giovedì 30 settembre 2010

Dopo quel momento di smarrimento iniziale del pomeriggio precedente, il giorno dopo mi svegliai con uno stato d'animo tranquillo, rasserenata dal piacevole pensiero di poter tornare a guardare al futuro con fiducia. Pensavo di nuovo alla mia vita a casa, alla mia " normalità "; dopo aver accettato quello che mi stava succedendo, metabolizzavo l'idea e cominciavo a pensare positivo. Oddio, quante volte l'ho sentito ripetere in quei giorni e quanto fastidio ho provato ogni volta! Eppure era l'unico modo per riprendere in mano la mia vita che amavo tanto, fatta di piccole gioie e di esagerate preoccupazioni, di tanti sorrisi e di un po' di lacrime. Ci tenevo tanto a riprendermela e ce l'avrei fatta! Dovevo ripeterlo a me stessa di continuo e alla fine mi sarei convinta che niente è impossibile se lo vuoi davvero e con tutte le tue forze,  fossero anche le ultime.
Da quando era morta mia madre mi capitava spesso quando ero in difficoltà o anche solo preoccupata di pensare a lei intensamente; ne traevo grande forza e conforto. Questa abitudine era venuta fuori da un sogno che avevo fatto qualche giorno dopo la sua morte. Lei preparava le sue cose prima di partire ed io la supplicavo di restare, ma lo facevo come se fossi stata ancora una piccola figlia, bisognosa di cure e protezione. A quel punto si fermava e per rassicurarmi diceva: "Ogni volta che mi vorrai, pensami intensamente e io ti prenderò in braccio come quando eri piccola ". Quelle parole mi erano rimaste stampate nella mente e nel cuore e non le avrei mai più dimenticate. Ora in questa mia battaglia sarebbero state lo scudo che mi avrebbero protetto; più volte avrei chiesto alla mia mamma di prendermi in braccio e di non lasciarmi giù fino a quando tutto non fosse finito.

mercoledì 29 settembre 2010

Sorridendo, la dottoressa D. mi guardò e disse: " Purtroppo non basta. Se sapessimo che  non fare determinate cose impedisce a qualcuno di ammalarsi, saremmo già sulla strada per sconfiggere definitivamente il cancro. Ma non è così." Incoraggiata da quel sorriso, proseguii: "Il mio grande errore è stato quello di non aver mai fatto nessun controllo per la prevenzione. Ora sto pagando tutto a caro prezzo." "Il passato è passato e non bisogna guardarsi indietro; non servono i sensi di colpa perchè porterebbero solo a deprimersi, occorre  andare avanti ." Mi pose qualche altra domanda riguardo l'anamnesi e poi insieme scendemmo giù per la risonanza; lei avrebbe assistito all'esame e questa cosa mi fece oltremodo piacere. Indossato il camice verde, entrai nella sala dell'esame dove mi sistemarono l'ago nel braccio per l'infusione del liquido di contrasto, poi in posizione prona, con le mammelle introdotte in due fori, fui posta all'interno di un cilindro che scorreva su un binario, almeno così mi pareva. L'esame ebbe inizio: un soffio che pareva brezza alternava correnti fresche e tiepide che percorrevano i miei seni quasi accarezzandoli,mentre un rumore fatto di frequenze alternate molto diverse fra loro disturbava quella sensazione che avrebbe potuto essere anche piacevole. La posizione prona su un piano metallico non certo morbido, ben presto mi fece provar dolore alle costole, e i piedi a un certo punto non sapevo più come tenerli. Pensavo. " Speriamo che finisca presto! " ma il tempo sembrava interminabile. Sarà durato più o meno quarantacinque minuti, poi finalmente quel tubo si fermò. Scesi e mi sentii con la testa confusa, come in stato di semitorpore, colpa anche degli antistaminici che mi avevano somministrato per eventuali reazioni allergiche. Mi rivestii e, sempre accompagnata dalla dottoressa D. risalimmo in reparto. "Dottoressa, ditemi la verità: sono inguaiata? " "Niente affatto. La risonanza ha rivelato a destra quello che conosciamo già, ma a sinistra ci sarebbe un solo nodulo e anche benigno, quindi la situazione non è così grave come si pensava. Puoi stare tranquilla." Tranquilla, certo ero tranquilla, ma ora che cosa sarebbe successo? Le carte si rimescolavano ancora, e non ero poi tanto sicura di trovare il jolly che mi avrebbe aiutato a vincere la partita.

