrei cambiato aspetto a mio piacimento assecondando gli stati d'animo e l'umore. La caduta dei capelli voleva strapparmi la femminilità ed io me la restituivo con tre parrucche diverse: tre diverse personalità. Questo è stato il lato"giocoso" della mia malattia, in seguito leggendo il libro "La ragazza dalle 9 parrucche", scritto da Sophie van der Stap, una giovane scrittrice olandese malata di tumore al polmone, avrei scoperto che un simile atteggiamento è comune in chi vuole sfruttare ogni potenzialità offerta da una circostanza così dolorosa quale il cancro. In effetti quando si vive questa malattia niente va tralasciato, si deve carpire ogni opportunità, godere di tutti gli attimi che danno gioia e fissarli nella mente e nel cuore perchè restino indelebili.

martedì 30 novembre 2010

"Mi raccomando, Teresa, corti corti." "Certo, facciamo la base per la parrucca, non ti preoccupare." Le forbici andavano veloci e le mie ciocche di capelli cadevano sul pavimento, niente di diverso da altre volte, li tagliavo spesso perchè mi piacevano di più e trovavo che mi donassero molto, però questa volta era diverso, in un certo senso ero stata costretta ed ora pensavo a chissà quando avrei potuto avere i capelli come prima. Mi guardavo allo specchio però, ed era come se vedessi un'altra persona, inconsciamente mi staccavo da quello che ero stata fino ad allora per diventare un'altra che accettasse e vivesse la nuova condizione. Quando il taglio fu completato, Teresa mi sistemò la parrucca e l'adattò al mio viso sfilzando qualche ciocca qua e là, poi MI pettinò, uno spruzzo di lacca... ed ero pronta ad affrontare la MIA NUOVA VITA. Un ultimo sguardo allo specchio... SI', MI PIACEVO PROPRIO! Forse,forse MI PIACEVO ANCHE DI PIU'. Ecco quella era la mia nuova immagine e quella sarebbe stata per i prossimi mesi. La mia mente aveva cancellato la vecchia, era inutile stare a piangersi addosso, anzi conveniva trovare subito il lato positivo della cosa, ed io l'avevo trovato nel vedermi meglio di prima, e di conseguenza ancor meglio, con serenità e maggior sicurezza mi sarei proposta all'esterno, così tutti mi avrebbero visto sotto una luce diversa: SEI PER GLI ALTRI QUELLO CHE VUOI ESSERE, E IN QUESTO RIESCI NELLA MISURA IN CUI CI CREDI. Mi dicevo così, me lo gridavo quasi per stamparmelo bene nel cuore e nella mente,sarebbe stata la regola numero uno per poter continuare ad... andare avanti senza mai offrire di me un' immagine di sofferenza, di disperazione; fosse stato anche per poco avrei sempre combattuto con grinta e con il sorriso, perchè allora cominciavo ad apprezzare davvero la vita, la trovavo straordinariamente bella e valeva la pena tenersela ben stretta anche se per il momento dovevo condividerla con il cancro.
Avevo deciso che non avrei aspettato di vedere i miei capelli cadere a ciuffi e i restanti come atolli sperduti nell'oceano, così programmai per quel pomeriggio del giorno dopo la prima chemio, di andare dalle mie parrucchiere, Antonietta e Teresa a tagliare i capelli. Non li avrei rasati completamente, me ne mancava il coraggio, vedermi subito calva, non l'avrei retto, però li avrei fatti corti corti, stile soldato Jane per intenderci, e subito, immediatamente avrei indossato la parrucca. L'avevo già da un paio di settimane, ma era ancora chiusa nella scatola, protetta da una rete impalpabile, mentre la testina, supporto nei momenti di non utilizzo, giaceva in una busta dentro il ripostiglio. Non nascondo che all'inizio mi aveva fatto un po' impressione, indossata la prima volta mi sentivo  mascherata, con impaccio e con un impiccio in testa, prurito, sudore facevano il resto. Mah, mi dissi, chissà se la sopporterò??! L'alternativa, restare senza capelli ed uscire con la testa coperta da un foulard o da un cappello, non mi piaceva proprio, l'immaginarla soltanto mi metteva tanta tristezza, allora mi conveniva abituarmi e anche presto. Era necessario che io guardandomi allo specchio mi piacessi perchè potessi porgere agli altri un'immagine piacevole e serena di me, sarebbe stato uno sdrammatizzare la malattia stessa e contemporaneamente avrei trasmesso un messaggio di speranza: niente è impossibile se si ha la forza di trovare le mille strategie per combattere e superare un momento tanto difficile.
Scesi da casa con parrucca al seguito e andai da loro, Antonietta e Teresa. Nel vedermi sorridente, con il viso rilassato che non mostrava alcuna sofferenza, restarono incredule; anche loro come tanti erano convinte che la chemio fosse una terapia devastante, una sorta di Attila che dove passava lasciava segni inequivocabili. In verità lo avevo creduto anch'io prima di viverla, in seguito, pur riconoscendole effetti collaterali piuttosto forti ma passeggeri, mi sarei ricreduta e sarei arrivata persino a ringraziarla.

