martedì 30 novembre 2010

"Mi raccomando, Teresa, corti corti." "Certo, facciamo la base per la parrucca, non ti preoccupare." Le forbici andavano veloci e le mie ciocche di capelli cadevano sul pavimento, niente di diverso da altre volte, li tagliavo spesso perchè mi piacevano di più e trovavo che mi donassero molto, però questa volta era diverso, in un certo senso ero stata costretta ed ora pensavo a chissà quando avrei potuto avere i capelli come prima. Mi guardavo allo specchio però, ed era come se vedessi un'altra persona, inconsciamente mi staccavo da quello che ero stata fino ad allora per diventare un'altra che accettasse e vivesse la nuova condizione. Quando il taglio fu completato, Teresa mi sistemò la parrucca e l'adattò al mio viso sfilzando qualche ciocca qua e là, poi MI pettinò, uno spruzzo di lacca... ed ero pronta ad affrontare la MIA NUOVA VITA. Un ultimo sguardo allo specchio... SI', MI PIACEVO PROPRIO! Forse,forse MI PIACEVO ANCHE DI PIU'. Ecco quella era la mia nuova immagine e quella sarebbe stata per i prossimi mesi. La mia mente aveva cancellato la vecchia, era inutile stare a piangersi addosso, anzi conveniva trovare subito il lato positivo della cosa, ed io l'avevo trovato nel vedermi meglio di prima, e di conseguenza ancor meglio, con serenità e maggior sicurezza mi sarei proposta all'esterno, così tutti mi avrebbero visto sotto una luce diversa: SEI PER GLI ALTRI QUELLO CHE VUOI ESSERE, E IN QUESTO RIESCI NELLA MISURA IN CUI CI CREDI. Mi dicevo così, me lo gridavo quasi per stamparmelo bene nel cuore e nella mente,sarebbe stata la regola numero uno per poter continuare ad... andare avanti senza mai offrire di me un' immagine di sofferenza, di disperazione; fosse stato anche per poco avrei sempre combattuto con grinta e con il sorriso, perchè allora cominciavo ad apprezzare davvero la vita, la trovavo straordinariamente bella e valeva la pena tenersela ben stretta anche se per il momento dovevo condividerla con il cancro.
Avevo deciso che non avrei aspettato di vedere i miei capelli cadere a ciuffi e i restanti come atolli sperduti nell'oceano, così programmai per quel pomeriggio del giorno dopo la prima chemio, di andare dalle mie parrucchiere, Antonietta e Teresa a tagliare i capelli. Non li avrei rasati completamente, me ne mancava il coraggio, vedermi subito calva, non l'avrei retto, però li avrei fatti corti corti, stile soldato Jane per intenderci, e subito, immediatamente avrei indossato la parrucca. L'avevo già da un paio di settimane, ma era ancora chiusa nella scatola, protetta da una rete impalpabile, mentre la testina, supporto nei momenti di non utilizzo, giaceva in una busta dentro il ripostiglio. Non nascondo che all'inizio mi aveva fatto un po' impressione, indossata la prima volta mi sentivo  mascherata, con impaccio e con un impiccio in testa, prurito, sudore facevano il resto. Mah, mi dissi, chissà se la sopporterò??! L'alternativa, restare senza capelli ed uscire con la testa coperta da un foulard o da un cappello, non mi piaceva proprio, l'immaginarla soltanto mi metteva tanta tristezza, allora mi conveniva abituarmi e anche presto. Era necessario che io guardandomi allo specchio mi piacessi perchè potessi porgere agli altri un'immagine piacevole e serena di me, sarebbe stato uno sdrammatizzare la malattia stessa e contemporaneamente avrei trasmesso un messaggio di speranza: niente è impossibile se si ha la forza di trovare le mille strategie per combattere e superare un momento tanto difficile.
Scesi da casa con parrucca al seguito e andai da loro, Antonietta e Teresa. Nel vedermi sorridente, con il viso rilassato che non mostrava alcuna sofferenza, restarono incredule; anche loro come tanti erano convinte che la chemio fosse una terapia devastante, una sorta di Attila che dove passava lasciava segni inequivocabili. In verità lo avevo creduto anch'io prima di viverla, in seguito, pur riconoscendole effetti collaterali piuttosto forti ma passeggeri, mi sarei ricreduta e sarei arrivata persino a ringraziarla.

lunedì 29 novembre 2010

Mi sono messa sempre in discussione... sempre e senza attenuanti. La malattia non mi ha esonerato da questo, continuo a... farlo. Mi chiedo, dove ho sbagliato?! Se conosco il suo carattere perchè resto ferita da certi  atteggiamenti? Certamente do per scontato che capisca la mia vulnerabilità, la mia voglia disperata di "risorgere" dal buio di un momento difficile, e dall'altra parte invece è scontato che io l'abbia già fatto. Niente di tutto questo. E' una conquista quotidiana la vita che cerco di riprendermi, la comprensione e l'amore di chi mi sta vicino. Pur consapevole di ciò, non riesco ad evitare lo scontro, forse perchè mi sento destabilizzata, vorrei più certezza e quando mi sembra di averla raggiunta mi sfugge di nuovo, per una parola di troppo o per un abbraccio di meno. Nel momento di maggior presenza da parte sua ho chiesto scusa, per non aver capito, per non aver amato abbastanza; ora sbaglio di nuovo, ma perchè? Probabilmente manca l'umiltà di mettersi a nudo, farsi capire mettendo in gioco quello che si è nel più profondo di se stessi. Però si è sempre in tempo per recuperare quando il legame è molto forte ed io lo desidero con tutto il cuore per potermi sentire sicura e protetta  come quando nelle situazioni difficili mi sentivo accarezzare i capelli ed incoraggiare ad andare avanti senza paura perchè non sarei mai stata sola. Ma non basta; la sensazione di sicurezza così donata mi permetterebbe di essere vicino a lei, mia figlia, senza riserve, di gioire a pieno con lei, di vivere le sue ansie con la medesima intensità, senza timore di "essere troppo," troppo ansiosa, troppo ripetitiva, troppo appiccicosa. Voglio sentirmi libera di darle il mio affetto per come ne sono capace, ma non posso non capire che lei vuol essere amata per quello che è, schiva dei suoi sentimenti, parca di effusioni esagerate, ostinata nell'orgoglio. Ho sempre saputo che era diversa da me, non ho mai voluto ammettere che era unica.

sabato 27 novembre 2010

Quando quaranta giorni fa ho finito con la chemioterapia il dottor Antonio me lo aveva detto: " Oggi ti licenzio,  ma se talvolta ti sentirai sola e non capita potrai sempre tornare, perchè, lo sai qui la porta è aperta." Lo aveva detto, io avevo colto la palla al balzo ed ero tornata dopo tre giorni con la scusa di accompagnare mio padre. Ero tornata non perchè mi sentissi già sola e non capita, ma per non sentirmi sola ed essere capita. Poi ero andata il venerdì successivo e l'altro ancora perchè c'era Rosa che non aveva ancora finito e allora, vedendomi di continuo mi aveva apostrofato con una battuta: "Ma è vero che hai nostalgia della chemio?" Ed io di rimando:"Un po' sì, se ve ne avanza una, magari..." E di nostalgia si trattava, sia ben chiaro, non dell'ago che cerca disperatamente la vena o delle tre ore trascorse in completa immobilità, bensì della protezione, della comprensione che in quell'ambito non mi erano mai mancate. "Allora torna, puoi venire a fare volontariato, a sostenere gli altri, ad incoraggiarli, nessuno lo può fare meglio di te che è passata attraverso la terapia e l'ha superata con serenità." Qualora mi fosse servita l'autorizzazione, adesso l'avevo ottenuta, sarei tornata senza timidezza nè imbarazzo con la speranza di aiutare altri, con la certezza  che avrei dato supporto al mio equilibrio. Oggi è un altro venerdì; stamattina mi sono preparata e per andare in ospedale ho preso l'autobus, come sempre, non la mia auto, perchè la tensione per la guida, il nervosismo per la ricerca vana del parcheggio non mi rovinassero lo stato d'animo in vista di qualcosa che davvero mi faceva star bene. Il tragitto in questa maniera diventa un'occasione in più per pensare, osservare ed imparare; pensi a ciò che eri e adesso sei, osservi il mondo esterno e lo apprezzi, impari dai discorsi di coloro che viaggiano con te. Stamane si parlava di Natale in autobus, di turni di lavoro, di programmi, e la mia mente è tornata al Natale dello scorso anno quando è cominciata tutta questa storia che mi ha cambiato così tanto, forse in meglio, chissà... certamente mi ha fatto trovare un coraggio e una serenità mai avuti prima. Questo pensavo mentre guardavo fuori la pioggia che batteva sul vetro del finestrino. E oggi la pioggia mi piaceva e tanto.

