sabato 26 marzo 2011

Non ci si abitua mai, mi è stato detto, non ci si abitua mai a vedere qualcuno che prende l'altro percorso, e anche se non può essere diversamente si resta sgomenti e sorpresi come da una sconfitta. A nulla serve quella corazza che l'esperienza dà per proteggersi da certi sentimenti, perchè essa non respinge ma solo nasconde dolore e vulnerabilità. Eppure la vita continua... e come dopo una gran corsa, colto d'affanno ti fermi per prendere respiro, così resti a guardare chi si stacca dal gruppo perchè non può più seguirlo; te ne rammarichi ma poi riprendi la tua strada, magari con più calma, guardandolo da lontano. Quando si è a stretto contatto con questa malattia  si mette in conto e tutto fa parte del gioco; me ne accorsi quando si ammalarono di cancro i genitori di mio marito e ancor di più quando ad esserne colpita fui io: paura, dolore poi lucido distacco, necessario per continuare a... vivere. E non so per quale miracolo riuscii ad essere distaccata anche quella mattina, mentre venivo portata in sala operatoria. Pregavo, è vero, come mi aveva detto di fare Luigia, e c'era in me un abbandono che non era rassegnazione, bensì un voler mantenere la calma ad un livello costante per poter acquisire sempre più forza e determinazione. Mentre andavo, lungo il corridoio, il sorriso di Luigi, l'allievo infermiere, "In bocca al lupo, signora!" E la piccola Annarita che si chinò su di me per darmi un bacio. Quei due ragazzi, che conforto! Si aprì infine quella vetrata che introduceva negli ambienti operatori, e poi si richiuse dietro di me; davanti un altro corridoio forse non tanto lungo ma per me interminabile e intorno tutto di un unico colore, verde... verde i camici, verde le pareti, in un'atmosfera surreale che a causa dell'emozioni mi dava la percezione di essere protagonista di un sogno.

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