mercoledì 22 settembre 2010

Un'altra giornata in ospedale era terminata e mamma Ripalta ed io continuavamo ad essere le sole inquiline della stanza N. 10. In verità eravamo molto contente di esserlo perchè il nostro accordo era perfetto, ma sapevamo che questo stato di grazia non sarebbe durato a lungo, dato il continuo affollamento di quel reparto di Chirurgia Generale. "Pazienza!" diceva mamma Ripalta, "speriamo almeno che chi viene sia come noi e non cominci a dare fastidio". Sorridevo a queste parole perchè erano dette con un impeto e una schiettezza tali da donare un senso di sicurezza e di protezione e per un po' mi sentivo come a casa. Già, a casa! Chissà quando ci sarei tornata. Quella sera, a letto, attraverso la solita finestra senza tapparelle guardavo fuori. In qualche abitazione la luce era ancora accesa. Cercavo di immaginare la scena all'interno. Spazzati via i troppi pensieri mi ritrovai all'altro capo della città , proprio nella mia casa; lì era tutto come sempre, al suo posto o quasi , perchè niente veniva scalfito da ciò che mi era capitato. Per tanto tempo mi ero affannata affinchè tutto fosse perfetto, con la presunzione di essere unica e indispensabile, ora mi rendevo conto che comunque con me o senza di me la vita andava avanti. Io volevo esserci ugualmente però e con una consapevolezza diversa: mi sarei amata di più, non avrei annullato me stessa negli inutili affanni quotidiani, sarebbe stata una perdita di tempo ed ora il tempo per me diventava prezioso. Prepotente sentivo la necessità di recuperarlo; promisi a me stessa che l'avrei fatto e tutto sarebbe stato diverso.

Nessun commento:

Posta un commento