venerdì 26 novembre 2010

Un pochino stanca mi sentivo; mi muovevo in casa cercando di mettere ordine ma ero deconcentrata e ogni tanto forte era la necessità di sedere, quasi mi mancava il respiro. Che pretendevo? Non potevo lamentarmi, era già molto NON AVER VOMITATO, essendo questa la peggior cosa che ritenevo potesse capitarmi. Pazienza! Mi ripetevo ancora, passerà; poi, cauta passavo da una faccenda all'altra senza stancarmi, concedendomi lunghe pause magari sfogliando una rivista o appuntando qualche riflessione sul mio diario. Avevo incominciato a scrivere ciò che provavo sul blocchetto dove di solito annotavo la lista della spesa, proprio il giorno che Betty era peggiorata e aveva trascorso tutto il tempo senza staccarsi da me, a poche ore dalla morte, poi c'era stata  la mia malattia... Avevo trovato il modo di metabolizzare quei due eventi così improvvisi e drammatici sottoponendomi a una sorta di autoanalisi: svisceravo le mie emozioni, fortissime, le mettevo sulla carta, rileggevo piano, le lacrime con potere catartico mi liberavano dal peso che avevo dentro. Così avevo continuato e ancora continuo a... farlo.
Era quasi mezzogiorno quando mi resi conto che qualcosa in tavola avrebbe dovuto pur esserci; in realtà la nausea mi impediva anche il solo pensare al cibo, ma la nausea, appunto, era la mia e non di quelli che si trovavano purtroppo a condividerla, quindi che fare? Per quel giorno, niente paura! Pasta con l'olio per tutti, così si rimaneva leggeri, ci si disintossicava dall'abbuffata pasquale ed io, necessità primaria e indiscutibile, non sentivo odori. Mi comportavo da egoista? Ma no! Mi ritagliavo solo un altro pezzetto di cura e attenzione, non lo avevo mai fatto prima, ora me lo dovevo. E avevo ricordato i "compiti a casa"? Certo! Protettore per lo stomaco più compressa per l'ipertensione al mattino, pillola antinausea a mezzogiorno e alla sera avrei preso quella per il colesterolo. Tutto col massimo scrupolo, tutto per cavarmela al meglio e sempre.

giovedì 25 novembre 2010

"Mamma mia, sono già le nove!" Avevo guardato l'orologio sul comodino e mi ero resa conto che, secondo i miei canoni di risveglio, era davvero troppo tardi. "Devo sbrigarmi!" Mi alzai e in fretta mi stavo dirigendo al bagno. In fretta? Ma perchè poi?! Mi fermai anche a causa delle gambe che non sentivo ben stabili e mi posi a pensare quasi stordita, un po'come succede quando di notte ti svegli e non sai se quello che credi aver visto poco prima sia sogno o realtà. In quell'ultimo periodo i miei ritmi erano di forza diventati più lenti, per l'ansia che mi aveva tolto la lucidità persino nell'agire; capitava allora che facessi più volte la stessa cosa senza pensarci e in questo modo non andavo avanti. Ora, quasi euforica per aver ottenuto una piccola vittoria sulla malattia, volevo darmi una mossa, ma in effetti ... non c'era alcuna ragione valida per farlo. Intanto erano ripresi i forti crampi allo stomaco: colpa della chemio? Ma no, dovevo fare colazione e per la serie "le trasgressioni non finiscono mai" decisi di mangiare ancora in pigiama, cosa fino a quel momento per me inaudita. Inaudita perchè frutto di un retaggio atavico attribuibile a mia nonna, donna dall'opinione saggia ma a volte troppo categorica: "una madre di famiglia che se ne va in giro per casa in camicia da notte (ai suoi tempi il pigiama lo indossava solo l'uomo) è sciatta e perditempo, invece si deve alzare presto, lavarsi, vestirsi e mettere il grembiule." Tradendo col sorriso quel principio che avevo fatto mio, andai in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare; presi la bottiglia del latte dal frigo, ma già a guardarla mi sentii venire qualcosa in gola. Il latte no, non era il caso, allora...ecco avrei preso il tè, il tè andava benissimo, ben caldo con una fettina di limone. E da mangiare? I biscotti...no, non m'ispiravano, una merendina? No, proprio no. Però delle fette biscottate con la marmellata le avrei mangiate volentieri... Contenta di questa folgorante e decisiva illuminazione presi dalla credenza un barattolo di marmellata di fragole, la mia preferita, poi apparecchiai un lato del tavolo con un'allegra tovaglietta all'americana e quando il tè fu pronto cominciai a spalmare con cura la confettura sulle fette. Finalmente dicevo addio per sempre a tutte quelle colazioni rimaste sullo stomaco perchè consumate troppo in fretta e sempre in piedi; ora volevo dedicarmi qualche attenzione in più e cominciavo da lì, da un piccolo rito quotidiano.

mercoledì 24 novembre 2010

Così aprii gli occhi al nuovo giorno; un bacio sulla fronte, il buongiorno del compagno della mia vita. "Come ti senti, Mary?" "Bene!" Mi meravigliai io stessa della risposta che mi era venuta pronta. Era andata! Il giorno prima avevo fatto la chemio e stavo bene. Niente di rilevante e mi stupivo degli... attributi che mi ritrovavo. Quanto coraggio avevo messo fuori , quanta voglia di vivere a dispetto del tumore, della terapia e di tutto quello che ne sarebbe derivato. Mi dicevo: due giorni fa stavo piangendo perchè non conoscevo ciò che dovevo affrontare, con i miei gesti di sconforto sono arrivata al punto di offendere chi amo, senza ritegno mi sono lasciata trascinare dall'impulso del momento, oggi è un altro giorno, sono qui, penso, parlo, guardo il sole e ne posso sentire il calore; ho vinto la prima di tante partite e voglio continuare a... giocare le altre e  le vincerò tutte perchè mi sento forte. In effetti una nuova carica mi dava energia, dovevo riconoscere però che non era tutto merito mio. Avevo tanto pregato, ma pregato con parole semplici, a tu per tu con il Buon Padre, mi era sembrato che mi avesse dato più ascolto, Gli avevo chiesto di darmi la forza, accettavo la Croce ma così com'ero non potevo farcela a reggere. Adesso con le stesse parole semplici lo avrei ringraziato, sicura di poter andare avanti sempre con il suo aiuto.
Indugiai a letto quel mattino; la sera precedente avevo messo la caffettiera sul fornello, preparato la tovaglietta con la tazzina e la compressa per mio marito, ora avrebbe potuto fare da solo. L'odore del caffè cominciò a diffondersi per la casa, arrivò anche in camera da letto: un nodo mi bloccò la bocca dello stomaco. Eh sì, ecco la nausea, pensai, feci chiudere la porta e mi appisolai di nuovo. Com'era strano per me stare ancora a letto a quell'ora, ma ormai dovevano cambiare molte cose, prima di tutte avrei dovuto pensare un po' di più a me stessa e riposare, poi capire finalmente quali fossero i miei reali bisogni e desideri e dar loro priorità. Non avrei certo dimenticato di essere figlia, moglie e madre, anzi guardando in me stessa sarei sicuramente diventata figlia, moglie e madre migliore.