lunedì 29 novembre 2010

Mi sono messa sempre in discussione... sempre e senza attenuanti. La malattia non mi ha esonerato da questo, continuo a... farlo. Mi chiedo, dove ho sbagliato?! Se conosco il suo carattere perchè resto ferita da certi  atteggiamenti? Certamente do per scontato che capisca la mia vulnerabilità, la mia voglia disperata di "risorgere" dal buio di un momento difficile, e dall'altra parte invece è scontato che io l'abbia già fatto. Niente di tutto questo. E' una conquista quotidiana la vita che cerco di riprendermi, la comprensione e l'amore di chi mi sta vicino. Pur consapevole di ciò, non riesco ad evitare lo scontro, forse perchè mi sento destabilizzata, vorrei più certezza e quando mi sembra di averla raggiunta mi sfugge di nuovo, per una parola di troppo o per un abbraccio di meno. Nel momento di maggior presenza da parte sua ho chiesto scusa, per non aver capito, per non aver amato abbastanza; ora sbaglio di nuovo, ma perchè? Probabilmente manca l'umiltà di mettersi a nudo, farsi capire mettendo in gioco quello che si è nel più profondo di se stessi. Però si è sempre in tempo per recuperare quando il legame è molto forte ed io lo desidero con tutto il cuore per potermi sentire sicura e protetta  come quando nelle situazioni difficili mi sentivo accarezzare i capelli ed incoraggiare ad andare avanti senza paura perchè non sarei mai stata sola. Ma non basta; la sensazione di sicurezza così donata mi permetterebbe di essere vicino a lei, mia figlia, senza riserve, di gioire a pieno con lei, di vivere le sue ansie con la medesima intensità, senza timore di "essere troppo," troppo ansiosa, troppo ripetitiva, troppo appiccicosa. Voglio sentirmi libera di darle il mio affetto per come ne sono capace, ma non posso non capire che lei vuol essere amata per quello che è, schiva dei suoi sentimenti, parca di effusioni esagerate, ostinata nell'orgoglio. Ho sempre saputo che era diversa da me, non ho mai voluto ammettere che era unica.

