sabato 30 aprile 2011

Caso mai dovrebbe essere il contrario e così sarebbe dar ragione al detto, "Bisogna sempre guardare indietro", ovvero pensare a chi sta peggio. Guardare la sofferenza altrui, condividerla affiancandola alla propria è una specie di autoterapia che sviluppa la capacità di reagire positivamente, e poichè il fattore psicologico, è risaputo, potenzia la difesa immunitaria, si finisce col vivere meglio quella che si spera possa essere solo una semplice parentesi della vita. Vogliamo dire quindi, "Mal comune mezzo gaudio?" Beh, mettiamola così e non isoliamoci quando il diventare un'isola può renderci "non visibili" persino a noi stessi.
In questo periodo non "mi sono mai fatta i fatti miei", nel senso che i fatti, quelli riguardanti la mia malattia, li ho messi in piazza subito, raccontando quello che mi era successo e come lo stavo vivendo, ottenendo in cambio grande solidarietà e condivisione di esperienze simili alla mia. Non sono mai stata sola. Perchè è così, ognuno è unico col proprio vissuto, ma se ci si stringe in un abbraccio virtuale pur restando unici non si è più soli.
In ospedale quando dovevo affrontare l'intervento con me c'era Luigia, conosciuta solo 24 ore prima; due persone uniche, senza alcun legame apparente che hanno voluto "abbracciarsi" per essere di conforto l'una per l'altra ed annullare il senso di vuoto. Ed io prima di addormentarmi non mi sono sentita sola, così pure lei quando è stata operata di calcoli alla cistifellea, tanto che abbiamo voluto essere dimesse lo stesso giorno per non sentire la mancanza l'una dell'altra. E questo è il grande potere dell'abbraccio.

giovedì 28 aprile 2011

E chi se l'aspettava di vedersi poi, addirittura dopo un anno, con questi capelli che ora mi ritrovo?!? Tanti riccioli del color della cenere ancora calda che conserva qualche bagliore di luce...a detta di chi mi vede, molto belli, per me, solo "finalmente i miei capelli" e basta. Mi guardo allo specchio ogni giorno,più
volte al giorno, straordinariamente vanesia, fortemente incredula: mi sembra la testa di un'altra. Mi guardo allo specchio e mi piaccio e questo non era mai successo prima. Se poi ripenso agli ultimi giorni in ospedale quando ancora
trovavo capelli sul cuscino, nel lavandino, sul pigiama, ovunque, la situazione attuale mi appare quasi come un sogno che paradossalmente dà ancora più valore alla realtà. Sì, penso proprio che i colori della vita non siano tinte definite, o tutto nero o tutto bianco, per intenderci,esistono le sfumature, le tonalità che rendono ogni suo aspetto meno drammatico e molto più accettabile, così pure meno superficiale e molto più serio: dipende... ma la vita è bella anche per questo, stimola sempre a guardarsi intorno, a guardarsi dentro. E s'impara tanto, e non esiste più la paura, l'isolamento e avvicinarsi agli altri diventa la cosa più naturale e facile al mondo. Quante persone, infatti ho conosciuto e quante via via ne conosco! Non semplici conoscenze fugaci ma vere e proprie relazioni umane per cui mi sento partecipe in tutto, ansie, gioie e purtroppo delusioni. Non so, non posso farne a meno, non riesco ad essere completamente distante, anche se, per fortuna, mi riconosco una forza nuova che mi protegge da una sorta di pessimismo tendente alla... depressione??! Non so se questo potrebbe essere il termine giusto, in realtà non mi piace molto farne uso perchè lo trovo sempre inappropriato... la depressione è una vera malattia da cui non si può essere colpiti solo stando accanto a chi, come te, vive un momento di dolore.

mercoledì 27 aprile 2011

Ma "tutto va come deve andare" e non può essere diversamente nè si può contrastare, però assecondare, questo sì, si può assecondare la sua strada, rendendola piana, agevole sì che sia facile percorrerla. Scovare sempre il rovescio "positivo" di ogni medaglia, adattarsi alla situazione, che non vuol dire arrendersi ma combattere con le armi di uno stratega, calma ed intelligenza. Nella mia battaglia di strategie ne ho adottate tante, anche il guardarmi allo specchio in un certo modo lo era, così quando due giorni prima della dimissione vennero ad "alleggerirmi" di bende, mi ritrovai con una fasciatura che verosimilmente riconobbi come un top monospalla. Meglio di prima era! Un'occhiata allo specchio: niente male! E mi sentii felice. E la fisioterapia in stanza? A denti stretti molto collaborativa recuperai in breve e completamente l'uso del braccio destro e poi non ci fu bisogno d'altro.
Nell'armadio intanto era appeso alla gruccia il completo che indossavo il giorno del ricovero, una gonna nera di lino e una polo a righe in bianco e nero i cui bottoni erano un fiorellino colorato,una barchetta ed un paperotto. Chissà come mi sarei vista con quegli abiti indosso, soprattutto la maglietta... con tutte quelle righe! Ma che sciocca... avevo o no il mio reggiseno ad olio o gel che dir si voglia? L'avrei indossato e con la gioia trepidante di un'adolescente mi sarei guardata allo specchio sorridendo alla nuova vita. L'ansia di provarlo mi metteva su un'eccitazione che ridimensionava tutto il resto, compresi i chissà, i forse, i ma perchè e poi... poi era bello aspettare anche il giorno dopo con la consapevolezza del noto e con l'aspettativa della novità che sempre ti arriva quando meno credi sia possibile.

martedì 26 aprile 2011

IO MI AMO DI PIU'.
IO CREDO IN ME.
IO CE LA FARO'.
IO SORRIDERO' SEMPRE E COMUNQUE.
Stampai nella mia mente questi quattro "comandamenti" e da allora ripetendoli a me stessa ho imparato ad osservarli perchè, ne ero consapevole fin dall'inizio, volevo vivere e la vita è sempre una conquista, per niente scontata, ottenuta a volte anche con forza inaspettata. Per questo subito dopo l'intervento fui subito in piedi, col mio bel cappellino in testa, gli orecchini con gli angioletti e anche un po' di lucido sulle labbra... per amarmi di più... credendo in me stessa... fortemente convinta che ce l'avrei fatta. E per chi veniva nella mia stanza c'era solo il sorriso, anche se mi sentivo un po' acciaccata, perchè in effetti solo di "acciacchi" si tratta, basta crederci.
Un giorno Sonia, l'infermiera, non sapeva dove sistemare la coperta da me definita "postoperatoria", aprì l'armadio ed io la bloccai con un "No! Per carità, mi guasti la messa in piega." Infatti nell'armadio c'era la testina con la mia parrucca, la coperta riposta così, senza uno spazio apposito me l'avrebbe scompigliata tutta.  Perchè non ho mai perso l'ironia, anzi in questa vicenda ne ho acquistata imparando a sdrammatizzare, perchè è bene farlo comunque vada, perchè conviene. Ero diventata il punto di riferimento delle altre con la stessa patologia, tutte guardandomi si sentivano più forti... se ce la facevo io, potevano farcela tutte. Me lo dicevano, venivano nella stanza che diventava una specie di "forum" reale, un luogo di raccolta di persone sempre più numerose che seguivano il passaparola. Non avrei mai creduto di essere capace di tanto, eppure... E quella forza che da piccolissima cominciò a crescere alimentandosi di se stessa, ancor oggi mi stupisce quando mi trovo a dover affrontare la vita, quella con la "V" maiuscola, quella che non ti risparmia niente, anche se in teoria "avresti già dato."