martedì 23 novembre 2010

A pranzo mangiai, mangiai abbastanza; penne rigate con l'olio, (pasta grossa e corta più digeribile) mozzarella con due fettine di prosciutto, una ciotolina di fragole. Poi mi sentivo discretamente, un po' deboluccia forse, però nel complesso benino; lavai i piatti, volli farlo per non apparire a me stessa e agli altri ora più che mai malata. Dopo tutto, che avevo fatto di tanto straordinario? Solo la CHEMIO! Lo gridavo quasi tra me, per dimostrare di non aver paura, come si dice, affrontavo così il toro per le corna. A metà pomeriggio la stanchezza aumentò;
"Mamma, vieni ad appoggiarti sul mio letto, io sto al computer, tu guardi un po' la televisione e poi può darsi che ti addormenti, hai bisogno di riposare, sai, per riprendere le  forze." Mi lasciai convincere facilmente da Valeria, proprio non ce la facevo; quasi in trance mi misi a letto e mi appisolai. Ogni tanto mi svegliavo, sentivo sulla fronte una mano che poi mi accarezzava i capelli, la bocca impastata con un retrogusto... forse di naftalina! Disgustoso! Non sapevo se il palato fosse attaccato alla lingua o viceversa, perchè non riuscivo più a distinguerli; arrivò in mio soccorso una bottiglietta d'acqua, dovevo bere molto, a piccoli sorsi per non appesantire lo stomaco, ma dovevo bere, soprattutto per ripulire il mio organismo. Avevo cercato di ridimensionare la forza prevaricatrice della"rossa", provata dal diffuso bruciore durante l'infusione, ma il vedere la mia pipì dello stesso colore mi diede l'idea precisa di che cosa fosse capace. Non ne restai tuttavia impressionata, doveva andare così, non era niente di grave. Tutto il pomeriggio a letto, poi prima di cena la compressa antinausea: la tabella di marcia veniva seguita meticolosamente. Avevo forti crampi allo stomaco: è la fame, pensai. Mi feci preparare due patate lesse e lentamente le mangiai; i crampi sparirono, però mi ritrovai con la sensazione di aver mangiato una spugna, non solo, anche insaponata. Dovevo stupirmi? Ma no, me lo avevano detto che avrei potuto avere alterazioni del gusto. Pazienza ancora! Sarebbe passata anche quella piccola rogna. La situazione era sotto controllo, tutto facilmente gestibile. EVVIVA!! ERO STATA FORTE:  NON AVEVO VOMITATO.

lunedì 22 novembre 2010

Prima che andassi via passò da me il dottor Antonio; "Vedo che ve la siete cavata bene, ora però vi darò i compiti a casa. (leggi: farmaci da prendere a casa)" "E io sarò scrupolosa nel farli perchè me la voglio sempre cavare: sono qua per questo!" "Brava, per questo primo esame, promossa!" Era vero: la prima, temuta prova era passata,mi dicevo, e avevo ventuno giorni da vivere normalmente, facendo le cose di sempre,stando con la mia famiglia , giocando con Beauty, incontrando la gente che mi avrebbe regalato la propria quotidianità. Mi alzai dalla poltrona piano piano, posi i piedi a terra e sentii un leggero stato di ebrezza, come se avessi bevuto un bicchiere di troppo. Presi il foglio con cui mi veniva fissato il secondo appuntamento e la prescrizione delle medicine da assumere a casa; volevo dire qualcosa, forse un semplice saluto ma la voce mi venne fuori flebile, stanca; beh, qualcosa effettivamente cominciavo a sentirla, ma era proprio piccola in confronto a quella che la mia mente aveva immaginato, quindi era meglio non pensarci affatto. Mentre ci avviavamo verso il cancello d'uscita mi sentii un tantino barcollante e gli occhi sembravano colpiti da una luce accecante che in realtà non c'era. Pazienza! Piccoli disagi , tutti sopportabili, e poi sarebbero passati. Fuori c'era Francesco in auto ad aspettarci. "Come va, ma'?" "Bene, mi sento un po' così... ma tutto sommato bene, dai andiamo a casa." Arrivati, volli salire su da sola, mentre i miei figli andarono in farmacia e a far la spesa. Non avevo preparato niente per pranzo quel giorno perchè non sapevo come sarebbe andata con lo stomaco, però mi sorpesi nel constatare che avevo fame, anzi una gran fame, altro che nausea. Allora cominciai a cucinare, apparecchiai la tavola, tagliai le fragole e il loro profumo mi fece venire l'acquolina. Vuoi vedere che sono la prima che fa la "rossa" e non ha la nausea? Mi dissi così e mi sentii contenta, felice; guardai Beauty che mi saltellava intorno e mi venne voglia di prenderla in braccio e coccolarla. Avevo "incontrato" la chemio e la mia vita continuava...

domenica 21 novembre 2010

Nella stanza eravamo rimaste sole, Valeria ed io; dopo l'infusione degli antistaminici e antiemetici arrivò la temibile " rossa", l'epirubicina, un potentissimo antibiotico che doveva scender giù per la vena molto lentamente. Alzai gli occhi, fissai per un attimo quel liquido rosso, distolsi lo sguardo con un senso di repulsione; cercai di rilassarmi, chiusi persino gli occhi, "Mamma, che c'è? Non ti senti bene?" "No, no, cerco di non pensare e di riposare nello stesso tempo." Sentivo il farmaco scivolare all'interno del mio corpo con una sensazione di bruciore diffuso mentre le estremità diventavano sempre più fredde. Rabbrividii. "Ah, beh! Sei arrivata al gingerino." A parlare era stato Orlando, l'ausiliario dalla flemma sorniona, affacciandosi alla porta, "Sei a buon punto, fra poco finisci." Meno male, pensai. Però, che strano!Dopo tutto non mi sentivo tanto diversa da prima; avevo sempre considerato la chemio una specie di veleno potentissimo dall'effetto immediato, mah! Ora dovevo ricredermi, ben felice di poterlo fare. Terminò pure la "rossa", restava solo una flebo per il "lavaggio" della vena. Marta venne a sedersi accanto. "Che dici, Marta, potrei vomitare?" "Vedi, attraverso le flebo ti sono stati già infusi degli antiemetici, non dovresti." Poi estraendomi l'ago dalla vena, "Tu come hai fatto le gravidanze? Vomitavi? Vomitavi spesso?" Veramente a volte vomitavo, ma molto raramente" " Con la chemioterapia potrebbe essere  lo stesso; poi cerca di mangiare asciutto, con poco condimento ed evita gli odori forti." Mi ricordai che quando aspettavo Valeria per limitare la nausea mangiavo patate lesse condite con olio e sale, avrei fatto lo stesso ora, poi avrei detto ai miei uomini di versare nello scarico del lavandino quei loro orrendi dopobarba  che davano la nausea già in tempo normale. Dai, sì ce l'avrei fatta! In quel momento non mi sentivo poi tanto male e con qualche precauzione sarei riuscita a passare indenne anche quei prossimi giorni, attendendo la bonaccia che mi avrebbe portato fino al prossimo ciclo.

sabato 20 novembre 2010

Marta mi chiamò per attaccarmi la flebo; Marta era una delle infermiere, la mia forza rassicurante, così l'ho definita,che pure faceva gli occhi lucidi quando le mie vene giocavano a nascondino o si rompevano all'iniziale pressione dell'ago. Non avrebbe mai voluto farmi sentire dolore, per questo prima di cominciare si faceva il segno di croce e poi procedeva, purtoppo a volte non funzionava e allora diventava paonazza e mi chiedeva scusa. Povera Marta! Ma scusa perchè? Per aver cercato di domare le mie vene "profonde e sottili?" Fosse dipeso da lei...Mi accompagnò in una stanza dove c'erano quattro poltrone molto simili a quella del dentista, "Scegliti il posto", mi disse ed io istintivamente e in fretta andai ad accomodarmi su quella accanto alla finestra; un'altra era occupata da Lucia, una signora gioviale e solare che aveva già percorso la mia stessa strada, stava bene e sorrideva, anche se era lì per fare terapia a causa dei dolori alle articolazioni dovuti all'osteoporosi. Vedendomi imbambolata, impacciata nel sistemarmi sulla poltrona e con gli occhi che tradivano certamente un forte turbamento, cominciò a raccontarmi la sua storia, come aveva scoperto il tumore al seno casualmente, anzi come lo aveva scoperto il medico da cui era andata per dei calcoli alla cistifellea, come aveva vissuto la mastectomia e la ricostruzione superando tutto senza mai disperarsi e considerandosi molto fortunata: doveva proprio ringraziare i suoi calcoli e lo aveva fatto non togliendoli più, ormai li aveva quasi dimenticati perchè non le davano più fastidio. La sua flebo terminò presto e prima di andar via mi salutò con un altro bel sorriso,"Auguri cara, e forza perchè ce la fai: poche lacrime, anzi nessuna lacrima e tanti sorrisi." Le risposi con un battito di ciglia perchè le parole mi morirono in gola. "Marta, lo sai che Lucia mi ha fatto sentire un po' meglio? Era così sorridente , sembrava che non fosse mai stata malata e che stesse raccontando la vicenda di un'altra persona." "Lo so, per questo ti ho messo nella stessa stanza; Lucia è sempre stata così dal primo giorno, è contagiosa, noi l'usiamo, come dire...a scopo terapeutico e la cura funziona sempre."