sabato 27 novembre 2010

Quando quaranta giorni fa ho finito con la chemioterapia il dottor Antonio me lo aveva detto: " Oggi ti licenzio,  ma se talvolta ti sentirai sola e non capita potrai sempre tornare, perchè, lo sai qui la porta è aperta." Lo aveva detto, io avevo colto la palla al balzo ed ero tornata dopo tre giorni con la scusa di accompagnare mio padre. Ero tornata non perchè mi sentissi già sola e non capita, ma per non sentirmi sola ed essere capita. Poi ero andata il venerdì successivo e l'altro ancora perchè c'era Rosa che non aveva ancora finito e allora, vedendomi di continuo mi aveva apostrofato con una battuta: "Ma è vero che hai nostalgia della chemio?" Ed io di rimando:"Un po' sì, se ve ne avanza una, magari..." E di nostalgia si trattava, sia ben chiaro, non dell'ago che cerca disperatamente la vena o delle tre ore trascorse in completa immobilità, bensì della protezione, della comprensione che in quell'ambito non mi erano mai mancate. "Allora torna, puoi venire a fare volontariato, a sostenere gli altri, ad incoraggiarli, nessuno lo può fare meglio di te che è passata attraverso la terapia e l'ha superata con serenità." Qualora mi fosse servita l'autorizzazione, adesso l'avevo ottenuta, sarei tornata senza timidezza nè imbarazzo con la speranza di aiutare altri, con la certezza  che avrei dato supporto al mio equilibrio. Oggi è un altro venerdì; stamattina mi sono preparata e per andare in ospedale ho preso l'autobus, come sempre, non la mia auto, perchè la tensione per la guida, il nervosismo per la ricerca vana del parcheggio non mi rovinassero lo stato d'animo in vista di qualcosa che davvero mi faceva star bene. Il tragitto in questa maniera diventa un'occasione in più per pensare, osservare ed imparare; pensi a ciò che eri e adesso sei, osservi il mondo esterno e lo apprezzi, impari dai discorsi di coloro che viaggiano con te. Stamane si parlava di Natale in autobus, di turni di lavoro, di programmi, e la mia mente è tornata al Natale dello scorso anno quando è cominciata tutta questa storia che mi ha cambiato così tanto, forse in meglio, chissà... certamente mi ha fatto trovare un coraggio e una serenità mai avuti prima. Questo pensavo mentre guardavo fuori la pioggia che batteva sul vetro del finestrino. E oggi la pioggia mi piaceva e tanto.

venerdì 26 novembre 2010

Un pochino stanca mi sentivo; mi muovevo in casa cercando di mettere ordine ma ero deconcentrata e ogni tanto forte era la necessità di sedere, quasi mi mancava il respiro. Che pretendevo? Non potevo lamentarmi, era già molto NON AVER VOMITATO, essendo questa la peggior cosa che ritenevo potesse capitarmi. Pazienza! Mi ripetevo ancora, passerà; poi, cauta passavo da una faccenda all'altra senza stancarmi, concedendomi lunghe pause magari sfogliando una rivista o appuntando qualche riflessione sul mio diario. Avevo incominciato a scrivere ciò che provavo sul blocchetto dove di solito annotavo la lista della spesa, proprio il giorno che Betty era peggiorata e aveva trascorso tutto il tempo senza staccarsi da me, a poche ore dalla morte, poi c'era stata  la mia malattia... Avevo trovato il modo di metabolizzare quei due eventi così improvvisi e drammatici sottoponendomi a una sorta di autoanalisi: svisceravo le mie emozioni, fortissime, le mettevo sulla carta, rileggevo piano, le lacrime con potere catartico mi liberavano dal peso che avevo dentro. Così avevo continuato e ancora continuo a... farlo.
Era quasi mezzogiorno quando mi resi conto che qualcosa in tavola avrebbe dovuto pur esserci; in realtà la nausea mi impediva anche il solo pensare al cibo, ma la nausea, appunto, era la mia e non di quelli che si trovavano purtroppo a condividerla, quindi che fare? Per quel giorno, niente paura! Pasta con l'olio per tutti, così si rimaneva leggeri, ci si disintossicava dall'abbuffata pasquale ed io, necessità primaria e indiscutibile, non sentivo odori. Mi comportavo da egoista? Ma no! Mi ritagliavo solo un altro pezzetto di cura e attenzione, non lo avevo mai fatto prima, ora me lo dovevo. E avevo ricordato i "compiti a casa"? Certo! Protettore per lo stomaco più compressa per l'ipertensione al mattino, pillola antinausea a mezzogiorno e alla sera avrei preso quella per il colesterolo. Tutto col massimo scrupolo, tutto per cavarmela al meglio e sempre.