martedì 28 settembre 2010

Seduta davanti alla finestra era bello vedere che fuori la vita scorreva nella normale quotidianità. I panni stesi al sole che quel giorno era radioso: le tutine rosa di una vita appena sbocciata. Una signora lavava il pavimento del balcone: fino a qualche giorno prima anche per me era stato così, ora era tutto diverso, l'ottica era diversa e altre le mie occupazioni: analisi, esami, controlli. Ma non importava perchè volevo vivere e avevo capito che le cose più importanti ora erano altre, diverse da quelle che fino ad una settimana prima mi arrecavano noia e fastidio. Quanto difficile mi ero resa la vita! Era necessario che mi riscattassi. Da questa esperienza, con l'aiuto di Dio, sarei uscita completamente rinnovata, matura,consapevole di me stessa come essere umano nella sua completezza. Era stato un gran brutto accidente ma non era venuto solo per nuocermi. Con le braccia conserte la mano sinistra andò sul bozzo, nodulo, accidente qual dir si voglia (lo avevo chiamato in tanti modi!) ; ondeggiava sotto le mie dita ed era sempre lì, tranquillo ed immutabile a ricordarmi quella forzata luna di miele con il sintomo.
Verso le tre del pomeriggio vennero a chiamarmi per  la R.M.; dovevo  però passare per l'anamnesi dalla dottoressa D. Tutti, dottori, infermieri e persino pazienti la chiamavano con il solo nome di battesimo perchè era bello e musicale, dolce come una fetta di torta alla frutta. Lei stessa, poi, era sempre così disponibile e gentile da meritarsi quel nome che, devo dire, le calzava a pennello, Arrivai nella medicheria, mi fece accomodare e mi chiese: "Da quanto tempo vi siete accorta del nodulo?" "Due mesi." "Avete mai bevuto o fumato?" "No, non ho mai bevuto nè fumato, nè ho familiarità, ho allattato e non ho mai assunto ormoni, eppure mi è venuto questo!" Dissi tutto ciò con impeto e accalorandomi per sottolineare quanto la sorte fosse stata ingiusta con me.

lunedì 27 settembre 2010

Questo titolo se lo guadagnò da subito Rosaria, fin dal mattino successivo quando a mamma Ripalta bastò aprire gli occhi e dire: "Chissà, forse mi alzo!" che lei era già là, ai piedi del letto con le ciabatte in mano, e poi: "Me la prendo o no la protezione per lo stomaco?" subito Rosaria pronta a porgerle il bicchiere dell'acqua. Anche lei aveva alle spalle un vissuto doloroso; a ventiquattro anni aveva subito un intervento che le avrebbe negato la gioia di diventare madre e le era rimasta questa aspirazione in sospeso così che anche ora che ne aveva settantadue sentiva il bisogno di avere qualcuno da accudire. Un po' mamma, un po' figlia quindi ma comunque una persona molto buona dai sentimenti semplici e genuini.
Era ormai arrivato il venerdì, giorno fissato per la R.M. E' inutile nascondere che avevo timore di questo esame, non sapevo come si sarebbe svolto e chissà quale altra sorpresa mi avrebbe riservato. Cercavo di osservare e analizzare il tutto con lucida freddezza. Poi mi dicevo: "Ma è a me che sta capitando tutto ciò??! Non è possibile!" Eppure era vero. Forse non ero più tanto preoccupata... o non lo ero abbastanza? A tratti mi consideravo un' emerita incosciente, convinta di sottovalutare la situazione e le eventuali conseguenze. Una cosa però era certa che nei momenti di serenità e di quiete riuscivo anche a vedere i lati positivi di quell' "accidente": la mia vita stava cambiando, anzi era già cambiata e in meglio, mi sentivo circondata da tanto amore e finalmente capivo che avevo ancora tanto da donare perchè in realtà non si finisce mai di farlo. Sentivo di amare tutti, ma proprio tutti, la mia famiglia  ma anche quelli che andavo conoscendo man mano: mi facevan dono della loro esistenza e nello stesso tempo motivavano la mia. Amavo tutti incondizionatamente.

domenica 26 settembre 2010

Nel pomeriggio mi avevano portato da casa un televisore che avevo sistemato sul comodino; ora che tutti erano andati via lo tenevo acceso ma con poca convinzione perchè continuavo a parlare con mamma Ripalta del più e del meno,della nostra giornata in reparto, delle nuove conoscenze tra i ricoverati. Nella stanza eravamo ancora solo noi due e potevamo disporre dello spazio e del tempo come meglio ci piaceva; stavamo molto bene e quasi avevamo dimenticato il motivo per cui eravamo lì, in particolare io riuscivo anche a ridere di gusto come non mi succedeva da tanto tempo: le situazioni non mancavano e anche se in un contesto anomalo  la mente e lo spirito avevano la giusta leggerezza per apprezzare le piccole cose e ridere di esse.
Erano ormai quasi le dieci di sera quando nella "nostra" camera arrivò direttamente dal Pronto Soccorso un  nuovo ricovero ed entrò Rosaria. Istintivamente guardai mamma Ripalta; aveva uno sguardo tra il deluso e il diffidente e serrava le labbra con disappunto,chiaramente quella "intrusione" la seccava non poco e poco faceva per nasconderlo. Dopo che la nuova arrivata si fu sistemata, cominciò a sottoporla a un fuoco di fila di domande, a una specie di terzo grado per vedere se mai poteva esser degna della nostra attenzione. Assistendo a tutto ciò, non so perchè mi divertivo tanto e guardavo entrambe con estrema simpatia e gratitudine perchè mi stavano donando un momento di serenità e spensieratezza. Parlando tra di loro, a poco a poco il clima si distese anche perchè Rosaria era di una mitezza disarmante che in breve tempo riuscì a sciogliere le riserve della forte mamma Ripalta. Appartenevano allo stesso paese, conoscevano le stesse persone, alla fine scoprirono di conoscersi pure loro e Rosaria diventò "l'attendente" di mamma Ripalta.

