domenica 17 aprile 2011

Dopo l'intervento la degenza in ospedale mi servì a riflettere; rilassata pensavo che a quel punto potevo aspirare sì alla vittoria, non avrei permesso che un semplice evento anche grave come un tumore avesse la meglio su di me. In alcuni momenti, è vero, venivo presa dallo sconforto, ma dovevo farcela ugualmente e continuavo a... pregare e sperare. La notte soprattutto era il momento peggiore, tra zanzare e dolori i fastidi non si contavano più e i pensieri diventavano sempre più pressanti. Mi ripetevo continuamente, ce la farò, e un minuto dopo aggiungevo, quanto è estremamente difficile!
Un pomeriggio era venuta a trovarmi mamma Ripalta ed era stata una gioia grande, lei rappresentava la speranza vivente, il coraggio, la voglia di vivere; alla sua età aveva superato ben due tumori ed ora era lì, in ospedale a farmi visita, messa elegante in mio onore, così aveva detto e mi aveva fatto sentire amata. Perchè che ti amino i tuoi familiari è cosa scontata, ma che un affetto così grande ti possa venire da persone che hai conosciuto da pochi mesi, non lo pensi nemmeno e questo ti conforta ancora di più e ti sprona a guardare avanti, molto avanti, oltre il superamento della malattia stessa. Ed è così che si diventa una persona completamente diversa ed è questa l'autentica vittoria. Con queste fasi alterne trascorrevano i giorni e a volte nel "momento no" non mi sentivo capita neanche dai miei familiari e soprattutto da mio marito; lo guardavo seduto davanti a me e gli riconoscevo un atteggiamento menefreghista, magari non era vero, forse pensava solo, "aspettiamo che passi, passerà", ma intanto ero IO solo IO ad aspettare.

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