giovedì 25 novembre 2010

"Mamma mia, sono già le nove!" Avevo guardato l'orologio sul comodino e mi ero resa conto che, secondo i miei canoni di risveglio, era davvero troppo tardi. "Devo sbrigarmi!" Mi alzai e in fretta mi stavo dirigendo al bagno. In fretta? Ma perchè poi?! Mi fermai anche a causa delle gambe che non sentivo ben stabili e mi posi a pensare quasi stordita, un po'come succede quando di notte ti svegli e non sai se quello che credi aver visto poco prima sia sogno o realtà. In quell'ultimo periodo i miei ritmi erano di forza diventati più lenti, per l'ansia che mi aveva tolto la lucidità persino nell'agire; capitava allora che facessi più volte la stessa cosa senza pensarci e in questo modo non andavo avanti. Ora, quasi euforica per aver ottenuto una piccola vittoria sulla malattia, volevo darmi una mossa, ma in effetti ... non c'era alcuna ragione valida per farlo. Intanto erano ripresi i forti crampi allo stomaco: colpa della chemio? Ma no, dovevo fare colazione e per la serie "le trasgressioni non finiscono mai" decisi di mangiare ancora in pigiama, cosa fino a quel momento per me inaudita. Inaudita perchè frutto di un retaggio atavico attribuibile a mia nonna, donna dall'opinione saggia ma a volte troppo categorica: "una madre di famiglia che se ne va in giro per casa in camicia da notte (ai suoi tempi il pigiama lo indossava solo l'uomo) è sciatta e perditempo, invece si deve alzare presto, lavarsi, vestirsi e mettere il grembiule." Tradendo col sorriso quel principio che avevo fatto mio, andai in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare; presi la bottiglia del latte dal frigo, ma già a guardarla mi sentii venire qualcosa in gola. Il latte no, non era il caso, allora...ecco avrei preso il tè, il tè andava benissimo, ben caldo con una fettina di limone. E da mangiare? I biscotti...no, non m'ispiravano, una merendina? No, proprio no. Però delle fette biscottate con la marmellata le avrei mangiate volentieri... Contenta di questa folgorante e decisiva illuminazione presi dalla credenza un barattolo di marmellata di fragole, la mia preferita, poi apparecchiai un lato del tavolo con un'allegra tovaglietta all'americana e quando il tè fu pronto cominciai a spalmare con cura la confettura sulle fette. Finalmente dicevo addio per sempre a tutte quelle colazioni rimaste sullo stomaco perchè consumate troppo in fretta e sempre in piedi; ora volevo dedicarmi qualche attenzione in più e cominciavo da lì, da un piccolo rito quotidiano.

mercoledì 24 novembre 2010

Così aprii gli occhi al nuovo giorno; un bacio sulla fronte, il buongiorno del compagno della mia vita. "Come ti senti, Mary?" "Bene!" Mi meravigliai io stessa della risposta che mi era venuta pronta. Era andata! Il giorno prima avevo fatto la chemio e stavo bene. Niente di rilevante e mi stupivo degli... attributi che mi ritrovavo. Quanto coraggio avevo messo fuori , quanta voglia di vivere a dispetto del tumore, della terapia e di tutto quello che ne sarebbe derivato. Mi dicevo: due giorni fa stavo piangendo perchè non conoscevo ciò che dovevo affrontare, con i miei gesti di sconforto sono arrivata al punto di offendere chi amo, senza ritegno mi sono lasciata trascinare dall'impulso del momento, oggi è un altro giorno, sono qui, penso, parlo, guardo il sole e ne posso sentire il calore; ho vinto la prima di tante partite e voglio continuare a... giocare le altre e  le vincerò tutte perchè mi sento forte. In effetti una nuova carica mi dava energia, dovevo riconoscere però che non era tutto merito mio. Avevo tanto pregato, ma pregato con parole semplici, a tu per tu con il Buon Padre, mi era sembrato che mi avesse dato più ascolto, Gli avevo chiesto di darmi la forza, accettavo la Croce ma così com'ero non potevo farcela a reggere. Adesso con le stesse parole semplici lo avrei ringraziato, sicura di poter andare avanti sempre con il suo aiuto.
Indugiai a letto quel mattino; la sera precedente avevo messo la caffettiera sul fornello, preparato la tovaglietta con la tazzina e la compressa per mio marito, ora avrebbe potuto fare da solo. L'odore del caffè cominciò a diffondersi per la casa, arrivò anche in camera da letto: un nodo mi bloccò la bocca dello stomaco. Eh sì, ecco la nausea, pensai, feci chiudere la porta e mi appisolai di nuovo. Com'era strano per me stare ancora a letto a quell'ora, ma ormai dovevano cambiare molte cose, prima di tutte avrei dovuto pensare un po' di più a me stessa e riposare, poi capire finalmente quali fossero i miei reali bisogni e desideri e dar loro priorità. Non avrei certo dimenticato di essere figlia, moglie e madre, anzi guardando in me stessa sarei sicuramente diventata figlia, moglie e madre migliore.