venerdì 19 novembre 2010

Quella mattina cominciava la mia battaglia vera e propria, l'avventura della chemioterapia. Mi svegliai presto e  stranamente mi sentivo riposata; in verità tutta la tensione l'avevo scaricata con l'ira del giorno prima e mi preparavo in silenzio perchè pensierosa e ormai non più tanto preoccupata. Indossai una tuta scura, tanto, pensai un indumento vale un altro per andare a quell'appuntamento, però la maglietta la scelsi di colore arancio, il colore del sole, intravedevo, nonostante tutto, la luce che allora mi mancava e percepivo quel po' di calore che mi riscaldasse dal freddo persistente.Valeria girava il cucchiaino nella tazza del caffè e mi guardava mentre in silenzio mi muovevo per la cucina con una faccia non certo delle migliori. " Dai, mamma, stasera sarà tutto passato. Pensa che finalmente cominci perchè l'attesa, l'incertezza è senz'altro peggio, ora inizi il cammino e a passo spedito, non accorgendoti del tempo che passa arriverai alla fine." Certo, alla fine, ma a quale prezzo? Pensai rispondendo sommessamente a me stessa. Mia figlia, fin dall'inizio compagna in ogni momento, aveva voluto essermi accanto anche quel giorno perchè "...così ti faccio compagnia, che dici?!" Mi aveva fatto piacere quel suo offrirsi, sentivo meno il peso della mia vulnerabilità e riuscivo pure a farmi coraggio mascherando la  paura per non caricarla di altra angoscia.
Arrivammo in ospedale, al quinto piano, l'unico vicino al cielo, spingemmo la porta ed entrammo. Velocemente e come un automa vidi una sedia libera e mi sedetti, Valeria accanto a me; avevo il cuore che batteva a mille. Ma che ci facevo là, tra tutte quelle persone che parlavano tra di loro, con un cerotto sul braccio o sulla mano quale segno di riconoscimento di una sorte comune? Mi sentivo un'estranea e provavo un certo imbarazzo come se anche gli altri mi guardassero così, da estranea; per fortuna la sensazione di disagio durò poco, cominciai a guardarmi intorno e a fissare nella memoria quei volti, ad ascoltare quelle voci che continuavano a...conservare la serenità di un tempo. Doveva essere vero allora, poter adeguare  la malattia alla propria vita e vivere così, con grande forza e  in assoluta normalità.

giovedì 18 novembre 2010

La solidarietà era anche al centro dell'evento cui ho partecipato ieri, la solidarietà che può dare speranza all'attesa della donazione per il trapianto. L'incontro era strutturato come una tavola rotonda, ma a parlare non erano illustri luminari, ma gente comune che in qualche modo sono venuti a contatto con questa triste realtà. Di conseguenza il coinvolgimento è stato notevole soprattutto quando a narrare la sua esperienza è stata mamma Eva, madre di Raffaella, giovane medico veterinario morta a causa di un incidente cinque anni fa. Con la voce rotta dalla commozione ha parlato della straordinaria vitalità di sua figlia, di come una morte ingiusta l'avesse strappata loro e come fossero riusciti a sublimare quel dolore donando i suoi organi e salvando la vita a ben sette persone. In casa loro da sempre c'era stata la cultura della donazione, così era venuto spontaneo pur in un momento così tremendo questo immenso gesto d'amore. Eva era la testimonianza della donazione, Antonello quella dell'attesa, vissuta sì nel dramma della dialisi, ma con una grande gioia di vivere, adattando la malattia alla sua esistenza; accanto a lui sua moglie Maria Grazia, fedele compagna dal ruolo determinante nelle mille difficoltà. L'organizzatore dell'evento, nonchè moderatore, è stato il portavoce della propria esperienza di trapiantato. Franco, che conosco praticamente da una vita, medico chirurgo, si è trovato all'improvviso a dover vivere grazie alla dialisi; l'aveva presa molto male, non riusciva giustamente a farsene una ragione, ed è stata sua madre donandogli un rene a farlo nascere per la seconda volta. Alcuni medici hanno parlato delle sensazioni provate stando accanto a chi soffre, del giusto e difficile modo di relazionarsi, un sacerdote ha rappresentato il sostegno per credere e sperare. La speranza! Torna sempre questa parola, a volte astratta ma sempre tanto concreta per chi è nella condizione di doverci credere per trovare la forza e continuare ad... andare avanti. Così come è narrato nel libro, "Passaggi di vita", sempre presentato ieri, in cui l'autrice raccoglie storie di vite vissute e salvate dalla comune speranza di chi ha donato e di chi ha ricevuto. Per ognuno di noi far propria la cultura della donazione è un atto dovuto che ci svuota di egoismo e offre senso autentico alla nostra esistenza: una briciola di immortalità ad un frammento di materia.

mercoledì 17 novembre 2010

Ogni giorno provo grande meraviglia nel pensare quanta ricchezza mi abbia donato e mi doni la malattia. Fino ad otto mesi fa ero nell'opacità di una vita condotta tra la noia e l'indifferenza, subendo gli avvenimenti, gli eventi, la volontà altrui, oggi percepisco ogni movimento intorno a me, apprezzandone a pieno il valore. Stamattina ho sentito al telefono Rosa; cara, ogni volta che mi trovo a confronto con lei è un tassello in più per la mia anima. In questa parentesi di vita abbiamo provato e proviamo le medesime emozioni, il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che ci succede è lo stesso, ma in più  lei ha un'umiltà e una generosità che la rendono unica. Ecco, la mia malattia mi ha donato questo, la capacità di scoprire,  perchè lo voglio pienamente,  le doti dell'altro.
Nel pomeriggio, poi, ho partecipato ad un evento bellissimo, tenuto all'Ordine dei Medici della mia città, "L'attesa della donazione verso il trapianto-I Protagonisti", a cura dell'ANED, l'associazione nazionale emodializzati e trapiantati. Di questo incontro è mia intenzione parlare in modo più dettagliato, tanta è l'importanza dell'argomento, per ora mi soffermo a dire che oggi mi sono ritrovata anche un'apertura e una disponibilità diversa nei confronti della sofferenza in generale e dei problemi particolari che da essa scaturiscono. Non sono forse una ricchezza anch'esse?
A conclusione di questa giornata, un parziale bilancio in attivo della mia storia, parziale perchè non finisce certo qui, tornata a casa ho trovato un messaggio di un'amica, operata al seno e attualmente in trattamento chemioterapico, che mi chiedeva aiuto perchè aveva la febbre e tanta paura. Chi fa la chemio e ha un rialzo febbrile deve comunicarlo al proprio medico tempestivamente perchè può essere sintomo di un'infezione che va curata in modo appropriato, quindi la paura è comprensibile ma è anche arginabile perchè oggi a tutto c'è rimedio grazie alla ricerca che se pur lentamente va sempre avanti. A lei, a Manu, ho cercato nel mio piccolo di infondere un po' di speranza in più, l'ho incoraggiata, l'ho invitata a continuare a... sorridere, così come altri hanno fatto con me, perchè questa catena di solidarietà diventi sempre più grande e non abbia mai fine.