lunedì 25 aprile 2011

No, no così non va proprio... anche la zolletta di zucchero non è dolce come sempre, vuol dire che devo lavorare un po' di più su me stessa. Ce l'avevo quasi fatta... D'accordo, devo scuotermi ancora perchè non posso permettermi il lusso di fermarmi, devo continuare a... infondermi forza... la troverò nel ricordare questo recente passato, la scoprirò nelle meraviglie dell'esperienza quotidiana, una risorsa sempre nuova e inesauribile. Il recente passato... sembra tanto lontano, come l'ho vissuto, con la timidezza del timore che s'affaccia ad ogni prova, un esame dopo l'altro, sempre più difficile. L'intervento poi, quello più duro; la mastectomia, la mortificazione della femminilità... tutto affrontato e superato... mi sembra impossibile! Ed è da qui che devo ripartire per continuare.
Non era passata una settimana che una mattina mi guardai allo specchio; gli occhi avevano perso lo smarrimento, la paura e lo sguardo ne aveva guadagnato in tenerezza, mi sembrava l'espressione della mia mamma. Non è che volessi paragonarmi a lei, sarebbe stato impossibile per tanti motivi, ma forse il pensarla continuamente faceva ravvisare in me quella che era la sua peculiarità, e poi mi piaceva quella tenerezza che non era solo apparente perchè mi sentivo diversa, non più arrabbiata ma buona, non solo con gli altri anche con me stessa. Avevo vinto la rabbia, ero riuscita a non compiangermi. Ci pensavo su ed ora ne sono convinta, la ricetta giusta per mandar giù lo sconvolgimento della malattia è per prima cosa non considerarsi vittime della cattiva sorte, poi addirittura guardare al "CANCRO", alla "CHEMIO" come a degli amici che vanno giù con la mano pesante ma che vogliono che s'impari a conoscersi e a volersi bene. E non c'è occasione migliore per poterlo fare se si riesce a superare quella linea sottile che separa l'angoscia dalla consapevolezza.

domenica 24 aprile 2011

"Stavamo dicendo tra di noi... ma è sempre uguale. State benissimo!" Stasera ho incontrato in chiesa due vicine della vecchia casa che non vedevo da tempo, naturalmente non conoscevano la mia recente storia ma hanno notato un che di diverso, forse il look dei capelli che definire nuovo è un po' riduttivo, oppure... sì, una luce negli occhi che è la stessa che porto nel cuore e voglio trasmettere intorno. Non so se riesco sempre nel mio intento, ad esempio quest'ultima settimana sono stata un po' spenta e forse non ho mantenuto l'impegno, ma il forte desiderio che mi anima, quello di ritornare alla mia stabilità emotiva, alla spiaggia tranquilla, mi ha fatto riflettere... quando mi sento andare alla deriva devo aggrapparmi al momento sconvolgente della mia vita e darmi da fare... muovermi perchè se Dio ha voluto che ci fossi ancora non è stato solo per me, mio marito, i figli, persone adulte che conducono la vita con scelte autonome e responsabili, è stato anche per... non so, non ho la presunzione di conoscere il motivo certo, forse la soddisfazione di un bisogno mio che latente era in me e mai trovava appagamento. Perciò, anche se tutto ciò che accade sempre lascia il segno e d'altra parte non può essere diversamente, da oggi in poi metterò in un canto tutte le parentesi nella parentesi e continuerò a... voler essere la "persona nuova" che oggi sono senza mai più passi indietro... un boccone amaro giù  e una zolletta di zucchero che vorrò concedermi sempre per ridimensionare le amarezze e riportare equilibrio in questa mia esistenza che deve guardare solo al futuro.

Come naufrago aggrappato ad un relitto avevo raggiunto la riva dopo tanta fatica; mi ero adagiata, finalmente e con gli occhi chiusi pensavo di godermi la fine delle sofferenze. Ma all'improvviso un'onda inaspettata mi ha colto di sorpresa, mi ha afferrato e sono tornata indietro, non tanto ma abbastanza da sentirmi persa. Di lontano ho rivisto quella riva, "devo raggiungerla di nuovo", mi son detta, e ho ricominciato a nuotare a grandi bracciate, sempre più decisa, sempre più veloce. Ora sono qui, con la stanchezza sulle spalle e nel cuore, guardo indietro ogni tanto perchè non posso farne a meno, ma so che sarà meglio non farlo per poter restare su questa riva, fermarmi su questa spiaggia. Nuotare tra le onde insegna a rimanere a galla ed io sto imparando perchè così resterò in vita. Piano piano imparerò anche a schivare le onde improvvise, riuscirò a ridimensionarle perchè è così che si superano.
In questo mare della vita agitato a più riprese difficile è navigare perchè lo vorremmo facile e liscio, calma piatta, ma per nessuno è così; guardarsi indietro conviene e si scopriranno acque molto più turbolente, sponde irraggiungibili. Constatare che non si è soli, confrontare le difficoltà e concludere che le nostre tutto sommato non sono le più grandi  ci faranno apprezzare maggiormente le nostre conquiste, ci renderanno più pazienti e comprensivi. E la rabbia che ci è dentro, quella soprattutto che è rimasta dopo l'ultima ondata, si cheterà fino a sciogliersi in un caldo e lungo abbraccio.

sabato 23 aprile 2011

Come colomba i miei pensieri vanno alti, vagano impauriti e poi si posano per ricaricarsi in qualche modo e ancora vanno.. sempre.
Come colomba il mio pensiero va ad Isa che aspetta il profumo dei fiori di maggio e il calore del sole dell'estate: la porteranno fuori dal freddo inverno che dura oltre il tempo.
Come colomba il mio pensiero va a Mario, ai suoi occhi lucidi di lacrime senza consolazione anche se c'è il sorriso, a quella stanchezza che non sa spiegare, ad un futuro che vive giorno per giorno.
Come colomba il mio pensiero va ad Antonietta, alla sua calma ritrovata e al timido coraggio, al forte abbraccio che mi regala ogni volta.
Come colomba il mio pensiero va alle sue figlie, madri della loro stessa mamma, cucciole da proteggere e rassicurare che attingono serenità da ogni piccolo segno e continuano ad... andare fianco a fianco perchè, lo sanno, è giusto così.
Come colomba il mio pensiero va alla mia di figlia che amo tanto... oh, quante sarebbero le cose da dire! Ma caratteri diversi spesso allontanano da ciò che accomuna  e a me resta la sensazione di aver sbagliato e di meritare il vuoto e la solitudine anche quando lei è con me.
Per tutti comunque è Pasqua, e i miei pensieri perciò come colomba portano pace, anche se non sembra, anche se è difficile, la portano prima a me stessa perchè ne ho bisogno, perchè non sempre è sereno nel mio cuore, a volte c'è la paura, l'ansia e pure il tormento, poi agli altri perchè senza pace non si può nemmeno sopravvivere.
E' Pasqua sempre... col cielo azzurro... con le nuvole... la pioggia... persino con un uovo di cioccolata che si è sciolto al primo caldo di questa primavera.