sabato 25 settembre 2010

Il pavimento del corridoio era bagnato ed esitai ad uscire dalla stanza per non rovinare il lavoro altrui; guardai in fondo e Dina, l'operatrice delle pulizie aveva quasi terminato. Dovevo andare da mio padre, alla N. 3 ma preferii aspettare. "Uè, cià (leggi: ciao ), che fai qua?", era il saluto che due volte al giorno, sempre lo stesso mi rivolgeva Dina; in quel momento vedendomi titubante ci aggiunse anche: "meh, mo' puoi pure passà". Con l' andatura ondeggiante e il fare pacioso era una gran simpatica e la sua presenza in reparto scandiva le prime ore del mattino e quelle del pomeriggio, in modo che, guardando lei si aveva l'idea precisa dell'ora esatta. Erano quindi poco più le nove del mattino quando , calpestando il pavimento lucidato "a specchio", arrivai nella stanza di mio padre. Andava migliorando rapidamente, lo si notava dall'aspetto e dal fatto che stava riprendendo le fattezze di eterno insofferente. "Sta proprio meglio!" dissi tra me e mi consolai al pensiero che almeno per lui il peggio era passato. Dopo la morte della mamma era rimasto come unico riferimento, legame importante tra il passato con le nostre radici e il futuro con le logiche aspettative: avremmo voluto, se fosse stato possibile fargli dono di una longevità tale da poterci sentire anche noi quasi immortali, in altre e semplici parole avremmo volentieri fermato il tempo. All'ora di visita, quando eravamo tutti ci fermavamo in quella stanza N. 3, e sembrava di essere a casa, la sera della domenica quando ci ritrovavamo a parlare, a confrontarci, a condividere tutto ciò che era successo durante la settimana. Quel clima familiare che si ricreava era un motivo in più per me di serenità e distensione, mi dava sicurezza e alimentava la mia voglia di vivere. Come quando cominci ad assaporare qualcosa di molto dolce , ti accorgi che ti piace tanto e ti convinci che non vuoi rinunciarci.

venerdì 24 settembre 2010

La campanella di Padre Angelico mi svegliò da un sonno tranquillo; la notte era trascorsa serena ed io mi sentivo riposata. "Buongiorno, sorelle! Sia lodato Gesù Cristo!" Come ogni mattina Padre Angelico entrò nella stanza a dispensare il Corpo di Cristo e parole di conforto. Presi la Comunione e mi sedetti per ringraziare pregando; le formule di preghiera erano sempre le stesse ma in quel momento provai un che di diverso, come se si fosse stabilito un filo diretto con il Signore e quelle parole avessero assunto un senso più pieno, di un'intensità indicibile. Mi ero sempre considerata una persona di fede, una buona cristiana, ma la vita  fino ad allora non mi aveva provato in modo così diretto ed io dovevo ancora imparare che ben altri sono i livelli a cui tendere per poter dire: ho fede. La fede non è statica, è in crescita continua e perciò viene messa alla prova; e prova dopo prova va maturando in un processo che non ha mai fine. All'inizio di questa mia storia mi sentivo così in preda all'angoscia che mi rivolsi a Dio come a cercar rifugio, lo supplicai di darmi un'altra occasione, di poter recuperare quello che avevo perso, di non ripetere gli errori commessi in passato. Mi guardavo indietro e mi sembrava che quei tre quarti del cammino fossero stati del tutto inutili, non mi ci ritrovavo più, per giunta non sapevo se davanti a me ne avevo abbastanza per potermi orientare questa volta nel modo giusto. Pregai tanto e tanto ancora e poi cominciai a parlare proprio con Dio, ad affidarmi a Lui totalmente e alla fine capii che me la stava dando un'altra opportunità: si fidava di me e mi metteva alla prova, io dovevo fidarmi di Lui, credere e sperare. Mi dotava delle armi per combattere, non dovevo temere perchè Lo avevo come alleato, bisognava solo che andassi avanti.

mercoledì 22 settembre 2010

Un'altra giornata in ospedale era terminata e mamma Ripalta ed io continuavamo ad essere le sole inquiline della stanza N. 10. In verità eravamo molto contente di esserlo perchè il nostro accordo era perfetto, ma sapevamo che questo stato di grazia non sarebbe durato a lungo, dato il continuo affollamento di quel reparto di Chirurgia Generale. "Pazienza!" diceva mamma Ripalta, "speriamo almeno che chi viene sia come noi e non cominci a dare fastidio". Sorridevo a queste parole perchè erano dette con un impeto e una schiettezza tali da donare un senso di sicurezza e di protezione e per un po' mi sentivo come a casa. Già, a casa! Chissà quando ci sarei tornata. Quella sera, a letto, attraverso la solita finestra senza tapparelle guardavo fuori. In qualche abitazione la luce era ancora accesa. Cercavo di immaginare la scena all'interno. Spazzati via i troppi pensieri mi ritrovai all'altro capo della città , proprio nella mia casa; lì era tutto come sempre, al suo posto o quasi , perchè niente veniva scalfito da ciò che mi era capitato. Per tanto tempo mi ero affannata affinchè tutto fosse perfetto, con la presunzione di essere unica e indispensabile, ora mi rendevo conto che comunque con me o senza di me la vita andava avanti. Io volevo esserci ugualmente però e con una consapevolezza diversa: mi sarei amata di più, non avrei annullato me stessa negli inutili affanni quotidiani, sarebbe stata una perdita di tempo ed ora il tempo per me diventava prezioso. Prepotente sentivo la necessità di recuperarlo; promisi a me stessa che l'avrei fatto e tutto sarebbe stato diverso.