martedì 16 novembre 2010

Per il resto del giorno mostrai una calma apparente. Mi vergognavo come una ladra e così alla tensione avevo aggiunto anche il senso di colpa per aver scatenato un putiferio e  guastato la festa a tutti. Dio, ma perchè non avevo seguito il mio istinto quella mattina e non ero rimasta a casa? Parlai poco e niente anche sulla strada del ritorno; mio marito che ben mi conosce, sapeva che era molto meglio non aprire alcun argomento o, peggio ancora, farmi domande sull'argomento del giorno: tutto il malumore, allora, si sarebbe scaricato su di lui.
Giunta a casa Valeria mi chiese di quella giornata e inevitabilmente tutto ciò che avevo nel cuore venne fuori con rabbia e dolore. Non ce l'avevo con nessuno e ce l'avevo con tutti, anche con me stessa perchè non riuscivo nonostante lo sforzo immane, a vincere la paura, perchè di paura si trattava: paura del dolore fisico, paura di restare senza capelli, paura di non farcela. Inveii a parole contro i miei familiari che cercavano di confortarmi ridimensionando ogni mio timore. Eh già, tanto ero io che dovevo affrontare tutto mentre per loro era facile limitarsi a guardare; questo era il mio pensiero e glielo vomitavo addosso con crudeltà, incurante di quanto potesse esser grande anche la loro sofferenza. Piangendo andai in camera da letto e di nuovo come qualche giorno prima, svuotai l'armadio e  gettai con foga  maglie , gonne e pantaloni sul letto, poi, asciugate le lacrime, rimisi tutto a posto con calma. S'era fatto ormai tardi, si concludeva una delle giornate più brutte; mi preparai una camomilla e mi misi a letto,credendo che avrei stentato a prender sonno. Chissà come sarebbe andata l'indomani, a quella stessa ora come mi sarei sentita!? Piano piano gli occhi già appesantiti dalle tante lacrime, tendevano a chiudersi, mi addormentai pensando che comunque ogni cosa sarebbe passata lasciandomi un'esperienza in più per continuare a... vivere.

lunedì 15 novembre 2010

Ero appena entrata in casa, lo avevo salutato con un bacio e mio padre esordì: "Forse non dovrei dirtelo, ma se  non parlo sto male. Dobbiamo andare fuori, a sentire altri." "Che cosa vuol dire, dobbiamo? Al limite, devi, ma io non voglio e quindi , non devo." "Ah, è così??! Allora farai quello che ti dico io!" Mio padre da sempre, fin da quando noi figli eravamo piccoli, aveva preteso, imponendosi, di gestire la nostra volontà e controllare ogni movimento; era severo ma gli ubbidivamo tranquillamente e senza rimaner turbati perchè pensavamo comune agli altri genitori quel tipo di atteggiamento. Se vogliamo, tutto ciò poteva passare fino ad una certa età, ma con l'avanzare degli anni, anzi alle soglie della terza età e in questo caso specifico era inaccettabile. Comprendevo benissimo la sua ansia e i suoi buoni propositi, ma per me, alla vigilia della prima chemio già così difficile tra il dubbio e il batticuore, era giunto il momento di essere ferma nella mia scelta fatta precedentemente in piena coscienza. Non potevo tornare indietro, si trattava della mia vita e nessuno doveva avere la pretesa di farmi ritornare sui miei passi; avrei sbagliato? Non so e del resto altri neanche potevano saperlo, pur non conoscendo quello che mi sarebbe successo, sarei andata avanti assumendomi le mie responsabilità. Queste considerazioni elaborate ad alta velocità dalla mia mente provocarono in me un'aggressività mai vista prima; la reazione che ne venne fuori lasciò tutti di stucco ed io stessa che parlavo stentavo a capire che senso avessero quelle parole e fino a che punto le pensassi veramente. " Basta!!" urlai, "Non voglio curarmi più! Non voglio più operarmi! Lasciatemi in pace, finchè è destino che io viva vivrò, poi sarà quello che deve essere." Scoppiai in un pianto dirotto, singhiozzavo e non riuscivo a frenarmi nonostante i tentativi di chi mi era più caro. Oggi, ripensando a quel momento, considero la mia reazione di allora spropositata e senza senno, ma è chiaro che era stata causata da tanta tensione accumulata; giunta in un punto critico, quando già da sola mi ponevo tante domande senza poter dare delle risposte, avrei avuto bisogno di una mano che mi accompagnasse in silenzio ad affrontare una prova sicuramente difficile per tutti.

domenica 14 novembre 2010

Sicuramente per loro non c'era bisogno di questo gesto perchè fossero le sorelle speciali che sono ma per me era necessario dimostrare in modo palese la gratitudine e quanto io mi sentissi legata a loro. Commosse erano rimaste un tantino perplesse. "Dai mamma, è logico, è sembrato che tu volessi lasciare un ricordo prima di morire!" Così aveva replicato Valeria, sempre ipercritica. Ma no! Non era quella l'intenzione, anzi il contrario: volevo talmente continuare a... vivere che cercavo tutto il loro appoggio, pur sapendo che a volte potevo non meritarlo, per i gesti di stizza, per l'indifferenza, per la chiusura che avrei dimostrato. Però ero sicura del loro affetto ed io così le ringraziavo.
E passò anche quella domenica di Pasqua. S'era programmato di andare fuori per il lunedì di Pasquetta ed io inizialmente ne ero stata entusiasta, avrei trascorso quell'ultimo giorno di "libertà", lontana dal solito scenario, con i miei familiari e senza pensieri tristi. Meno uno, invece mi dissi quella mattina aprendo gli occhi e l'entusiasmo svanì. Un po' per la giornata uggiosa, un po' perchè certe ansie non possono sparire solo con la forza della volontà, fatto sta che avrei voluto tanto restare a casa quel giorno, a pensare, a pregare, a mettere ordine tra le idee per cercare di metabolizzare una realtà difficile da accettare. Poi pensai che sarebbe stato difficile non suscitare le lamentele di mio padre, convinto che la distrazione mi avrebbe fatto un gran bene, così mi feci forza...  chissà forse aveva anche ragione...  mi preparai e insieme con mio marito, paziente quel giorno come non mai, partimmo sperando di trascorrere una giornata tranquilla. E invece, di lì a poche ore ci sarebbe stato il giro di boa della mia storia.

sabato 13 novembre 2010

Avrei voluto poter fare ad ognuno di loro un dono come segno della mia gratitudine, nell'impossibilità non lesinavo i sorrisi e le parole di speranza; fosse la mia vita durata un anno, o dieci, o trenta avrei voluto che mi si ricordasse così, una persona serena che non aveva mai perso la speranza e che aveva attinto dagli altri la forza per andare avanti.
La domenica di Pasqua era giunta e il Vangelo che annunciava la Resurrezione costituiva di per sè un messaggio di speranza che avevo fatto mio per dare un senso a quello che mi era capitato e credere nella possibilità di una rinascita. Facevo il conto alla rovescia,e ormai mancavano due giorni all'inizio della chemio; avevo paura ma nello stesso tempo non vedevo l'ora di cominciare, così non mi sarei preoccupata più, intenta a lottare nell'occhio del ciclone. Quel giorno come al solito per le festività mi sarei ritrovata con tutta la famiglia a casa di mio padre: sarebbe stata una Pasqua come le altre eppure tanto diversa. Nessun accenno alla malattia, mi ripetevo, ma sentivo un bisogno sfrenato di "gridarla" quella maledetta per scacciarla e non viverla più, purtroppo non potevo sottrarmi a quello che mi aspettava e così, quasi in trance contavo le ore che mi separavano dal momento tanto temuto. Però volevo fare qualcosa che mi scuotesse dal senso di passività, pensai allora a un dono per le mie sorelle. Durante la settimana appena trascorsa era stato il compleanno di entrambe; scelsi tra i miei orecchini un paio per ognuna, avendo cura che seguissero il loro stile e gusto, li confezionai come un vero e proprio regalo e a termine del pranzo li donai loro con tutto il cuore. "Questo è un piccolo pensiero per il vostro compleanno; sono degli orecchini, erano i miei, voglio che siano vostri: è un modo per dirvi grazie in anticipo per tutto quello che farete per me, per farmi perdonare a causa dei momenti "no", per quando mi starete vicino e soffrirete e gioirete con me. Ho voluto darvi questi e non altro perchè essendomi appartenuti sono una parte di me, e io voglio che mi stiate accanto, quindi anch'essi ora sono vostri."