giovedì 21 aprile 2011

E domani Mario, all'anagrafe Giovanni, avrà la sua torta di mele. Avevo saputo che gli piacevano tutti i dolci con questo tipo di frutta e la settimana scorsa, un giorno che piangeva gli avevo promesso la "mia" torta. Aveva smesso subito come avrebbe fatto un bambino alla promessa di una leccornia. Ora non potevo certo tirarmi indietro e così l'ho preparata... sarà il mio dono di Pasqua. Pasqua... è vero, Pasqua è vicinissima, domani è giovedì santo e un piccolo miracolo è già avvenuto, sto ritrovando il mio equilibrio e serenità che in questi ultimi giorni avevano dichiarato forfait, e di nuovo il mio cuore si riempirà di gioia perchè io possa trasmetterla in ogni dove. Ho rivisto poi Azzurra e con lei è sempre come guardarmi allo specchio tanto siamo simili, parleremmo per ore senza mai stancarci perchè in comune abbiamo soprattutto la determinazione e la capacità di gettare, pur tra alti e bassi, tutto alle spalle.
E con il tempo che passa mi sento sempre più tutt'uno con il mondo intero, per ora il mio piccolo mondo che esula dalla famiglia e spazia in quell'ambito che io definisco "di chi mi appartiene." Così ho quasi perso del tutto l'abitudine di dare del "voi," mi sembra di voler mantenere le distanze ed è cosa stupida quando si sente di voler bene a tutti, anche a quelli che hai appena conosciuto, e per quelli che vedi da tempo c'è la volontà di partecipare alle loro gioie e al dolore, alleviandolo con una presenza discreta e serena. Quindi alla fioraia che domani  porterà i fiori ad Isa per il suo compleanno, mi è venuto spontaneo darle del "tu", è più bello e colorato come le meraviglie di questa  primavera che ora sboccia per dare onore alla Pasqua.
Oggi pomeriggio ci siamo riabbracciate con Rosa... sempre più bella con i suoi capelli cortissimi  e con quella luce gioiosa negli occhi... amica mia nell'ultima chemio, amica mia nella mia nuova vita.

mercoledì 20 aprile 2011

Stasera i pensieri confluiscono tutt'insieme, fanno ressa e faccio fatica ad esprimerli; cercherò di mettere ordine ma la stanchezza è tanta e a momenti sento un vuoto nell'anima che certo non può fare da sostegno alle idee. E' vero non sono io la protagonista, non lo sono sempre, meno che mai in questo momento e allora come farò ad interagire? Dovrò restare dietro le quinte ed aspettare senza aspettative ma mi resterà la speranza che il futuro sia migliore e non solo per me. Queste sensazioni mi accompagnano da stamattina e per questo sono titubante quanto abulica, ma devo reagire, continuare a... rimboccarmi le maniche per andare avanti. Mi viene chiesto!
Oggi Costantina faceva la terapia sdraiata sul fianco sinistro, non poteva girarsi perchè aveva problemi di respirazione, ma le andava bene lo stesso. " Dobbiamo combattere sempre," le ho detto e mi ha risposto, "A 77 anni... quello che vuole Dio! Basta non soffrire," e ha lanciato un'occhiata in alto verso la boccia della flebo, io l'ho imitata, "No, scende, scende... meno male, così finisce e me ne torno a casa." Questo è il pensiero che conforta, capitava anche a me, tornare a casa qualunque cosa si abbia fatto o vissuto e riprendere la vita di sempre. Poi Marta mi ha chiamato, c'era Margareta, rumena di 54 anni che oggi cominciava l'EC, le ha spiegato della caduta dei capelli e della velocità con cui sarebbero ricresciuti alla fine della terapia. "Ma io sono anziana, non ricresceranno più." Anziana a 54 anni? Per questo Marta mi aveva chiamato, perchè guardandomi si convincesse del contrario. Per lei perdere i capelli sarà più un problema che un dramma, vivendo nell'ambito di una tribù, la tradizione vuole che una donna conservi la propria chioma fluente per tutta la vita, altrimenti viene considerata una poco di buono, "Scusate il termine", ha detto Margareta, "ma per noi una donna che taglia i capelli è una puttana e per questo viene ripudiata dal marito e allontanata dalla propria gente." "Metti un fazzoletto, allora," ha detto Grazia, "No, troppo lungo il tempo, comprerò una parrucca, costa tanto ma non importa, sì... compro la parrucca!"

martedì 19 aprile 2011

Forse il paragone non è felice ma è così che mi sento, come quando lavorando a maglia ti accorgi dopo un bel pezzo che un punto è sbagliato, o meglio non proprio sbagliato ma diverso dagli altri. Ti dici, beh, nell'insieme non si nota tanto e vorresti passare avanti, non badarci, ma gli occhi vanno sempre lì, a quel punto sbagliato e alla fine torni indietro, sfili tutto e ricominci da capo e ti resta la sensazione di aver perso solo del tempo. Voglio pensare però che non sia stato così, mi sono un po' distratta, ho sbagliato a non controllare passo passo, a credere che ormai sarei andata spedita, ma tempo no, non l'ho perso perchè ho imparato.
"Ma hai incontrato qualcuno fuori? Mi è sembrato di udire la tua voce e poi tu hai aperto la porta." Ma io non avevo parlato con nessuno... eppure Marta mi aveva sentito arrivare. Se ti si dice così hai la conferma ancora che grande è la forza dell'amore, e va bene così... non hai perso tempo.
 "Finalmente sta uscendo il sole! Dovevi arrivare prima." Orlando  ha detto questo e mi sono quasi commossa perchè la forza dell'amore ha la capacità di squarciare le nubi... allora sì, ne sono sicura, non ho perso tempo.
E da ciò che mi viene donato ogni giorno devo trarre la forza di andare avanti, di concentrarmi su me stessa per donarmi ancora e sentire che no, non perdo tempo e non lo perderò mai se riuscirò a non sentirmi mai inutile, a superare gli intoppi, a chiudere un capitolo per aprirne un altro e un altro ancora... finchè Dio vorrà.

lunedì 18 aprile 2011

In questa domenica delle Palme così diversa, con una rinascita interiore così forte non avrei mai pensato di sentirmi così... anche stavolta ho peccato di presunzione, perdonami mio Dio. Pensavo che niente mi avrebbe più scalfito, sono forte ora, mi dicevo, mi rendo conto però di non esserlo abbastanza e certamente non lo sarò mai, almeno non a 360°. C'è sempre qualcosa di più grande che ci sovrasta e che minaccia la nostra presuntuosa sicurezza. Un'altra prova, un'altra ancora... per crescere e maturare ne occorrono tante, e da soli manca la forza; ti vedi all'improvviso vulnerabile, vai per la tua strada che in realtà è parallela ad altre, e in teoria con queste non dovrebbe mai incontrarsi, ma non è così, la vita è una diversa "geometria" e la tua retta si scontra con le altre ed è un'altra verità. Che ti piaccia o no torni sui tuoi passi, ti rimetti in discussione insieme con il tutto che è intorno  e di nuovo hai paura, paura di quello che non sai, di ciò che non conosci, del futuro. Ma una rinascita vuole che si guardi avanti, che si metta un punto e si ricominci, e così sarà, ancora una volta. E mi auguro che questa pace che comunque sento dentro, la pace con me stessa non finisca mai, e la serenità che tanto faticosamente ho conquistato mi aiuti a superare gli scogli che la vita para davanti all'improvviso, quando meno te l'aspetti e credi finalmente di essere al sicuro dopo aver raggiunto la riva.