martedì 21 settembre 2010

Da sempre molto unite ognuna sapeva di poter contare sulle altre; anche quando era morta nostra madre avevamo condiviso il dolore donandoci i ricordi che la riguardavano e la ricchezza di valori che ci aveva lasciato. In questa maniera, piano piano il dolore stesso si era trasformato in malinconica nostalgia, un sentimento che scalda il cuore, non lo lacera. Un discorso a parte merita mio fratello; dico "merita" a ragion veduta perchè a lungo è stato relegato nella mia categoria "errori di valutazione". Nove anni più giovane di me, unico fratello, il più piccolo, è stato sempre "il fratellino"; gli ero molto affezionata, ma negli ultimi tempi, non vedendolo che nelle feste comandate, lamentavo di lui non una carenza, ma una mancanza di fisicità affettiva fatta di confidenze, supporto e di tante risate insieme per passare il tempo, ricordando i nostri trascorsi familiari. Beh, mi son dovuta ricredere perchè in questa occasione l'ho sentito molto vicino, abbiamo parlato tanto ed è come se si fosse ripreso un discorso interrotto da tanto tempo ma di cui non si è perso mai il filo. Ci vediamo sempre poco, però ora so che lui c'è.
Questa malattia, è meraviglioso constatarlo, mi ha permesso di scoprire nuovi rapporti, ha confermato delle certezze, ha fatto sì che rivalutassi persone e situazioni che si sono trasformate in altrettante certezze ancora più forti. E' stato il rovescio positivo della medaglia che mi ha fatto continuare a... credere negli altri.

lunedì 20 settembre 2010

Di normalità avevo bisogno per distrarmi dal chiodo fisso del mio problema, ma anche per offrirmi possibilità di prospettive future: desideri da realizzare, progetti incompiuti da portare a termine, continuare a... vivere come se niente fosse stato. Tutti mi dicevano che potevo stare tranquilla, che sarebbe andata così, ed io volevo crederci e ci credevo, poi arrivava un brutto pensiero, una nuvola grigia e la mia anima perdeva la sua luce. Quanti alti e bassi! Mi accorgo per questo che il mio racconto a tratti può sembrare ripetitivo e risultare noioso, ma tali erano e sono ancora le emozioni altalenanti della mia persona. Per tirarmi su ed andare avanti, più volte ho cercato l'aspetto positivo della vicenda e l'ho trovato nell'amore di chi mi era vicino o solo mi conosceva, oppure si relazionava con me nel quotidiano. Che mi volessero bene i miei familiari era in qualche modo scontato, ma le lacrime di Titti al telefono quando le comunicai la cosa erano tutt'altro che scontate. Titti e le due sorelle, Lella e Sandra gestiscono insieme un negozio di alimentari dove ogni giorno vado a fare la spesa; sapevo che mi erano affezionate ma non immaginavo fino a quel punto. La loro solidarietà mi commosse, le premure di cui mi ricoprirono furono tante e tali che le sentii vicine non dico come sorelle ma quasi. E a proposito di sorelle, che dire delle mie, Marcella e Franca? Potrei dire tutto e più di tutto e non basterebbe a spiegare quello che hanno fatto e continuano a fare per me, perchè io non sia sola nella malattia e possa continuare a... provare gioia, essere allegra, sentire la pienezza della speranza.