martedì 23 novembre 2010

A pranzo mangiai, mangiai abbastanza; penne rigate con l'olio, (pasta grossa e corta più digeribile) mozzarella con due fettine di prosciutto, una ciotolina di fragole. Poi mi sentivo discretamente, un po' deboluccia forse, però nel complesso benino; lavai i piatti, volli farlo per non apparire a me stessa e agli altri ora più che mai malata. Dopo tutto, che avevo fatto di tanto straordinario? Solo la CHEMIO! Lo gridavo quasi tra me, per dimostrare di non aver paura, come si dice, affrontavo così il toro per le corna. A metà pomeriggio la stanchezza aumentò;
"Mamma, vieni ad appoggiarti sul mio letto, io sto al computer, tu guardi un po' la televisione e poi può darsi che ti addormenti, hai bisogno di riposare, sai, per riprendere le  forze." Mi lasciai convincere facilmente da Valeria, proprio non ce la facevo; quasi in trance mi misi a letto e mi appisolai. Ogni tanto mi svegliavo, sentivo sulla fronte una mano che poi mi accarezzava i capelli, la bocca impastata con un retrogusto... forse di naftalina! Disgustoso! Non sapevo se il palato fosse attaccato alla lingua o viceversa, perchè non riuscivo più a distinguerli; arrivò in mio soccorso una bottiglietta d'acqua, dovevo bere molto, a piccoli sorsi per non appesantire lo stomaco, ma dovevo bere, soprattutto per ripulire il mio organismo. Avevo cercato di ridimensionare la forza prevaricatrice della"rossa", provata dal diffuso bruciore durante l'infusione, ma il vedere la mia pipì dello stesso colore mi diede l'idea precisa di che cosa fosse capace. Non ne restai tuttavia impressionata, doveva andare così, non era niente di grave. Tutto il pomeriggio a letto, poi prima di cena la compressa antinausea: la tabella di marcia veniva seguita meticolosamente. Avevo forti crampi allo stomaco: è la fame, pensai. Mi feci preparare due patate lesse e lentamente le mangiai; i crampi sparirono, però mi ritrovai con la sensazione di aver mangiato una spugna, non solo, anche insaponata. Dovevo stupirmi? Ma no, me lo avevano detto che avrei potuto avere alterazioni del gusto. Pazienza ancora! Sarebbe passata anche quella piccola rogna. La situazione era sotto controllo, tutto facilmente gestibile. EVVIVA!! ERO STATA FORTE:  NON AVEVO VOMITATO.