domenica 17 aprile 2011

Dopo l'intervento la degenza in ospedale mi servì a riflettere; rilassata pensavo che a quel punto potevo aspirare sì alla vittoria, non avrei permesso che un semplice evento anche grave come un tumore avesse la meglio su di me. In alcuni momenti, è vero, venivo presa dallo sconforto, ma dovevo farcela ugualmente e continuavo a... pregare e sperare. La notte soprattutto era il momento peggiore, tra zanzare e dolori i fastidi non si contavano più e i pensieri diventavano sempre più pressanti. Mi ripetevo continuamente, ce la farò, e un minuto dopo aggiungevo, quanto è estremamente difficile!
Un pomeriggio era venuta a trovarmi mamma Ripalta ed era stata una gioia grande, lei rappresentava la speranza vivente, il coraggio, la voglia di vivere; alla sua età aveva superato ben due tumori ed ora era lì, in ospedale a farmi visita, messa elegante in mio onore, così aveva detto e mi aveva fatto sentire amata. Perchè che ti amino i tuoi familiari è cosa scontata, ma che un affetto così grande ti possa venire da persone che hai conosciuto da pochi mesi, non lo pensi nemmeno e questo ti conforta ancora di più e ti sprona a guardare avanti, molto avanti, oltre il superamento della malattia stessa. Ed è così che si diventa una persona completamente diversa ed è questa l'autentica vittoria. Con queste fasi alterne trascorrevano i giorni e a volte nel "momento no" non mi sentivo capita neanche dai miei familiari e soprattutto da mio marito; lo guardavo seduto davanti a me e gli riconoscevo un atteggiamento menefreghista, magari non era vero, forse pensava solo, "aspettiamo che passi, passerà", ma intanto ero IO solo IO ad aspettare.

sabato 16 aprile 2011

Ho lasciato una finestra aperta su questo scorcio della mia vita, ed ogni volta della mia nuova vita colgo particolari diversi.
Qualche giorno fa al capolinea dell'ospedale ho incontrato Raffaella, la sorella di Luigia e non mi aveva riconosciuta; certo, a giugno col pigiama e senza capelli ero ben diversa, "Non mi riconosci?! Sono la compagna di stanza di Luigia." "Sì... certo! Ora che ascolto meglio la voce... Ma sei cambiata, stai bene!" E mi ha abbracciata, forte da farmi sentire la stretta. "Sai, te lo dico in anteprima, Luigia si sposa a luglio!" Ed io ne sono stata felice perchè Luigia e Tommaso sono davvero due anime gemelle, l'una il completamento dell'altro, una coppia come non se ne vedono più. "Me la saluti tanto allora!!?" "Certamente! Ma lo sai che i tuoi capelli sono davvero belli?" Ho sorriso e non ho aggiunto altro... ma sinceramente lo penso anch'io e me ne vado in giro "a testa alta" nel vero senso della parola, quasi con l'impressione di essere guardata con ammirazione. Ma forse esagero quel po' che mi fa stare ancora meglio con me stessa.
 Stamattina al piano terra del poliambulatorio erano in vendita le uova di Pasqua dell'ANT, una fondazione che si occupa dell'assistenza domiciliare ai malati oncologici; mi sono fermata a parlare con la volontaria che era lì, abbiamo condiviso le nostre storie, due parti opposte della barricata, un "grazie" detto all'unisono perchè si crede in ciò che si fa e nient'altro.
Poi su, in reparto... avevo detto che non avrei dimenticato Maddalena, di dirle "grazie"... un pensiero piccolo, un uovo di cioccolata e un augurio, sincero ed affettuoso e tanto sorriso, il rimedio efficace per tutti i mali.
"Ciao, Salvatore!" "Ciao, ciao Maria." Da parte di Salvatore poche parole che equivalgono ad un discorso, perchè prima d'ora era sempre in silenzio, scuro in volto, pareva di ghiaccio. Adesso si sono sciolti i suoi occhi azzurri, non sono più persi nel vuoto, partecipi si arricchiscono di quel sorriso che c'è intorno.

venerdì 15 aprile 2011

Quella sera al mio diario avevo affidato le paure e la preghiera al Signore perchè mi proteggesse e mantenesse integre la mia coscienza e la mia dignità; lo avevo poi richiuso sostando sulla copertina quasi a voler fissare quegl'intimi pensieri e, riposto nel cassetto del comodino, lì mi avrebbe aspettato con la pazienza di un amico. Nei giorni che seguirono l'intervento non ebbi nè tempo nè forza di riprendere in mano il diario, ma mentalmente prendevo nota di ogni evento ed emozione per poterli riportare su quel quaderno quando ne avessi avuto la possibilità. Al quarto giorno due stati d'animo contrastanti mi spinsero a riprendere la "narrazione" di questa mia storia, ad aggiungere un tassello per ricostruire la mia esistenza e darle un senso in più. Il timore di non riuscire ad escogitare altre strategie, di lasciarmi andare alla stanchezza e nello stesso tempo la certezza che sarei uscita dall'ospedale così come ero entrata con la fierezza di chi è deciso a non arrendersi mai. Come al solito scrivere ciò che provavo mi aiutò moltissimo e ristabilì l'equilibrio necessario tra cuore e ragione donandomi di nuovo la serenità, l'ironia ed anche la voglia di scherzare. La sera toglievo il cappello e rivolgendomi a Luigia dicevo:"Guarda un po', non ti sembro un pulcino spelacchiato?" E lei, "Proprio no, perchè quando uno è bello, è bello sempre!" Così scoppiavamo a ridere, lei con più gusto, io un po' di meno perchè dovevo mantenermi il petto per non sentire il dolore della ferita. Ma come ero tuttavia contenta! Nonostante la testa pelata, qualche doloretto qua e là, la spalla da befana mi sentivo, come dire, protetta, al sicuro perchè in quella condizione dopo tutto "non facevo notizia", ero nella normalità perchè stavo superando qualcosa che per me prima d'allora era assurdo solo pensare. E poi avevo avuto la fortuna di trovare una compagna di stanza così... che fosse anche quello un segno di Dio?