venerdì 12 novembre 2010

Avevo promesso a me stessa che in quei giorni che mi separavano dall'inizio della chemio avrei fatto finta di nulla, avrei continuato a... occuparmi delle cose di sempre, avrei trascorso una Pasqua serena, non avrei parlato mai della mia malattia. Lo dovevo fare per me stessa, perchè questo era l'atteggiamento giusto per iniziare a combattere, calma e lucidità, e anche per tutti quelli che mi erano accanto, che potessero avere di me un'immagine rassicurante di normale serenità. Cominciai con le pulizie di primavera; lavai i vetri di casa, lucidai a specchio le piastrelle della cucina, svuotai gli armadi per poi riempirli di nuovo, quest'ultimo in particolare era un rimedio infallibile per scaricare lo stress accumulato in quegli ultimi giorni. Nel pomeriggio mi telefonava qualche amica per informarsi del mio stato di salute e per gli auguri, alcune non le vedevo da tempo, chissà se quelle loro telefonate non erano dettate da pura e semplice curiosità, mah! Certo è che tutte restavano stupite nel sentirmi così tranquilla, che ricambiavo gli auguri con l'entusiasmo e il trasporto di chi non ha pensieri, e in verità mi meravigliavo io stessa di quella forza che non mi riconoscevo e che, facendosi largo prepotentemente, sarebbe stata la mia salvezza. Mi chiedevo altresì di che natura fosse quel sentimento mai provato prima che mi spingeva verso gli altri,  portava ad aprirmi con loro mostrando tutta la mia fragilità senza vergogna ma con dignità: non volevo nascondere niente, nè la malattia nè le mie reazioni, a tratti di scoramento, il più delle volte di speranza e di fiducia. Ero grata a tutti perchè stavano ad ascoltarmi, perchè si interessavano a me, perchè mostravano di volermi bene.

giovedì 11 novembre 2010

Il giorno dopo, giovedì santo, ero di nuovo lì in ospedale, al quinto piano, l'unico vicino al Cielo. Con me c'era questa volta mio padre, infatti anche per lui visita oncologica, prelievo e forse... chissà...chemioterapia. Non ne voleva sentir parlare, però,  diceva di sentirsi bene, che ormai avevano tolto tutto, e in assenza di metastasi a che cosa doveva servire quel tipo di terapia? Cercai di spiegargli che era una forma di prevenzione per un'eventuale ulteriore neoplasia: la chemio lo avrebbe in un certo modo protetto insieme con l'età avanzata e lui avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Poi non doveva preoccuparsi perchè, secondo me la terapia che avrebbe fatto sicuramente sarebbe stata in compresse e non per infusione, quindi davvero non se ne sarebbe quasi accorto. Restò tuttavia poco convinto e fu con un atteggiamento tra il pensieroso e lo scettico che si presentò dall'oncologo. Il dottor Antonio parlò a mio padre, ripetendo in pratica il discorso fatto a me in precedenza e cercando di rassicurarlo riguardo la terapia, certamente non sarebbe stata pesante come la mia, sia a causa dell'età sia per la diversità dello scopo. Entrambi però quel giorno avremmo fatto il prelievo e il martedì dopo Pasqua avremmo inziato la chemioterapia. Avevo altri quattro giorni di "libertà", pensai, libertà da quel pensiero, libertà di fingere che nulla fosse accaduto, libertà di cercar di vivere la Pasqua imminente nella maniera più normale possibile. Certo non sarebbe stato per niente facile, è vero, ma avrei cominciato con la ferma intenzione di non parlare affatto della mia malattia in quei giorni di festa.

mercoledì 10 novembre 2010

Al mercoledì santo arrivò il tanto sospirato e temuto esito dell'agobiopsia; me lo consegnò il chirurgo stesso, il dottor F. C. "Siete contenta? Beh, io direi che dovreste proprio esserlo. Al seno sinistro non sono noduli maligni, ma frustoli di ghiandola mammaria." "Allora me lo lascerete?" " Perchè si può mai togliere qualcosa di sano? A meno che non si è pazzi..." Certo ero contenta, ma più che altro mi sentivo un po' alleggerita, come se da una grossa zavorra  fossero stati tolti solo alcuni pesi; se fosse stato possibile gettarla a mare per intero allora sì che sarei stata più che contenta e non avrei rischiato di affogare.
Avevo tanto atteso quel foglio di carta e ora me lo guardavo con sospetto, sapevo di non poter tornare più indietro e quello che intravedevo nel mio immediato futuro non mi piaceva affatto. Quel giorno erano venuti con me e mio marito anche i nostri figli e tutti e quattro insieme andammo a pranzo alla mensa dell'ospedale; non saprei dire che tipo di atmosfera c'era fra di noi, o forse sì, di una serenità forzata perchè comunque un altro passo avanti era stato fatto, e di tensione tenuta a freno nata dal timore che quel passo fosse nel vuoto.
Era il compleanno di Francesco, mio figlio e come venticinque anni prima mi trovavo in ospedale; due situazioni diverse, due stati d'animo totalmente opposti; tanti anni prima ero lì, piena di gioia per dare alla luce una vita nuova, ora invece nel buio dell'angoscia cercavo di tener stretta la mia di vita. Il giorno dopo vi sarei tornata per il prelievo prima dell'inizio della chemio e la mia storia andava avanti mentre il tempo per me scorreva lento tanto da sembrare essersi fermato. Gli avvenimenti, gli eventi, le ricorrenze si susseguivano regolarmente, ma io non vedevo nè sentivo niente, pensavo solo a ciò che avevo e a quello che avrei vissuto mio malgrado.

martedì 9 novembre 2010

Ha una storia simile alla mia Rosa, che pur essendo molto più giovane di me ha già incontrato sulla sua strada il tumore e da allora quel percorso di vita che doveva essere lineare e senza intoppi è cambiato contro ogni aspettativa. Era la vigilia di Pasqua di quest'anno (a me l'antivigilia di Natale, a lei la vigilia di Pasqua: perchè proprio alle feste, perchè la gioia di alcuni deve essere un contrasto così forte per altri?) quando scoprì da sola, improvvisamente e in maniera eclatante, "un telefonino sotto il braccio" sinistro, come dice lei. Era un tumore di sei centimetri, spuntato dal nulla dalla mattina alla sera, come avrebbe altrimenti potuto ignorarlo? Seguendo la sua natura generosa in quel clima di festa non volle dire niente a nessuno, poi trascorsi quei due giorni lo comunicò a Maurizio, suo marito e insieme cominciarono quel doloroso iter che noi tutte, donne col tumore al seno, conosciamo molto bene. Intanto la massa tumorale in pochi giorni era arrivata a nove centimetri, e a chi  visitò Rosa parve subito indispensabile la terapia neoadiuvante prima dell'intervento; così quella giovane donna , sposata da poco e mamma di un bimbo di tre anni e mezzo, si ritrovò a dover combattere con un mostro molto più grande di lei, a vivere la chemioterapia con coraggio e serenità, infondendo la speranza e la fiducia non solo a se stessa ma anche a chi le stava vicino. Grande Rosa! Bellissima ragazza che ha avuto la forza di tagliare i capelli a zero, pur avendoli lunghi, per non vivere lo strazio di vederli cadere a ciocche, che con disinvoltura ha indossato la sua parrucca e ogni giorno è andata a lavorare a contatto col pubblico, truccata con cura e ben vestita. Ha sempre sorriso e si è piaciuta lo stesso, col tumore e coi capelli non suoi. L'ho conosciuta così, Rosa, sorridente il giorno in cui faceva l'ultimo ciclo di E. C. mentre io iniziavo col TAXOL che avrei fatto per altre undici volte. Da allora ci siamo sempre confrontate, sdrammatizzando il più delle volte abbiamo persino riso, condividendo ogni sensazione anche quella più banale, abbiamo conquistato quella forza che ti fa andare avanti su una strada tortuosa senza mai accusare la stanchezza.

