giovedì 11 novembre 2010

Il giorno dopo, giovedì santo, ero di nuovo lì in ospedale, al quinto piano, l'unico vicino al Cielo. Con me c'era questa volta mio padre, infatti anche per lui visita oncologica, prelievo e forse... chissà...chemioterapia. Non ne voleva sentir parlare, però,  diceva di sentirsi bene, che ormai avevano tolto tutto, e in assenza di metastasi a che cosa doveva servire quel tipo di terapia? Cercai di spiegargli che era una forma di prevenzione per un'eventuale ulteriore neoplasia: la chemio lo avrebbe in un certo modo protetto insieme con l'età avanzata e lui avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Poi non doveva preoccuparsi perchè, secondo me la terapia che avrebbe fatto sicuramente sarebbe stata in compresse e non per infusione, quindi davvero non se ne sarebbe quasi accorto. Restò tuttavia poco convinto e fu con un atteggiamento tra il pensieroso e lo scettico che si presentò dall'oncologo. Il dottor Antonio parlò a mio padre, ripetendo in pratica il discorso fatto a me in precedenza e cercando di rassicurarlo riguardo la terapia, certamente non sarebbe stata pesante come la mia, sia a causa dell'età sia per la diversità dello scopo. Entrambi però quel giorno avremmo fatto il prelievo e il martedì dopo Pasqua avremmo inziato la chemioterapia. Avevo altri quattro giorni di "libertà", pensai, libertà da quel pensiero, libertà di fingere che nulla fosse accaduto, libertà di cercar di vivere la Pasqua imminente nella maniera più normale possibile. Certo non sarebbe stato per niente facile, è vero, ma avrei cominciato con la ferma intenzione di non parlare affatto della mia malattia in quei giorni di festa.

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