giovedì 14 aprile 2011

Perchè di cose dietro me n'ero portate e tante, tra le altre la sveglia retroilluminata, l'angelo della maternità, un piccolo cestino portatutto che avevo elevato di grado usandolo come portacellulare biposto. Gli ultimi due me li aveva regalati  mia figlia, come al solito a sorpresa, quando meno ce l'aspettavamo sia lei che io. Avevo tutto lì, a portata del mio sguardo e la sera, prima di addormentarmi, giravo la testa e poi chiudevo gli occhi, serena. In verità un'altra cosa ancora facevo prima di prender sonno: scrivevo. Avevo cominciato alcune ore prima che Betty morisse, quando avevo intuito che non c'era più niente da fare e,( alcuni mi perdoneranno ) mi sentii persa; avevo poi continuato durante il primo ricovero per metter fuori l'ansia, l'inquietitudine, tutti i dubbi che avevo dentro. Era stato il mio modo di reagire all'evento, alla malattia che all'improvviso mi era piombata addosso guastandomi la quotidianità. Frastornata, allibita dopo il primo duro momento mi ero chiesta che cosa mi piacesse fare perchè mi ero convinta che fosse tutta lì la preziosa medicina, la risoluzione al problema almeno psicologico. Così cominciai a scrivere, prima sul blocchetto della spesa che portava disegnato all'angolo di ogni pagina un pinguino, dopo su un diario vero e proprio, un quaderno dalla copertina rigida con una luna e una stella d'argento. Valeria l'aveva portato dal suo viaggio in Messico e me l'aveva regalato qualche giorno dopo il ricovero incitandomi a continuare a...scrivere perchè, " vedrai, ti farà bene." E così in effetti era stato, scrivevo quando il mio cuore era in piena, quando lo sentivo scoppiare per l'emozione e mi opprimeva la solitudine anche se ero circondata da tanta gente. Ogni momento allora era buono per prendere la penna, aprire il mio quaderno e scrivere, scrivere... a volte con qualche lacrima, spesso con il sorriso perchè non ho mai abbandonato l'ironia. "Quando lo scrivi il libro me lo fai leggere?" aveva detto una volta mamma Ripalta vedendo con quanta convinzione "ero intenta all'opra". "Un libro, perchè no? Dalle piccole cose possono nascere... ma no, niente limiti, vero, signora Maria?" così mi aveva lusingato Luigia la sera prima che mi operassi.

mercoledì 13 aprile 2011

Non voglio dimenticarmi neanche di Maddalena, la persona che incontro ogni giorno in reparto, non è un medico, non è un'infermiera e neppure una paziente, ma con solarità e discrezione rende il suo lavoro parte della quotidianità di tutti. Ormai si sa che intorno alle 11 arriva Maddalena e il rumore del suo carrello accompagna l'abbiocco di alcuni, le chiacchiere di altri, di qualcuno lo stare solo con i propri pensieri. E' la normalità della vita di tutti i giorni in quell'ambiente, in quel contesto, e bravo è anche chi riesce a renderla serena facendo semplicemente le pulizie, come Maddalena. E in questo momento mi ritorna in mente anche Dina, l'inserviente del reparto di Chirurgia Generale, di lei ho già parlato, del suo carattere flemmatico, dell'andatura tutta sua così particolare e simpatica, e di quell' intercalare sempre lo stesso per cui aveva meritato il soprannome "uè, cià" (ehi, ciao). Sorrido al ricordo di un episodio che la vede protagonista indiscussa. Subito dopo l'operazione, passate poche ore ero ancora costretta a letto, e lei entrando in camera per lavare il pavimento, mi aveva guardato e aveva detto con una naturalità che non poteva non essere sincera, "Uè, cià! Non ti preoccupare stai pure comoda, non ti alzare!" Ma perchè poi, potendo, avrei dovuto alzarmi visto che doveva passare lo scopettone??! Mah! Questo non lo capii allora e non lo capisco adesso, ma mi fa ridere in eguale maniera. E quando anche in situazioni come queste si riesce a ridere di gusto grazie alla simpatica spontaneità di chi solo non  lavora ma si sente a suo modo partecipe con gli altri, come si fa a dimenticare e non provare gratitudine immutata nel tempo? Grazie allora a Maddalena e al suo sorriso e grazie anche alla flemma di Dina che pur tante volte con la testa tra le nuvole ha spolverato il mio comodino facendo attenzione alle innumerevoli cose che mi riportavano col cuore a casa mia.

martedì 12 aprile 2011

Ho letto stasera una frase che mi ha colpito e mi è piaciuta davvero tanto. Vivere è un insieme d'istanti, un insieme d'emozioni. Sarebbe bello se ad ogni momento della vita potesse corrispondere una forte risposta emotiva, ogni respiro sarebbe più intenso, tutto avrebbe più significato e ci sentiremmo stimolati affinchè le emozioni appunto fossero sempre più numerose tanto da portare alle stelle gli istanti e quindi allungarci la vita. Tutto può emozionare, non occorrono grandi eventi, può bastare l'alba di un nuovo giorno, il volo di un gabbiano e persino un dono fatto o ricevuto con il cuore. Non è questa forse la ricchezza dell'anima? E più ti emozioni e più ti senti vivo, istante dopo istante.
Quando l'esistenza pone un freno alla sua corsa ti ritrovi di botto a cercare le cose che contano veramente, i gesti con un valore, i fatti che passano ma lasciano un segno. Per me ogni sera è momento di bilancio. Sì, ogni sera perchè ogni singolo giorno ha un suo valore speciale, una gemma che deve brillare di luce propria e che insieme alle altre ha da rendere prezioso il gioiello che è la vita. Stabilito ciò che di positivo e negativo c'è stato, penso a quello che farò il giorno dopo, a qualcosa che dia gioia e non solo a me, serenità alla mia famiglia ad esempio, alle persone che incontro riservo un saluto speciale che faccia sentire unici, a chi come me ha vissuto o vive un momento difficile tutta la partecipazione che allevia il senso di solitudine nella sofferenza. Un piccolo dono per dire, sono con te, ti capisco, ti sono amico. Niente va dimenticato, nessuno deve sentirsi trascurato perchè ognuno ha un ruolo nell'esistenza globale.
Tra poco sarà Pasqua, la grande festa della Cristianità, la gioia della Resurrezione...non dimenticherò ciò che è stato, ma proprio per questo voglio viverla nel pieno, non dimenticando niente, non trascurando alcuno.

lunedì 11 aprile 2011

Continuare a... vivere, l'ho ripetuto tante volte, continuare a... vivere con l'esperienza del tumore e anche dopo, quando il peggio è passato. Ma non è più la stessa cosa perchè non si è quelli di prima, tutto cambia ed è per prima l'ottica della vita a mutare; il che non è detto sia del tutto negativo, per me, ad esempio il cambiamento è stato in meglio. Le priorità sono diverse ora ed ho scoperto con meravigliosa soddisfazione che le precedenti erano erroneamente considerate tali; quello che conta in realtà è ciò che mi fa stare bene con me stessa e permette di relazionarmi meglio con la famiglia ed altrove in un'armoniosa alchimia.
Dopo la lunga tempesta che mi ha vista sballottolata tra mille dubbi e paure è arrivata la bonaccia, ho tirato un respiro di sollievo, ho pensato, è vero, che forse potrebbe non durare, ma sono arrivata alla conclusione che  questo periodo che segue, lungo o corto che sia me lo voglio godere tutto, dando ascolto soprattutto al mio cuore che ora canta, grida alla vita. E la vita è stare con gli altri, essere partecipi, non arroccarsi in uno sterile egoismo che porta solo tristezza e, a pensarci bene, anche tanta stanchezza. E la vita è pure immergersi nella natura, colorare lo sguardo con l'azzurro del cielo d'aprile e il verde smeraldo di un mare che se pur già visto appare tutto nuovo perchè prima volontariamente con caparbietà sconosciuto. Apprezzare la melodia della sua voce che riporta ai tempi dell'infanzia quando bastava accostare all'orecchio una conchiglia per illudersi di ascoltarla. Quante gemme in quell'acqua... lo sguardo vorrebbe coglierle tutte, quasi contarle ma poi si perde spingendosi oltre fino all'orizzonte. Un'emozione grande... peccato non aver mai voluto provarla prima!