lunedì 8 novembre 2010

Se dovessi seguire la cronologia degli eventi non dovrei adesso parlare di lei, una persona"speciale", per cui avevo già in mente di riservare uno spazio particolare quando fosse venuto il momento. Non posso però rimandare perchè mi sembra giusto che io scriva di lei sull'onda dei sentimenti e dell'emozioni che rendono la "nostra giovane amicizia" sempre più forte ogni volta che ci vediamo o solo ci sentiamo. Durante la mia malattia tante sono state le persone che ho conosciuto e con cui ho stretto legami impensabili;  mamma Ripalta è stata la prima, quella apparsa sulla mia strada proprio all'inizio e per me, col suo carico di esperienza e saggezza, un primo, fondamentale punto di riferimento. Rosa "é ora", in questo momento di pausa, di arresto in cui sembra quasi non sia mai successo niente, ove la serenità si sta insinuando pian piano e si ristabilisce l'antico equilibrio. Stamattina non l'aspettavo la sua telefonata: " Pronto, Maria! Buona domenica! Ti ho chiamata perchè sono troppo contenta, sono felice. Mi sento bene e ho voluto condividere con te questo mio momento di gioia. Ho fatto la doccia e ho sentito l'acqua sui miei capelli, li ho toccati. E' stato bellissimo! Poi  la gionata di sole, il mio bambino da tener stretto, da veder crescere, non so, ma mi sento più allegra del solito e tanto, tanto fortunata". Rosa cara, sei entrata nella mia casa stamattina come una ventata d'aria fresca, hai scacciato i grigi pensieri che a volte nonostante tutto si fanno largo, hai riportato il sereno ricordandomi che non devo mai dimenticare di ringraziare per tutto il bene che ho, compreso il tuo affetto per me. Dopo averti sentito la mia giornata è stata davvero buona come  me l'avevi augurata; tu con la tua giovane età sei per me un modello di coraggio ed entusiasmo, me lo ricorderò nei momenti di scoramento, e poi grazie e ancora grazie per la generosità e l'allegria con cui condividi ciò che provi, facendone un grande dono per chi ti è vicino.

domenica 7 novembre 2010

Ero spaventata. " Dottore, vomiterò?" Avevo letto che tra gli effetti collaterali della chemioterapia c'erano la nausea e anche il vomito, mah! Quello non l'avrei proprio tollerato. "Non è detto, sapete!? Ho pazienti che fanno terapie pesantissime e poi vanno in campagna a lavorare ed altri che vomitano con niente. E' tutta una questione di testa, da come ci si pone; se l'atteggiamento è quello giusto potreste persino non accorgervi che state facendo chemioterapia, o al massimo sentire un po' di nausea e di stanchezza, cose che passano dopo tre o quattro giorni, poi tutto ritorna nella normalità fino al ciclo seguente. Per i capelli, purtroppo non c'è speranza, quelli li perderete, tutti, ma sarà momentaneo perchè terminata la terapia ricominceranno a crescere e anche velocemente. Durante la mia carriera solo una paziente non ha perso i capelli con questo tipo di chemio (EC: Epirubicina e ciclofosfamide) ed io ne ho scritto un trattato." "E' troppo per me, ho paura." "E' naturale. Sapete che cosa sosteneva Oscar Wilde? Solo gli sciocchi non hanno paura. Per questo non bisogna vergognarsi di provare un sentimento così, ma sforzarsi a vincerlo dopo averlo ridimensionato nei giusti limiti." " Ma gli eventuali disturbi sono gestibili?" "Certo che sì, basterà convincersi che deve andare e andrà e il tempo passerà in fretta". Volevo dar credito a quello che mi era stato detto, considerare la chemioterapia una cura come le altre, ma quanto era difficile! Ciò che non si conosce fa sempre timore, è come un mostro a più teste, affrontarlo è difficile, perchè non fai in tempo a mozzarne una che subito un'altra è là spalancata pronta a divorarti. Vorresti scappare, poter entrare in un'altra dimensione, ma ti ritrovi imprigionato in una realtà che subisci perdendo il controllo di te stesso.

sabato 6 novembre 2010

Lo sguardo s'inoltrò fino al termine del corridoio; già a metà alcune piante lo costeggiavano, ma in fondo c'era una piccola foresta in mezzo alla quale faceva bella mostra una stupenda statua dell'Immacolata Concezione. Sarà stata l'ora, il reparto era vuoto, ad accoglierci giunse Orlando,un ausiliario, seguì Marta e da una porta s'affacciò Dora, la caposala. C'era silenzio e dalla finestra dietro le piante, filtrata dalle tende entrava la luce del sole che iniziava lentamente a calare dopo mezzogiorno. "Buongiorno, avete appuntamento?" mi chiese Marta, una delle infermiere. " No, ma il dottore mi conosce e sa di me perchè ci siamo visti in chirurgia un paio di settimane fa, in un certo senso mi aspetta." Aggiunsi il mio nome e Marta entrò in una stanza; poco dopo ne uscì il dottore Antonio, sorridente e,  non esagero a dirlo, a braccia aperte. "Avevate detto che potevo venire in qualsiasi momento e senza appuntamento, vi ho preso in parola e l'ho fatto. Ora sono qua e vi chiedo che cosa devo fare per cominciare a curarmi." Mi chiese il risultato dell'agobiopsia, senza il quale non si poteva dare inizio ai quattro cicli di neoadiuvante previsti prima dell'intervento. Gli dissi del disguido capitato e mi invitò a tornare al più presto nei giorni a venire: prima si cominciava, meglio era. Non mi congedò subito però, mi parlò ancora della necessità di quella terapia prima dell'operazione e di quello che mi sarebbe successo per gli effetti collaterali: tutto subito, tutto chiaramente e senza mezzi termini. Come era successo dopo il primo colloquio, sentii salire un nodo alla gola, avrei voluto tanto piangere; nello stesso tempo pensavo che fosse tutto un brutto sogno e che presto mi sarei svegliata sorridendo alla mia vita di sempre che tanto spesso invece mi aveva visto stanca ed annoiata.

venerdì 5 novembre 2010

Eh sì,davvero le dovevo tanto anche per il solerte interessamento che mostrò quando fu accertato che il referto, arrivato in reparto tre giorni prima, non si trovava più. Immediatamente e in mia presenza ne inviò un altro via fax e attese la risposta di conferma. Finalmente a breve sarei entrata in possesso di quel benedetto foglio, grazie al quale avrei aperto un altro capitolo di questa mia storia. S'era fatto ormai tardi e probabilmente se fossimo andate in reparto non avremmo concluso niente lo stesso, così mi ricordai delle parole del dottor Antonio al nostro primo incontro;  se e quando avessi deciso di curarmi da loro, avrei trovato sempre le porte aperte, senza prenotazioni nè ansia. Il Day Hospital Oncologico, così  si chiamava quel reparto, era l'unico situato al quinto piano, l'ultimo, quello più vicino al Cielo, non avrei potuto sbagliare. "Mamma, andiamoci adesso così guadagnamo tempo, domani o dopodomani porteremo l'esito." Man mano che il momento si avvicinava la paura aumentava, avrei voluto poter tornare indietro ma non era possibile, così pur con il nodo alla gola e le gambe fiacche, accettai l'invito di mia figlia. Il Day Hospital era al plesso oltre la strada, mentre l'attraversavo avevo gli occhi velati e le orecchie tappate, vedevo poco e sentivo ancor meno: strano! La stessa sensazione provata quella mattina dell' 8 marzo al ritiro dell'esito della mammografia, i momenti difficili, era evidente, mi toglievano le forze e mi offuscavano i sensi. Ora, a distanza di tempo mi sembra strano che fosse così perchè molto è cambiato come son cambiata io stessa, eppure tutto ciò lo provavo nemmeno otto mesi fa.
Giungemmo al piano più vicino al Cielo; le porte erano apparentemente chiuse, il dito sul campanello, una voce maschile: "E' aperto!" Spinsi la porta ed entrai con Valeria. Entrambe provammo la stessa impressione: ci sembrò di essere arrivate in Paradiso.