sabato 18 settembre 2010


Me lo aveva regalato qualche anno prima sotto le feste natalizie dopo che l'avevo rimproverata per non aver comprato la stella di Natale dell'AIL, pur sapendo che io ci tenevo molto. Lì per lì c'era rimasta e mi aveva anche risposto in maniera poco ortodossa, poi la sera era tornata a casa con quel piccolo fagottino di carta colorata e me lo aveva donato con un bacio e senza parole. Eh, lei era fatta così: poche effusioni, poche parole, e tanta concretezza. Da bambina non aveva amato le coccole, anzi aveva mostrato sempre fastidio per le smancerie eccessive; seria e riservata non mi aveva mai permesso di amarla a modo mio, di questo ci soffrivo un po' e lei lo sapeva, per questo ogni tanto mi mandava un messaggio criptato in un piccolo dono ricco di significato. Ora riportandomi l'elfo delle coccole in ospedale mi ripeteva a suo modo che mi voleva bene, che mi era vicina in quel momento e che mi avrebbe voluto presto a casa. Mi venne il magone, ma riuscii a vincermi e mostrando contentezza posi lo gnomo accanto alla sveglia, ricreando un piccolo angolo di casa. Approvata in pieno la lista della spesa, dovetti riconoscere che Valeria se la cavava proprio bene, anche se si lamentava degli uomini di casa che avrebbe voluto più accorti, più collaborativi e , a dir suo, meno menefreghisti. Dopo venivano a trovarmi appunto gli uomini di casa che si lamentavano di lei perchè si era calata troppo nel ruolo diventando una gran rompiscatole. Che dire? Tutto continuava come prima...Piccole beghe familiari, lamentele a non finire e un pizzico di vittimismo per tutti. Pensavo: ma neanche una malattia in pace posso farmi? Poi mi ricredevo perchè quella era la mia quotidianità, l'interagire solito dei miei cari, in un'unica parola, la normalità: ciò di cui avevo bisogno in quel momento.

venerdì 17 settembre 2010

Indossai la mia vestaglia "trendy" e andai da mio padre per il buongiorno. Entrambi stavamo meglio quella mattina, più sveglio e cosciente lui, più serena e consapevole della situazione io. Ero ad un'altra tappa della mia crescita interiore, ma ancora lontana dal superamento di tutti gli ostacoli che mi avrebbero portato alla vittoria sul cancro e alla conquista di me stessa. Sapevo sicuramente di voler offrire un'immagine di me che non fosse quella riflessa dallo specchio della malattia, non sofferente perchè in effetti non soffrivo, non disperata perchè comunque, piano piano e anche per merito delle persone che avevo intorno, la speranza in me cresceva come una fiammella alimentata dall'ossigeno. Nei momenti critici sono fondamentali sia i rapporti familiari , sia gli incontri con altre persone, questi ultimi in particolare danno luogo a delle coincidenze quasi magiche che convincono dell'esistenza di una possibilità in più. Bisogna solo essere attenti all'ascolto e umili nell'accettare i doni che vengono offerti, perchè tutti possono donare e tutti possono ricevere.
Ero ancora nella stanza di mio padre quando passò il carrello della colazione; a distribuirla c'era Biagia. L'avevo conosciuta già il giorno prima, quando mi aveva accompagnato giù per fare la radiografia al torace. Così solare ed allegra faceva venire il buonumore solo a guardarla, così gentile e disponibile metteva a proprio agio la persona più difficile. La colazione servita da lei, quindi diventava un servizio da hotel a cinque stelle: grazie, gioiosa Biagia! Un dono anche da parte tua.
La mattinata trascorse così, tra due chiacchere in stanza, quattro passi in corridoio, decine di pensieri per la testa. All'ora di visita venne Valeria, ai miei occhi piccola figlia di botto chiamata ad essere grande donna. Arrivò con la lista della spesa per il giorno dopo, per farmela controllare,e l'elfo delle coccole, un piccolo gnomo che mi aveva regalato qualche tempo prima e che io tenevo su una mensolina in cucina.

mercoledì 15 settembre 2010

"Figlia mia, questa è la vita. Può succedere a tutti, anzi se guardi bene succede a tutti; io, per esempio, sono rimasta vedova con quattro figli e senza un soldo, mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti. I malanni poi, non mi sono mai mancati: porto la cassetta per il cuore (leggi pacemaker), tre anni fa ho avuto un tumore all'intestino, mi sono operata e sono andata avanti, poi ancora un'ernia e adesso questa debolezza, l'anemia! Mah, chissà perchè!? Ma io voglio vivere anche se ho una bella età, e poi il 2 luglio devo andare al matrimonio di mia nipote Silvia, mica ci rinuncio." "Non posso pensarci: perderò il mio seno". "E che fa?! Poi ti ricostruiscono". "E i capelli? Con la chemio mi cadranno tutti". "E che fa?! Sono capelli, poi ricrescono. L'importante è che tu continui a stare sulla faccia della terra e fai sentire la tua voce, perciò fatti coraggio e vai avanti: andrà bene pure per te, oggi non si muore più per un tumore, però bisogna lottare". Che spirito combattivo quello di mamma Ripalta! A 86 anni, nonostante tutto si sentiva "giovane" e sicura tanto da infondermi forza e anche entusiasmo, sì proprio entusiasmo nel riprendere possesso della mia vita o meglio della mia voglia di vita che, a momenti alterni, tra coraggio e scoramento, serenità e inquietudine, stavo perdendo. Mi asciugai gli occhi; grazie a quelle parole tutto sembrava ridimensionato, meno grave, e più ci pensavo meglio mi sentivo. Mi convincevo che condividere la paura equivaleva a smitizzarla, ad osservarla con occhio freddo e distaccato, a non sentirla più con tutto il suo peso.