domenica 10 aprile 2011

"Che succede?! Non vi sentite bene?" Annuii con il capo, poi con un filo di voce chiesi un altro po' di zucchero da mettere nel tè, mi sentivo tremendamente debole e forse mi avrebbe aiutato. "Signora Maria, non c'è altro zucchero, comunque bevetelo tutto il tè, sicuramente vi farà stare meglio." Non so come seguii il consiglio di Luigia, ma mi sentivo ugualmente molto stanca, di quella stanchezza che fiacca braccia e gambe. "Ora chiamo il dottore." "Non importa... sto già meglio... però voglio stendermi sul letto." Intanto passando davanti alla stanza erano entrate Annarita e Federica, due delle allieve tirocinanti; una mi prese il battito del polso, l'altra mi accarezzava il volto, due dolcissimi angeli, un vero conforto. Piano piano tutto passò, ma quello che era stato nient'altro che un calo di pressione mi lasciò spossata e fortemente provata. "Non dovevate alzarvi. E' troppo presto, siete ancora così debole!" Certo Luigia aveva ragione, avevo osato e mi era andata male, ma avevo tanta fretta di testare volontà e tempra. E' comprensibile, vero? D'altra parte reagire presto e bene è la prima medicina consigliata in questi casi, mette subito in piedi e ridona il buonumore. Però per me occorreva un altro po' di tempo, pazienza!
Nei giorni che seguirono migliorai visibilmente, trascorrevo sempre più tempo seduta o passeggiando in camera, visto che avevo rinunciato a farlo nel corridoio dopo che m'ero accorta del furto di 40 euro perpetratomi mentre ero in sala operatoria. E continuavo a... chiedermi fino a che punto potessero arrivare degli esseri disonesti??! A comportarsi come dei veri e propri avvoltoi, era l'unica risposta.
Quando ero sdraiata passavo la mano su quel cerottone grosso e rigido che copriva l'espansore, un po' alla volta avrebbe fatto anche questo il suo dovere, mostrando quello che non è più. Stavo comunque bene, anche mentalmente, però a volte pensavo, non so se sarà sempre così.

sabato 9 aprile 2011

Il pigiama lo avevo indossato, ora avrei voluto darmi una rinfrescata. Scesi dal letto aiutata da Luigia, ma solo un po' perchè volevo fare da sola. La ferita e il braccio dolevano non poco, avevo rinunciato all'antidolorifico per non sentirmi imbambolata ed ora ne pagavo le conseguenze, ma non importava... ce l'avrei fatta lo stesso. Andai in bagno, mi lavai il viso e con la "spazzolina rosa" diedi una carezza alla mia testa; mi guardai allo specchio, anche con occhio critico, e dovetti riconoscere che mi sarei aspettata di peggio... gli occhi non cerchiati, il colorito così così, beh... mancava un bel sorriso! Era fatta: la mammella non c'era più ma neanche il tumore e adesso quel che era da fare avrebbe rimesso ogni tassello al suo posto perchè la mia vita potesse essere ricostruita. Questo pensiero mi risollevò e il sorriso ne fu l'espressione.
"Che cosa prendete, latte e caffè o tè?" Luigi, l'operatore sociosanitario aveva portato la colazione e sostava sulla soglia in attesa di risposta. "Per me il tè, grazie." E mentre mi porgeva il bicchiere notò Luigia. "Ma tu non sei la sorella di Raffaella?" "Sì, perchè?" "Ma guarda la combinazione! Mi raccomando, salutamela." La sorella di Luigia era una collega che lavorava in un reparto pediatrico, aveva notato la somiglianza ed era stata quella l'occasione per attaccar bottone e poter cominciare a raccontare i fatti suoi, soprattutto in campo di conquiste femminili. Bastò un'occhiata fra di noi per concordare che quel simpaticone avrebbe reso meno noiosa la nostra degenza. Mi sedetti alla sedia con in mano il bicchiere del tè, e ad un certo punto ebbi l'impressione di non vedere bene, tutto era sfocato, a tratti l'immagine si sdoppiava, in più il respiro cominciò ad essere sempre più corto. Cercai di chiamare Luigia, ma la voce venne fuori debole e strozzata. Che stava succedendo? Non avevo mai provato nulla di simile prima. Mi impressionai tanto ma cercai di non perdere la calma. In quell'istante rientrò la mia compagna di stanza anche se non sapeva di essere stata chiamata perchè non mi aveva sentito.

venerdì 8 aprile 2011

 Si è staccata dal gruppo, si è fermata anche se non voleva perchè non ce la faceva più. Un caso? Una sfortuna? Forse non poteva essere diversamente. Ogni tanto però guarda indietro, comunque tanta è la strada che ha percorso e questo la consola, riprenderà il suo cammino quando avrà riposato, si sarà ripresa e il freddo avrà lasciato il posto al caldo dell'estate. "Guarda, guarda fuori! La mia finestra affaccia su un angolo del giardino con tante piante di rose, a maggio ne vedrò i colori, ne sentirò il profumo." Certo, sarà così perchè il solo pensare al futuro equivale a viverlo. La speranza... grande risorsa, è il motore dell'anima, del corpo, fa andare avanti e non solo per inerzia. E il resto del gruppo cosa fa? Qualcuno si sofferma a guardarla, ma non più di tanto perchè pensa alla sua di strada, non vuole perder tempo ora che ha l'opportunità  di recuperarlo, altri non si accorgono proprio di ciò che è successo, sono troppo presi dall'incubo del loro passato, ne hanno vissute tante... meglio non pensarci e tirarsi su, la vita è così breve. Pochi si fermano con lei, solo per un po' ma intensamente, vorrebbero bloccare il tempo che corre via senza riguardo ma poi riprendono ad andare con un vago senso di colpa. "Pensavo che vi foste dimenticate di me." Ma come si può, sarebbe come dimenticarsi di se stessi, tale è il legame che si crea in situazioni come questa,  forse è la paura di constatare fino a che punto può arrivare la vita che stende un velo sulla coscienza, fa chiudere gli occhi e riaprendoli  dà l'impressione che dopo tutto non è successo niente perchè non riguarda te e tutto continua; come lo scorrere inarrestabile dell'acqua di una cascata, il sorgere e il tramontare del sole, la nascita e l'appassirsi di un fiore, la violetta, che perde così il profumo ma rimane umile e modesta nel ricordo.

giovedì 7 aprile 2011

Mille di questi giorni, anzi duemila... ma quanti anni poi saranno? D'impatto sono rimasta perplessa e non ho saputo rispondere a questa domanda con risposta "automatica". Mille, avrei dovuto dire, sono mille anni, ma inconsciamente riconoscendo l'assurdità di tale risposta, mi sono limitata a "... me ne bastano una quarantina per poter rivivere con la gioia di oggi l'anniversario di un evento che ha fatto rimettere in discussione ogni mia convinzione." Lo avevo detto che l'avrei festeggiato questo 6 aprile e così è stato, in mezzo alla gente che "mi appartiene", i medici, le infermiere, gli altri pazienti. L'anno scorso in questa giornata facevo la mia prima chemio ed ero tanto triste ed impaurita, oggi è tutta un'altra storia, sono sempre allegra e ho lasciato la paura dietro l'uscio chiuso a chiave. Sono tornata sui miei passi e rivivendo le varie tappe con la stessa angoscia e con una speranza crescente, ho rivalutato me stessa e ho visto (ma non ho ancora finito) di quanto sono capace. Finalmente! Per festeggiare ho condiviso con chi "mi appartiene" pizza e pasticcini e non solo perchè di solito si fa così, un po' salato un po' dolce, per me anche questo ha un valore simbolico e il salato è la fatica per riconquistarmi la vita che ho temuto di perdere, e il dolce tutto il sostegno e l'affetto che ho ricevuto e continuo a ricevere. Ed io in cambio voglio centuplicarlo quest'affetto e farlo diventare Amore, quel sentimento contagioso che in breve abbraccia sempre di più e ti fa sentire tutt'uno con chi ti si avvicina, si siede al tuo fianco, ti chiede come stai e poi ti racconta la sua storia perchè non ne può più di tenersela dentro e sente che di te si può fidare. Ora ogni giorno per me è davvero un dono, non so se meritato o meno, forse sono stata solo molto fortunata, ma credo fortemente che questo tempo non sia da sprecare, come "talento" da impiegare, va dedicato ad altri con tutta l'energia possibile e la piena fiducia nella bontà dell'intento. Io voglio crederci, ci credo.
"Mary, questo è per te. Auguri!" E mi è stato dato un sacchetto e all'interno vi ho trovato un coniglietto di peluche con un fiore che sorride... teneramente, il coniglietto... "il fiore è quello che porti tu qui ogni giorno." Grazie, con il sorriso ed una lacrima.

