lunedì 13 settembre 2010

Tra le altre sofferenze le era stata risparmiata almeno questa, sapere che sua figlia stava combattendo con un male che nell'immaginario comune è considerato come incurabile. Come tutte le madri in presenza della malattia di un figlio, avrebbe voluto essere al mio posto e si sarebbe sentita impotente: il suo dolore sarebbe stato immenso. Io stessa, sin dall'inizio di questa disavventura che aveva coinvolto l'intera mia famiglia, più volte avevo pensato che tutto sommato non eravamo stati tanto sfortunati, visto che dall'accidente ero stata colpita io e non uno dei miei cari; io sapevo come fare, avrei aggirato l'ostacolo per farcela, avrei raccolto le mie forze per concentrarle su di loro e ce l'avrei fatta.
La sera giunse veloce e io conclusi quella giornata sfogliando una rivista e leggendo qualche pagina di libro, mentre la mente ogni tanto andava altrove, alla mia casa e alle mie cose, a tutto ciò che di noto avevo lasciato per andare incontro a ciò che non conoscevo e che mi faceva paura.
Dormiva già da un po' "mamma" Ripalta, così la chiamerò perchè è stata la prima e la più anziana tra le persone incontrate con cui ho condiviso e condivido ancora questa mia storia, dormiva, dicevo anche se avevo la luce accesa, a lei non dava fastidio, come non le dava fastidio niente di quello che facevo perchè sosteneva che io ero "giovane" e certo le mie esigenze non potevano essere uguali alle sue, quindi contrariamente a quello che di solito succede, lei si doveva adattare. Unica, accomodante, con lo spirito di eterna ventenne si elesse compagna ideale di stanza.
Smorzata la luce, chiusi gli occhi, pensando al giorno dopo e a quello che sarebbe stato.

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