martedì 14 settembre 2010

Dalla finestra senza tapparelle lasciata socchiusa entrava la prima luce dell'alba accompagnata dal suo profumo. Mi colpì gli occhi ancora chiusi, li aprii appena per guardare l'ora alla sveglia che avevo sul comodino (l'avevo portata per avere sempre con me un pezzo di casa mia): erano le cinque e mezzo. Ormai cominciava a far giorno presto, segno che la primavera era alle porte e lo si intuiva anche dal profumo dell'aria, odorosa di erba novella e di rugiada. Misi il braccio fuori dal lenzuolo per sentire il tepore, il palmo aperto della mano si chiuse a pugno per trattenere le sensazioni uniche di quel momento. Avevo dormito tutta la notte senza svegliarmi e questo non capitava da tempo; mi sentivo in effetti più tranquilla, anche se non sapevo che cosa dovevo affrontare in quella giornata. Al momento del ricovero mi avevano fatto l'elettrocardiogramma e nel pomeriggio l'RX toracico, ora mi toccava forse un prelievo per un esame di routine? Chissà! Devo confessare che i prelievi (un tempo!) erano il mio terrore e per questo fino a quel momento ero sempre scappata dagli esami di sangue e dai check up vari, non sapevo che cosa mi sarebbe stato riservato dopo! Giusto contrappasso,devo dire. Dopo un po' mi levai restando seduta sul letto; anche mamma Ripalta era sveglia e mi salutò con un buongiorno e un cenno di mano. Sarà stata la lontananza da casa, un po' d'ansia o chissà cosa che mi alzai di scatto e mi andai a sedere accanto a lei. Scoppiai a piangere senza ritegno e senza ritegno dissi: "Perchè mi doveva capitare tutto ciò? Come farò?" A questo punto mamma Ripalta mi prese la mano e me la strinse forte.

lunedì 13 settembre 2010

Tra le altre sofferenze le era stata risparmiata almeno questa, sapere che sua figlia stava combattendo con un male che nell'immaginario comune è considerato come incurabile. Come tutte le madri in presenza della malattia di un figlio, avrebbe voluto essere al mio posto e si sarebbe sentita impotente: il suo dolore sarebbe stato immenso. Io stessa, sin dall'inizio di questa disavventura che aveva coinvolto l'intera mia famiglia, più volte avevo pensato che tutto sommato non eravamo stati tanto sfortunati, visto che dall'accidente ero stata colpita io e non uno dei miei cari; io sapevo come fare, avrei aggirato l'ostacolo per farcela, avrei raccolto le mie forze per concentrarle su di loro e ce l'avrei fatta.
La sera giunse veloce e io conclusi quella giornata sfogliando una rivista e leggendo qualche pagina di libro, mentre la mente ogni tanto andava altrove, alla mia casa e alle mie cose, a tutto ciò che di noto avevo lasciato per andare incontro a ciò che non conoscevo e che mi faceva paura.
Dormiva già da un po' "mamma" Ripalta, così la chiamerò perchè è stata la prima e la più anziana tra le persone incontrate con cui ho condiviso e condivido ancora questa mia storia, dormiva, dicevo anche se avevo la luce accesa, a lei non dava fastidio, come non le dava fastidio niente di quello che facevo perchè sosteneva che io ero "giovane" e certo le mie esigenze non potevano essere uguali alle sue, quindi contrariamente a quello che di solito succede, lei si doveva adattare. Unica, accomodante, con lo spirito di eterna ventenne si elesse compagna ideale di stanza.
Smorzata la luce, chiusi gli occhi, pensando al giorno dopo e a quello che sarebbe stato.

venerdì 10 settembre 2010

Non si può immaginare quanto bene faccia parlarsi in determinate situazioni e di rimando quanto danno arrechino le parole non dette creando un disagio fatto di incomprensioni e di incompatibilità. Se il dialogo e la condivisione di emozioni e stati d'animo fossero vissuti in modo normale e spontaneo, certamente i rapporti familiari, interpersonali e sociali sarebbero migliori.
Così trascorsi la mia prima mattina in ospedale, parlando con mio padre e facendo affiorare nella nostra memoria ricordi che entrambi pensavamo dimenticati. Era ormai quasi ora di pranzo quando tornai nella mia stanza; entrando notai con piacere che non sarei stata più da sola. Sul letto difronte al mio era seduta un'anziana signora, piccola, pallida, dall'aspetto molto dolce e dai colori luminosi. Era stata accompagnata dalla figlia e dal genero che, visibilmente preoccupati si trattenevano ancora un po' per farle compagnia. "Buongiorno",dissi entrando, poi mi presentai cercando con un sorriso di entrare in sintonia con loro. La cosa riuscì perfettamente e in breve ci ritrovammo a parlare di noi, delle nostre malattie e dei nostri timori. Ripalta, questo era il nome della mia compagna, aveva un aspetto estremamente rassicurante, uno sguardo sereno e nel modo di porgersi mi ricordava tanto la mamma, la mia mamma che in quel momento avrei voluto avere accanto. Ah, se avesse potuto essere lì! Mi sarei sentita protetta, custodita dal suo amore, confortata dalla sua comprensione. Ma lei non c'era, almeno fisicamente non poteva esserci, di questo ne soffrivo ma la ragione mi diceva che forse era stato meglio così.