mercoledì 6 aprile 2011

Dopo "l'impresa" del pigiama mi sentii così stanca che mi appisolai. Il sonno era leggero e non m'impediva di sentire il tramestio nel corridoio; un'altra giornata aveva inizio, cambio di turno, prelievi, i primi pazienti mattinieri che si sgranchivano le gambe ed arrivavano fin lì, in fondo dov'era la mia stanza. Qualcuno dava anche una sbirciata insistente perchè nonostante non sia più un fatto raro una donna cui è stata tolta una mammella desta sempre curiosità. Poi le voci degli allievi che andavano a cambiarsi nella stanza di fronte, voci allegre che si alternavano a delle vere e proprie risate, aprii gli occhi e vidi passare i ragazzi che mi avevano "accolto" il giorno prima; guardarono all'interno e mi sorrisero, li salutai con un cenno di mano. "Buongiorno alla migliore paziente del mondo! Come va?" Dacia, la più allegra allieva dell'ospedale, mi salutò con un entusiasmo e una cordialità che mi sarebbero diventati presto familiari. "Bene. Va molto meglio" e le mandai un bacio sulla punta delle dita. Luigia, intanto si era alzata e dopo esser venuta fuori dal bagno, " Maria, come vi sentite? Avete riposato stanotte?" Penso che difficilmente potrò dimenticare la dolcezza di questa mia compagna di stanza;  il giorno prima, quando c'eravamo conosciute le avevo detto che se le faceva piacere potevamo darci anche del tu e aveva acconsentito volentieri, "Certo, signora Maria, mi fa molto piacere." Ma poi aveva continuato... signora Maria  tu... Maria voi... signora tu e così via,  impappinandosi e arrossendo, poichè era frenata da una sorta di rispetto per la differenza d'età. Alla fine era arrivata ad un compromesso tutto sommato accettabile e rivolgendosi a me con il nome di battesimo e il pronome personale di seconda persona plurale, finalmente era diventata più sciolta ed anche più affettuosa. "Va bene così, Luigia, non ti preoccupare, l'importante è capirsi e volersi bene." Allora aveva sorriso, "Maria, siete una persona speciale."
 No, non mi sento speciale, non lo sono. E poi che cosa vuol dire? Speciale è qualcuno o qualcosa che è al di fuori, al di sopra e si distingue per le sue caratteristiche. Niente di tutto ciò mi riguarda. Amo le persone e riesco a giustificare dal momento che sono costretta a guardarmi dentro e vedere a mia volta quanto c'è di me da giustificare.

lunedì 4 aprile 2011

Che è successo qualcosa lo ricorda solo la mia memoria e lo sente la mia anima, e a quel simpatico signore che stamattina andando via dal reparto mi ha augurato, "Buona guarigione!" risponderei, "Sono già guarita, grazie, sono guarita dentro, nel carattere e nello spirito." Che poi è la vera guarigione, quella che conta, dal momento che si può anche guarire dal cancro ma non si ottiene certo il privilegio dell'immunità a vita o addirittura dell'immortalità. Potrei risultare monotona perchè lo dico sempre, ma è più che altro per ripeterlo a me stessa, la ricetta, la medicina è una sola, vedere il bicchiere mezzo pieno e cercare di ogni cosa il lato positivo, il che può riservare davvero grandi soddisfazioni a dispetto di ogni apparenza. Perchè udire al telefono, "Ti ho chiamato perchè avevo bisogno di sentirti," a me fa immenso piacere, e quando questo si ripete più volte e con persone diverse, mi fa capire che finora avevo sprecato la mia esistenza e che devo "ringraziare"(sarà pure un'eresia, ma è così) la malattia per avermi fatto scoprire un potenziale del tutto sconosciuto. Non avevo grossi problemi, non mi mancava niente eppure il mio volto non è mai stato sereno come adesso, forse perchè inappagata dalla non completa realizzazione di me stessa, per come ero veramente. Così per quel senso di vuoto drammatizzavo ogni cosa, la febbre dei miei bambini mi dava l'ansia da togliere il respiro, un raffreddore era vissuto come una polmonite e, che dire... me ne vergogno un po'... anche una messinpiega non perfetta riusciva a togliermi il sonno. E pensare che i capelli poi li avrei persi tutti! Oggi vivo giorno per giorno quello che di bello la vita mi dà, il cielo sereno dopo le nuvole, la primavera dopo l'inverno, il sorriso degli altri "come me" dopo aver tanto pianto, dopo aver riconquistato la speranza che mai si perde, comunque sia, comunque vada.
Dopo il buio torna la luce e con la luce si riprende il cammino sicuri di arrivare.
La notte trascorse, Marcella andò via verso le sette per andare al lavoro ed io ero lì nel letto, ancora a torso nudo sotto il lenzuolo, in compenso però avevo in testa il mio cappellino blu. Passò dalla mia stanza il dottor C. prima di entrare in sala operatoria e mi fece un largo sorriso, "Ma sai che sei proprio buffa?(alternava il voi con il tu passando dal tono professionale a quello confidenziale) Le spalle nude e il cappello in testa! Toglitelo 'sto  berretto!" Ed io parafrasando un noto spot, "No, no dottore! Toglietemi tutto ma non il mio ... cappello." Il dottore andò via ridendo questa volta,e subito dopo entrò Pina, l'infermiera, per aiutarmi ad indossare il pigiama. "Quale prendiamo?" "Sul ripiano dell'armadio c'è uno a rose blu. Prendi quello." Era il mio preferito e tra l'altro s'intonava perfettamente con il cappellino. Il pantalone fu facile da indossare perchè le gambe non avevano impedimenti, ma quando si arrivò alla casacca furono dolori; il braccio destro faceva un male! Avendo subito lo scavamento ascellare non potevo sollevarlo dal lenzuolo più di una spanna, figurarsi infilare la manica. Al momento mi sembrò un'impresa titanica e avrei preferito rimandare la cosa, ma Pina esclamò con autorità, "No, bella! Tu il braccio lo devi muovere e anche in fretta, se non lo fai subito non ci riuscirai più." Come, non ci riuscirai più?!, che voleva dire, non avrei potuto più usarlo normalmente? Il braccio destro, poi... non poteva essere! Non ero mica mancina o ambidestra. Stringendo i denti e con sudore freddo assecondai i suoi movimenti e alla fine anche la casacca fu indossata. Oggi ricordando quell'episodio, solo uno dei tanti che hanno segnato la mia ripresa fisica, lenta ma tutto sommato neanche troppo difficile, mi sembra ancor più bello riuscire a mettere le stoviglie nello scolapiatti e persino lavare i vetri, e tutto nella completa normalità, senza il minimo sforzo, come se niente fosse mai successo.