giovedì 4 novembre 2010

Si dice "non c'è due senza tre", ed io per il terzo giorno consecutivo tornai in ospedale decisa a risolvere una volta per tutte la questione dell'esito dell'agobiopsia. Questa volta però passai direttamente dal laboratorio di Anatomia e istologia patologica, qualcosa in più avrebbero saputo dirmela! Valeria come sempre mi accompagnava, cercava di arginare i miei scatti di nervosismo, mi sosteneva negli attimi di scoramento. Quella fu davvero una mattinata difficile. "C'è nessuno?" Entrate nel vano antistante il laboratorio non vedemmo anima viva. "Scusate, ma non c'è nessuno?" Per la seconda volta cercammo di farci notare. Mi affacciai sulla soglia di un'altra stanza perchè richiamata dal suono di alcune voci, lo feci timidamente quasi con timore, ma Valeria,  per tagliare la testa al toro, mi diede uno spintone e a quel punto non fu più possibile non essere vista. "Vorrei parlare con la dottoressa P. A." "Attendete un minuto." Mia figlia ed io eravamo rimaste al di là di una vetrata, quasi timorose di oltrepassare un limite proibito; io in particolare mi sentivo piccola, impotente e nello stesso tempo quasi sfrontata per il fatto che dovevo chiedere di qualcosa che comunque era un mio diritto. Non volevo un'altra delusione, temevo altra perdita di tempo. La sensazione d'incertezza, quasi di panico fu annullata in un istante dal sorriso aperto,chiaramente sincero della dottoressa P. A. Ci invitò ad entrare, ascoltò il mio sfogo buttato giù in maniera confusa e tra le lacrime, poi chiuse la porta e cominciò a parlarmi. Ricordo bene tutto quello che mi disse ma al di là delle parole, chiare e prive di pietismo, a tratti dure perchè esplicative di una dura realtà, ricordo la sua voce, pacata, suadente che a poco a poco mi tranqillizzò, asciugò le mie lacrime, riportò nei miei occhi il sorriso da un bel po' dimenticato. Persona davvero speciale! Forse devo proprio a lei la presa di coscienza della mia vera natura e della mia grande capacità di risalire dopo aver creduto di non potercela fare mai più.

mercoledì 3 novembre 2010

Nella speranza di conoscere ufficialmente l'esito della mia agobiopsia tornai il giorno dopo nel primo pomeriggio. Ero con Valeria, ci accomodammo nella sala d'attesa e cominciammo a contare i minuti e poi le ore;  il Dottor F. C. non c'era ma ci fu detto che sarebbe tornato ed io ero troppo tesa e nervosa per tornarmene a casa. Aspettando la tensione aumentò, ero tanto arrabbiata perchè avevo provato un grande senso di colpa per aver perso tempo a decidermi nel farmi visitare ed ora erano altri a indugiare, a infischiarsene del fatto che io stavo tanto male e sentivo la terra franarmi sotto i piedi. Allora la pensavo così, sbagliando, ma tali erano le mie considerazioni. Dopo quasi tre ore non ce la facemmo più e andammo via, stanche ed io personalmente con una  forte sensazione di sconfitta. Dio, com'ero furibonda! Non riuscivo persino a sentire quello che mi si diceva, o in realtà non lo volevo sentire. Ero stanca di parole, belle parole "incoraggianti" che non incoraggiavano un bel niente. Stanca dei conflitti intestini. Stanca dell'interessamento altrui: il problema era solo mio e così pure il dolore. Tutti gli altri, compresi i miei familiari potevano sì dispiacersi, comunque avrebbero continuato la loro vita, " disturbati" ogni tanto da questo piccolo "neo", alla cui idea presto si sarebbero abituati; io no, non mi sarei mai abituata, neanche quando quel maledetto "bozzo" non ci fosse stato più. L'aver vissuto l'esperienza del tumore è qualcosa che ti scava dentro e non si può dimenticare, la puoi a tratti accantonare in un angolo della tua mente, ma poi basta poco, molto poco che ritorna prepotente a rinnovare l'antico dolore. A pensarci mi sembrava e a volte mi sembra ancora una lotta impari: non conoscere completamente il mio nemico mentre lui conosce me; non poter prevedere le sue mosse e al contrario lui gode dei miei momenti di debolezza. Diventare più forte di lui, questo era l'obiettivo di allora e lo è ancora, in questo momento quando tutto sembra essere sopito e ti predispone così ad abbassare la guardia.

martedì 2 novembre 2010

Gli parlai così, semplicemente con tutto l'amore possibile di una figlia che vive una situazione analoga a quella di suo padre. Provavo tanta tenerezza per lui che scendeva da quelle scale incredulo e pensieroso; c'era silenzio tra tutti noi e bisognava fare subito qualcosa prima che quel vuoto di parole diventasse incolmabile. Lo presi sottobraccio e a poco a poco cominciai a parlare, mentre in cuor mio pregavo di poter trovare le parole giuste senza rischiare di sbagliare. "Allora, babbo tra un paio di giorni andiamo insieme dall'oncologo. " "Sì, va bene ma non so il perchè." " Tu hai capito, però di che cosa sei stato operato?" "Sì, di un polipo al colon, ma ora sto bene." E' vero, stava bene ma quanta sofferenza c'era stata prima e quant'altra ancora ce ne sarebbe stata nel dare una notizia così, inaspettata e all'improvviso. Preso il coraggio a due mani, continuai: "Ascolta, non era un polipo la causa di tutti i tuoi disturbi, era qualcosa di più serio che però ora non c'è più. Hai sentito anche tu il dottore leggere il referto: adenocarcinoma in situ, 13 linfonodi isolati privi di metastasi. Babbo avevi un tumore che ora non c'è più, ne sei uscito fuori. Pensa però che è stata la tua malattia a convincermi perchè mi visitassi altrimenti chissà quale sarebbe stata la mia fine." A mio padre tornarono gli occhi lucidi ma poi si illuminarono di sorriso: "Allora deve andare tutto bene anche a te,me lo sento." Mentre tornavamo a casa in auto, aggiunse: "Guardate che dobbiamo fare una grande festa quando ogni cosa sarà finita perchè l'avremo battuto in due questo mostro terribile e inarrestabile." Il suo voleva essere un augurio bellissimo per me, ma allora non ero pienamente in grado di apprezzarlo tanta era la paura e l'incertezza che albergavano nel mio cuore.

lunedì 1 novembre 2010

"Domani vengo anch'io con te dal dottor C. così lo saluto, il mio salvatore." Mio padre volle accompagnarmi quel  lunedì con l'intenzione di supportarmi e di salutare colui che riteneva l'avesse salvato da fine quasi certa. Alle tre del pomeriggio eravamo lì a fare anticamera nell'attesa che ci ricevesse, come sempre marito e figlia al mio seguito, e in più questa volta c'era anche mio padre. Sapevo per certo che l'esito era arrivato, ma non avrei potuto insistere più di tanto se mi avessero detto il contrario, quindi mi augurai che tutto si risolvesse bene e in breve tempo. Dopo una lunga attesa fummo ricevuti; chiesi al dottor C. dell'esito. "Non credo sia già pronto. Mi pare di avervi detto che sareste stata chiamata."  "No, non sono stata chiamata, avevate detto di aspettare una settimana, ho aspettato dieci giorni, non bastano?" Una rabbia mi andava montando dentro, non era possibile che non si rendessero conto di quanto fosse di vitale importanza per me quel foglio di carta, si continuava a menar il can per l'aia senza sensibilità nè rispetto." Comunque telefoniamo al laboratorio, così ci sapranno dire." Da giù arrivò un foglio, la risposta, ma non era per me; si trattava dell'esame istologico dell'adenocarcinoma di mio padre. Il dottore lo lesse ad alta voce e in fretta, poi disse: "Quando arriverà anche l'altro, padre e figlia dall'oncologo!" Mio padre che fino ad allora era rimasto all'oscuro della vera natura del suo male, non potè fare a meno di esclamare: "Dottore, ma mi volete prendere in giro?"  "Niente affatto, allora non avete capito proprio niente." Dicendo così prese quel foglietto e lo infilò in una busta, che poi diede a me. Era quello un passaggio di testimone che per me fu come il lancio di una patata bollente: non poteva mio padre incontrare l'oncologo senza aver saputo di essere stato operato per un cancro. Uscivo dall'ospedale con la delusione di un niente di fatto per me e con un'ulteriore incombenza: informare una persona cara, in maniera meno traumatica possibile, che avrebbe dovuto affrontare la chemioterapia perchè aveva avuto il cancro.