giovedì 9 settembre 2010

Mio padre aveva ancora gli occhi chiusi quando entrai nella camera e salutandolo con un bacio gli chiesi: "Posso venire qui stasera a vedere la televisione con te?" "Ma io devo vedere la partita". Poi di scatto aprì gli occhi e mi guardò. "Tu... la televisione?! Qui... stasera??" "Oggi mi sono ricoverata anche io...ho qualcosa al seno, forse un tumore, anzi è un tumore e dovranno operarmi". Si portò una mano tra i capelli e gli occhi gli si inumidirono di lacrime, mio padre che io avevo sempre visto sotto una luce diversa, che avevo amato ma anche tanto temuto, che non avevo mai sentito tanto vicino come in quel momento. "Devi aiutarmi a continuare ad... andare avanti in questo percorso tanto difficile. Senza volerlo mi hai spinto sulla strada giusta, ora ti prego dammi sostegno perchè io non abbia paura di affrontare ciò che mi aspetta". Ci ritrovammo così a piangere insieme, confortandoci a vicenda, vivendo l'uno il dramma dell'altra e viceversa. La vita è proprio strana! Quando credi di aver capito tutto, di aver sistemato ogni cosa nella tua esistenza , di essere sempre nel giusto, quando insomma ti sei fatto le tue categorie mentali, eccoti arrivare tra capo e collo una bella tegola, di quelle pesanti, e tutto si rimette in gioco in modo prepotente.
Alleggerita di un bel peso, tornai nella mia stanza; dovevo decidermi ad indossare il pigiama e a malincuore lo indossai e poichè ancora non avevo compagne, nella mia nuova veste di "malata ufficiale",tornai da mio padre con un cuore più sereno.

mercoledì 8 settembre 2010

"Quando si dice la realtà a volte supera la fantasia!" Con queste parole mi accolse la caposala dopo aver sentito il mio cognome. "Quindi il paziente operato ieri è vostro padre? Beh, vi volete davvero bene per esservi accomunati nello stesso periodo con la stessa malattia."La situazione, pur nella sua drammaticità faceva comunque sorridere; lo scrittore dalla fantasia più fervida non sarebbe stato capace di creare un intreccio così. Mentre mi preparavano il letto pensavo a come avrei potuto far passare la mia degenza in incognito, visto che mio padre, all'oscuro di tutto era in una stanza all'inizio del corridoio, mentre io sarei stata in un'altra alla fine dello stesso. Avrei dovuto rimanere relegata in uno spazio veramente limitato: una bella impresa! Quando la stanza fu pronta, velocemente, senza guardarmi troppo intorno, andai per sistemarmi. Non c'era nessuno. Mi dispiacque un po', avrei preferito almeno una compagna, così, da sola sentivo troppo il peso dei miei pensieri e delle mie ansie. Pazienza! Mi dissi e mi sedetti sul letto aspettando che passasse la visita dei medici. Restai in "borghese" perchè non me la sentivo di indossare il pigiama alle nove del mattino, era troppo da malata ed io malata non mi sentivo proprio. Dopo un po' passò il medico, prese visione delle mie condizioni e rese effettivo il mio ricovero; poi per quanto riguardava mio padre mi consigliò di andare da lui, vestita così, ancora in abiti civili e di comunicargli semplicemente come stavano le cose: lui era un uomo forte e avrebbe capito. Beh, non era certo facile trovare la formula giusta, però dovevo decidermi altrimenti sarebbe diventato tutto più complicato.

martedì 7 settembre 2010

Quando per motivi contingenti mi ritrovo a pensare a tutti gli ostacoli incontrati in questo mio cammino, anche se mi sento sfiduciata e mi sembra di combattere a vuoto perchè mi sono imbattuta in un altro che credo ancora più grosso, mi scopro dentro una forza tutta nuova, una specie di rinascita che fa sì che io consideri tutto ciò che di difficile è passato come una pratica evasa, da archiviare ma non da dimenticare, pronta a sbrigarne subito un'altra con lo stesso impegno e ostinazione. E se è vero, come diceva il "divin poeta", che "non c'è maggior dolor che ricordare i tempi felici nella miseria", è pur altrettanto vero che quando la miseria non è tutta trascorsa è una grande gioia ricordare i dolori che l' hanno accompagnata per poter vivere quelli rimasti con forza, nella convinzione che non potranno mai essere più grandi di quelli precedenti. E così si continua ad...andare avanti. Queste mie considerazioni che potrebbero sembrare farneticazioni di una mente delirante, fanno altresì parte di un piano strategico per combattere una guerra che altrimenti sarebbe da pensare persa in partenza tanto è dura ed imprevedibile.
L' inizio della mia battaglia è tutto chiuso in quel grigio mattino di marzo, quando chiudendomi alle spalle la porta di casa, andavo in ospedale a dichiarar guerra al mio unico nemico: il cancro. Varcai la soglia dell'edificio e con passo spedito mi avviai agli ascensori; mio marito ed io entrammo in uno di essi, prememmo il tasto del IV piano: Chirurgia Generale. ERA FATTA! In quel momento ebbi la chiara convinzione che non sarei più tornata indietro, non solo perchè non potevo, ma soprattutto perchè non volevo. Così continuavo a...credere in me stessa.

