venerdì 19 novembre 2010

Quella mattina cominciava la mia battaglia vera e propria, l'avventura della chemioterapia. Mi svegliai presto e  stranamente mi sentivo riposata; in verità tutta la tensione l'avevo scaricata con l'ira del giorno prima e mi preparavo in silenzio perchè pensierosa e ormai non più tanto preoccupata. Indossai una tuta scura, tanto, pensai un indumento vale un altro per andare a quell'appuntamento, però la maglietta la scelsi di colore arancio, il colore del sole, intravedevo, nonostante tutto, la luce che allora mi mancava e percepivo quel po' di calore che mi riscaldasse dal freddo persistente.Valeria girava il cucchiaino nella tazza del caffè e mi guardava mentre in silenzio mi muovevo per la cucina con una faccia non certo delle migliori. " Dai, mamma, stasera sarà tutto passato. Pensa che finalmente cominci perchè l'attesa, l'incertezza è senz'altro peggio, ora inizi il cammino e a passo spedito, non accorgendoti del tempo che passa arriverai alla fine." Certo, alla fine, ma a quale prezzo? Pensai rispondendo sommessamente a me stessa. Mia figlia, fin dall'inizio compagna in ogni momento, aveva voluto essermi accanto anche quel giorno perchè "...così ti faccio compagnia, che dici?!" Mi aveva fatto piacere quel suo offrirsi, sentivo meno il peso della mia vulnerabilità e riuscivo pure a farmi coraggio mascherando la  paura per non caricarla di altra angoscia.
Arrivammo in ospedale, al quinto piano, l'unico vicino al cielo, spingemmo la porta ed entrammo. Velocemente e come un automa vidi una sedia libera e mi sedetti, Valeria accanto a me; avevo il cuore che batteva a mille. Ma che ci facevo là, tra tutte quelle persone che parlavano tra di loro, con un cerotto sul braccio o sulla mano quale segno di riconoscimento di una sorte comune? Mi sentivo un'estranea e provavo un certo imbarazzo come se anche gli altri mi guardassero così, da estranea; per fortuna la sensazione di disagio durò poco, cominciai a guardarmi intorno e a fissare nella memoria quei volti, ad ascoltare quelle voci che continuavano a...conservare la serenità di un tempo. Doveva essere vero allora, poter adeguare  la malattia alla propria vita e vivere così, con grande forza e  in assoluta normalità.

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