lunedì 25 ottobre 2010

Eccoci di ritorno a quel sabato pomeriggio del mese di marzo. Tornai in ospedale in veste di  visitatrice; andavo da mamma Ripalta, glielo avevo promesso e poi ne avevo tanto piacere. Quando mi vide sulla soglia esclamò: " Ecc' a Maria! T'aspettavo, sapevo che venivi. Quanto sei bella coi capelli fatti." " Eh, sì! Ancora per poco però. Con la chemio, addio capelli" " Eh, vabbè! Tu sempre ai capelli pensi. Tanto poi ricrescono, e pure di più. Mò, siediti qua e parliamo un poco. " Dalla borsa sfilai un pacchettino: un piccolo dono per lei. Lo aprì con l'ansia gioiosa di una bimba. " Perchè ti sei disturbata? Non c'era certo di bisogno." Ma fu contenta quando si ritrovò tra le mani una sveglia " con la luce ", come la chiamava lei, s'era innamorata della mia che avevo sul comodino e ne decantava continuamente la bellezza e l'utilità. Poi mi prese sottobraccio per passeggiare nel corridoio. " Lo sai, qua non si capisce da dove viene la mia anemia. La dottoressa D. dice che forse è un fatto di sangue: ho paura di avere la leucemia. Comunque mi vogliono fare anche la gastroscopia; e che esame tremendo è anche quello!" " Dai, vedrai che andrà tutto bene! Devi andare al matrimonio di Silvia." "E vabbè, a me non importa morire perchè c'ho l'età,  però mi dispiace dei figli." Dicendo così gli occhi le si riempirono di lacrime. Ed era proprio così: quando si sta tanto male non è a se stessi che si pensa, ma alle persone che sono vicine, si ha paura di farle soffrire, di essere loro di peso e prende un profondo senso di colpa. Come animali feriti ci si vorrebbe nascondere perchè tutto si compia senza che altri ne siano a conoscenza, tutto tranquillamente, tutto naturalmente.

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