domenica 3 aprile 2011

Dovevo assolutamente tenere gli occhi aperti e parlare, sì parlare per tornare alla piena coscienza. Sapevo che se fossi riuscita a non riaddormentarmi nelle prime ore dopo l'intervento, mi sarei ripresa prima e per questo facevo l'appello dei miei familiari chiamandoli uno per uno e non smettevo di far domande; in seguito il mio risveglio sarebbe stato definito perciò "molto collaborativo." Tuttavia ero dolente, il dolore che opprimeva il petto era insopportabile mentre un caldo soffocante soppiantò l'anomalo freddo di poco prima; quasi mi strappai di dosso la pesante coperta e andò un po' meglio anche se continuavo a... respirare con fatica ed avevo le labbra screpolate.  Passerà, pensavo, devo solo stare calma e lasciare che tutto vada come deve. Voglio alzarmi presto però, lasciare questo letto che deve servirmi solo per dormire, riprendermi e soprattutto non devo dimenticare di continuare a...sorridere. E l'ho fatto... con il dolore... la spossatezza... il timore di non riuscire... l'ho fatto ugualmente, e chi venne a farmi visita quel giorno, spontaneamente si ritrovò a dire, "Non sembra affatto che hai subito un intervento." Marcella, mia sorella, volle starmi accanto quella prima notte, anche se io non avrei voluto, capivo che era spinta dall'affetto però detestavo sconvolgere la vita altrui, soprattutto perchè non c'era un effettivo bisogno, distesa nel letto avrei forse un po' riposato, pensato tanto, ringraziato Dio immensamente. Cominciarono ad andare lente le lunghe ore della notte... alla mia sinistra dormiva Luigia, alla mia destra su una sdraio era Marcella. Con gli occhi spalancati nel buio ripercorrevo il recente passato, tanto era stato fatto, chissà quanto era da fare. Supina, non potevo muovermi e i dolori di quel momento a tratti mi toglievano la speranza, ma si sa, le ombre della notte sono sempre più lunghe e scure e solo alla luce dell'alba scompaiono lasciando un labile ricordo.

sabato 2 aprile 2011

Cinque bustine di caramelle, una per ogni nipotino di nonna Mimma. "Madò, vi'... tien sempre il pensiero." Quando vado in reparto mi piace portare qualcosa alle persone che incontro, molte volte non so neanche chi troverò, ma non importa perchè ciò che porto insieme al mio cuore va bene sempre per tutti. Chi riceve in quel momento si sente pensato, coccolato ed amato in modo particolare quasi esclusivo e reagisce positivamente, minimo con un sorriso. "E l'hai portate proprio a me? Come facevi a sapere che ho cinque nipoti?" "Boh!" avrei risposto, ma poi me ne sono uscita con "Non so, mi è venuto di chiedere cinque bustine, così a caso." In questo modo Domenica, per i suoi nipotini nonna Mimma, si è sentita accolta in un grande abbraccio che l'ha confortata e nello stesso tempo un po' sgravata da quel grande e doloroso impegno che è assistere suo marito Mario, affetto da più tumori al fegato, dipendente quasi totalmente da lei. E' una donna straordinariamente solare, sempre allegra che riesce comunque a bilanciare non senza difficoltà, il crescente stato depressivo del marito. "E noi, noi che ti dobbiamo dare?" "Niente, Mario! Non devi piangere più, devi darmi solo un sorriso." Mario per ringraziarmi, per ricambiare il dono allora mi ha davvero sorriso e per qualche istante non è stato malato nè per se stesso nè per noi che stavamo a guardarlo. E torna sempre in mente quella frase che ho sentito ripetermi tante volte e che tante volte ho ripetuto a me stessa per poter continuare ad... andare avanti, "è tutta questione di testa." Anche quando la situazione è la più drammatica infatti non abbattersi, restare in piedi ben saldi serve a portarsi come in un'oasi nel deserto dove si trova ristoro per continuare a... vivere con dignità e rispetto di se stessi. Ed è sempre questione di testa grazie alla quale Antonietta riuscirebbe a convincersi che tagliare i capelli prima che cadano può essere solo un bene per lei, una strategia in più per combattere senza soccombere alla depressione: resistere all'inevitabile, è nella parola stessa, un atteggiamento inutile, aggirare l'ostacolo invece, serve a coglierlo di sorpresa e superarlo.

venerdì 1 aprile 2011

"Dillo tu alla signora perchè se mai lo dico io posso anche non essere creduto. E' vero che hai perso tutti i capelli? E ora, signora, vedete a meno di un anno che capelli sono venuti fuori ed ha fatto la stessa terapia che farete voi!" Un'altra storia, un altro percorso che oggi ha avuto inizio e la protagonista è una donna di 46 anni, dallo sguardo smarrito e con un sorriso stretto sulle labbra. "Ciao, come ti chiami?" "Carmela." E poi ha cominciato a parlare, a fare domande perchè sapeva di essere capita, che di me poteva fidarsi. Noi , incappati nel cancro, ci capiamo subito, al volo solo guardandoci negli occhi e non occorre parlare; scatta poi immediatamente un meccanismo di difesa che porta a proteggersi l'uno con l'altro, un mondo a parte che riesce ad integrarsi con l'altro proprio perchè acquista una sua autonomia e va da sè come vita parallela. "A me quello che secca non è tanto fare la terapia, sopportare qualche disturbo, ma è il fatto di perdere i capelli, mi scoccia proprio." "Hai ragione, anche per me era lo stesso, ma poi è sì arrivato quel momento ma è anche passato come puoi ben vedere, poi, dai ci sono le parrucche! Anzi quando ci vedremo la prossima volta ti porterò le mie, ne ho una che ti starebbe benissimo." "Dici che di questa terapia allora mi posso fidare e come ti senti appena la fai?" Le ho risposto come mi era stato detto tante volte, "E' tutta questione di testa! Se riuscirai a pensare che ogni volta sono bastonate per il tuo tumore, quello che puoi provare tu sarà non dico impercettibile ma quasi, per questo non c'è una reazione uguale per tutti, è una questione di testa e basta." E' arrivata Grazia, "Scusate... signora venite, vi prendo il peso e l'altezza e poi tornate qui, a parlare con Maria." Intanto in fondo al corridoio, dallo studio medico arrivavano insieme con Dora, il marito e la madre di Carmela, il primo con gli occhi più che lucidi, la seconda con un atteggiamento ostentatamente sereno, troppo di chi deve esserlo per forza perchè deve darla la forza. "E perchè stai tu così ora? Io cerco di farmi coraggio e tu che fai?" Ma come poter dar torto a quell'uomo? Ho riconosciuto nell'impaccio dei movimenti, nel modo di stringere tra le mani alcuni fogli, dalla tensione del volto l'atteggiamento del compagno della mia  vita quell'8 marzo di un anno fa.