lunedì 22 novembre 2010

Prima che andassi via passò da me il dottor Antonio; "Vedo che ve la siete cavata bene, ora però vi darò i compiti a casa. (leggi: farmaci da prendere a casa)" "E io sarò scrupolosa nel farli perchè me la voglio sempre cavare: sono qua per questo!" "Brava, per questo primo esame, promossa!" Era vero: la prima, temuta prova era passata,mi dicevo, e avevo ventuno giorni da vivere normalmente, facendo le cose di sempre,stando con la mia famiglia , giocando con Beauty, incontrando la gente che mi avrebbe regalato la propria quotidianità. Mi alzai dalla poltrona piano piano, posi i piedi a terra e sentii un leggero stato di ebrezza, come se avessi bevuto un bicchiere di troppo. Presi il foglio con cui mi veniva fissato il secondo appuntamento e la prescrizione delle medicine da assumere a casa; volevo dire qualcosa, forse un semplice saluto ma la voce mi venne fuori flebile, stanca; beh, qualcosa effettivamente cominciavo a sentirla, ma era proprio piccola in confronto a quella che la mia mente aveva immaginato, quindi era meglio non pensarci affatto. Mentre ci avviavamo verso il cancello d'uscita mi sentii un tantino barcollante e gli occhi sembravano colpiti da una luce accecante che in realtà non c'era. Pazienza! Piccoli disagi , tutti sopportabili, e poi sarebbero passati. Fuori c'era Francesco in auto ad aspettarci. "Come va, ma'?" "Bene, mi sento un po' così... ma tutto sommato bene, dai andiamo a casa." Arrivati, volli salire su da sola, mentre i miei figli andarono in farmacia e a far la spesa. Non avevo preparato niente per pranzo quel giorno perchè non sapevo come sarebbe andata con lo stomaco, però mi sorpesi nel constatare che avevo fame, anzi una gran fame, altro che nausea. Allora cominciai a cucinare, apparecchiai la tavola, tagliai le fragole e il loro profumo mi fece venire l'acquolina. Vuoi vedere che sono la prima che fa la "rossa" e non ha la nausea? Mi dissi così e mi sentii contenta, felice; guardai Beauty che mi saltellava intorno e mi venne voglia di prenderla in braccio e coccolarla. Avevo "incontrato" la chemio e la mia vita continuava...

domenica 21 novembre 2010

Nella stanza eravamo rimaste sole, Valeria ed io; dopo l'infusione degli antistaminici e antiemetici arrivò la temibile " rossa", l'epirubicina, un potentissimo antibiotico che doveva scender giù per la vena molto lentamente. Alzai gli occhi, fissai per un attimo quel liquido rosso, distolsi lo sguardo con un senso di repulsione; cercai di rilassarmi, chiusi persino gli occhi, "Mamma, che c'è? Non ti senti bene?" "No, no, cerco di non pensare e di riposare nello stesso tempo." Sentivo il farmaco scivolare all'interno del mio corpo con una sensazione di bruciore diffuso mentre le estremità diventavano sempre più fredde. Rabbrividii. "Ah, beh! Sei arrivata al gingerino." A parlare era stato Orlando, l'ausiliario dalla flemma sorniona, affacciandosi alla porta, "Sei a buon punto, fra poco finisci." Meno male, pensai. Però, che strano!Dopo tutto non mi sentivo tanto diversa da prima; avevo sempre considerato la chemio una specie di veleno potentissimo dall'effetto immediato, mah! Ora dovevo ricredermi, ben felice di poterlo fare. Terminò pure la "rossa", restava solo una flebo per il "lavaggio" della vena. Marta venne a sedersi accanto. "Che dici, Marta, potrei vomitare?" "Vedi, attraverso le flebo ti sono stati già infusi degli antiemetici, non dovresti." Poi estraendomi l'ago dalla vena, "Tu come hai fatto le gravidanze? Vomitavi? Vomitavi spesso?" Veramente a volte vomitavo, ma molto raramente" " Con la chemioterapia potrebbe essere  lo stesso; poi cerca di mangiare asciutto, con poco condimento ed evita gli odori forti." Mi ricordai che quando aspettavo Valeria per limitare la nausea mangiavo patate lesse condite con olio e sale, avrei fatto lo stesso ora, poi avrei detto ai miei uomini di versare nello scarico del lavandino quei loro orrendi dopobarba  che davano la nausea già in tempo normale. Dai, sì ce l'avrei fatta! In quel momento non mi sentivo poi tanto male e con qualche precauzione sarei riuscita a passare indenne anche quei prossimi giorni, attendendo la bonaccia che mi avrebbe portato fino al prossimo ciclo.