sabato 4 settembre 2010

Fu una notte insonne e l'oscurità coprì di ombre i miei pensieri. Appoggiata alla spalliera del letto, sentivo il respiro di mio marito che mi dormiva accanto; nonostante la tensione provai un senso di tranquillità perchè avvertivo in quel respiro regolare il segno che tutto continuava a... scorrere normalmente e che la vita non si sarebbe fermata. "Che fai, non dormi?"mi disse, svegliato da un mio lieve movimento, "Cerca di riposare, sei stanca e domani avrai una giornata pesante, densa di tensioni e cambiamenti; però sarà anche l'inizio della risoluzione del problema e questo pensiero deve rasserenarti e farti guardare al futuro con ottimismo". Dicendo così mi prese la mano e la strinse forte, poi si riaddormentò. Con gli occhi aperti nel buio facevo mille pensieri, avevo mille paure perchè sapevo bene quello che mi aspettava. Che sarebbe stato per me, grande fifona, l' affrontare le difficoltà delle terapie, il viverne gli effetti collaterali? Forse sarei crollata. Le ore trascorsero così, lentamente, come il progredire di una processione sacra che segue un unico percorso. Alle prime luci del giorno mi alzai e andai in cucina per preparare il caffè. Come un copione già vissuto mi ricordai di qualche mese prima, quando di punto in bianco mi ritrovai quel "bozzo" nel seno; già, proprio lui, erano tre giorni che non lo "torturavo" piu', dal momento della mammografia ne avevo preso le distanze e provavo la forte sensazione che il seno, anzi entrambi i seni non mi appartenessero piu'.

giovedì 2 settembre 2010

"Porta con te il beauty grande, così le tue cremine staranno comode e tu non faticherai a cercarle. Ah, mamma, non dimenticare qualche cruciverba e una penna! In ospedale il tempo passerà in fretta e con lui questo brutto momento; però tu non devi scoraggiarti, perchè non sei sola, lo sai che noi ci siamo." E' vero, loro c'erano ed io sentivo tutta la forza di quella presenza d'amore.
Era quasi tutto pronto e intorno a noi intanto, andava trotterellando dietro una pallina la piccola Beauty. Mi tornò in mente allora Betty; come sarebbe stato difficile per me ora lasciarla, lei che mi era così legata da rifiutare il cibo in mia assenza, avrebbe sofferto tanto da star male. Pensai, anche la sua morte non era avvenuta a caso, come, in effetti niente avviene per caso.
Prima di chiudere il borsone ci misi due libri che avrei voluto leggere da tempo: questa era l'occasione giusta per farlo, perchè adesso potevo, anzi dovevo pensare a me stessa e a tutte le cose che mi piacevano e mi interessavano. Piano, piano incominciavo ad amarmi un po' di piu'. Tirai un sospiro e tornai in cucina per rassettare dopo la cena, poi sistemai ogni cosa e preparai la lista della spesa per il giorno dopo. Francesco avrebbe avuto questo compito: il rifornimento di frigorifero e dispensa, mentre Valeria avrebbe pensato all'andamento generale della casa. Erano grandi i miei figli e in seguito avrebbero dimostrato di esserlo non solo per l'età.
Si era fatto ormai molto tardi ed era tempo che andassi a letto. Fra un po' nella mia cucina sarebbe stato tutto buio; guardai intorno per l'ultima volta prima che andassi via chissà per quanto tempo.

mercoledì 1 settembre 2010

Quella sera fu la prima volta, dopo tanto tempo, che mio marito, i miei figli ed io ci ritrovammo intorno alla stessa tavola a condividere non solo la cena, ma anche timori, ricordi,rassicurazioni. Pur sentendomi piu' forte, a tratti non riuscivo a trattenere le lacrime, poi guardavo i miei cari, la mia famiglia e tornavo a sentirmi protetta in un nido sicuro: poteva succedere qualsiasi cosa, avrei affrontato tutto, perchè non esiste malattia, nè controlli, nè dure terapie che possano impedire di continuare a... gustare, apprezzare la vita di tutti i giorni, fatta sì di noiosa quotidianità, ma anche di piccole gioie molto gratificanti. Cercavo di tenermi stretta questa consapevolezza per mandare indietro le lacrime e lasciare il posto a dei brevi sorrisi: lo dovevo all'uomo che avevo sposato, a Valeria, figlia forte e caparbia, a Francesco, figlio di poche parole ma di grande conforto. Ognuno di loro mi donava qualcosa in quel momento e non era giusto che soffrissero piu' del dovuto; dovevo farmi coraggio per continuare il cammino non piegata su me stessa, affrontando ogni difficoltà "di petto"(mai termine fu così appropriato come in questa occasione).
"Mamma, dai andiamo a preparare il borsone. Ti do una mano". Valeria, che cosa avrei fatto senza di te! E pensare che a volte ho creduto che non mi volessi bene e mi considerassi solo una rompiscatole. Questa era un'altra delle mie convinzioni sbagliate che depennavo "grazie" alla malattia.