sabato 20 novembre 2010

Marta mi chiamò per attaccarmi la flebo; Marta era una delle infermiere, la mia forza rassicurante, così l'ho definita,che pure faceva gli occhi lucidi quando le mie vene giocavano a nascondino o si rompevano all'iniziale pressione dell'ago. Non avrebbe mai voluto farmi sentire dolore, per questo prima di cominciare si faceva il segno di croce e poi procedeva, purtoppo a volte non funzionava e allora diventava paonazza e mi chiedeva scusa. Povera Marta! Ma scusa perchè? Per aver cercato di domare le mie vene "profonde e sottili?" Fosse dipeso da lei...Mi accompagnò in una stanza dove c'erano quattro poltrone molto simili a quella del dentista, "Scegliti il posto", mi disse ed io istintivamente e in fretta andai ad accomodarmi su quella accanto alla finestra; un'altra era occupata da Lucia, una signora gioviale e solare che aveva già percorso la mia stessa strada, stava bene e sorrideva, anche se era lì per fare terapia a causa dei dolori alle articolazioni dovuti all'osteoporosi. Vedendomi imbambolata, impacciata nel sistemarmi sulla poltrona e con gli occhi che tradivano certamente un forte turbamento, cominciò a raccontarmi la sua storia, come aveva scoperto il tumore al seno casualmente, anzi come lo aveva scoperto il medico da cui era andata per dei calcoli alla cistifellea, come aveva vissuto la mastectomia e la ricostruzione superando tutto senza mai disperarsi e considerandosi molto fortunata: doveva proprio ringraziare i suoi calcoli e lo aveva fatto non togliendoli più, ormai li aveva quasi dimenticati perchè non le davano più fastidio. La sua flebo terminò presto e prima di andar via mi salutò con un altro bel sorriso,"Auguri cara, e forza perchè ce la fai: poche lacrime, anzi nessuna lacrima e tanti sorrisi." Le risposi con un battito di ciglia perchè le parole mi morirono in gola. "Marta, lo sai che Lucia mi ha fatto sentire un po' meglio? Era così sorridente , sembrava che non fosse mai stata malata e che stesse raccontando la vicenda di un'altra persona." "Lo so, per questo ti ho messo nella stessa stanza; Lucia è sempre stata così dal primo giorno, è contagiosa, noi l'usiamo, come dire...a scopo terapeutico e la cura funziona sempre."

venerdì 19 novembre 2010

Quella mattina cominciava la mia battaglia vera e propria, l'avventura della chemioterapia. Mi svegliai presto e  stranamente mi sentivo riposata; in verità tutta la tensione l'avevo scaricata con l'ira del giorno prima e mi preparavo in silenzio perchè pensierosa e ormai non più tanto preoccupata. Indossai una tuta scura, tanto, pensai un indumento vale un altro per andare a quell'appuntamento, però la maglietta la scelsi di colore arancio, il colore del sole, intravedevo, nonostante tutto, la luce che allora mi mancava e percepivo quel po' di calore che mi riscaldasse dal freddo persistente.Valeria girava il cucchiaino nella tazza del caffè e mi guardava mentre in silenzio mi muovevo per la cucina con una faccia non certo delle migliori. " Dai, mamma, stasera sarà tutto passato. Pensa che finalmente cominci perchè l'attesa, l'incertezza è senz'altro peggio, ora inizi il cammino e a passo spedito, non accorgendoti del tempo che passa arriverai alla fine." Certo, alla fine, ma a quale prezzo? Pensai rispondendo sommessamente a me stessa. Mia figlia, fin dall'inizio compagna in ogni momento, aveva voluto essermi accanto anche quel giorno perchè "...così ti faccio compagnia, che dici?!" Mi aveva fatto piacere quel suo offrirsi, sentivo meno il peso della mia vulnerabilità e riuscivo pure a farmi coraggio mascherando la  paura per non caricarla di altra angoscia.
Arrivammo in ospedale, al quinto piano, l'unico vicino al cielo, spingemmo la porta ed entrammo. Velocemente e come un automa vidi una sedia libera e mi sedetti, Valeria accanto a me; avevo il cuore che batteva a mille. Ma che ci facevo là, tra tutte quelle persone che parlavano tra di loro, con un cerotto sul braccio o sulla mano quale segno di riconoscimento di una sorte comune? Mi sentivo un'estranea e provavo un certo imbarazzo come se anche gli altri mi guardassero così, da estranea; per fortuna la sensazione di disagio durò poco, cominciai a guardarmi intorno e a fissare nella memoria quei volti, ad ascoltare quelle voci che continuavano a...conservare la serenità di un tempo. Doveva essere vero allora, poter adeguare  la malattia alla propria vita e vivere così, con grande forza e  in assoluta normalità.