martedì 31 maggio 2011

Perchè la definii così? Quando camminavo o semplicemente mi muovevo mi pareva di trasportare "con le mani libere" il sacchetto del pesciolino rosso, quello tipico che si chiude a coulisse e che tanto precario rende il tragitto del piccolo amico fino alla boccia di casa. Quel giorno speravo davvero tanto di lasciarlo il sacchetto, lasciarlo lì dove mi era stato donato, anche perchè prima di uscire mi era sembrato che non fosse stato superato il minimo consentito. " E qua? E' quasi tutto pieno, non possiamo toglierlo, altrimenti... sono guai seri" . Oh no! Avrei dovuto supportare, cioè fare da supporto ancora alla bustina acquario, e chissà per quanto!? "Vedremo... al prossimo riempimento, la settimana prossima." Che voleva dire "vedremo", c'era forse ancora la possibilità di un no? Preferivo non pensarci, d'altra parte dài, una settimana passa in fretta, mi dicevo e anche questa non avrebbe impiegato certo più di sette giorni per volare via. Così la bustina mi fu cambiata e poi si passò all'operazione riempimento. Il dottor F.C. riempì una grossa siringa di soluzione fisiologica e in due riprese iniettò attraverso la valvola dell'espansore altri 60 cc. La pur piccola puntura dell'ago mi fece sobbalzare, poi avrei fatto l'abitudine... alla puntura, ma alla sgradevole sensazione di "palloncino gonfiato", a quella no, sarebbe stato difficile perchè la tensione improvvisa della pelle sotto la spinta dell'espansore dava l'impressione che potesse scoppiare tutto da un momento all'altro. Per fortuna che durava poco! Quella sortita nell'ambulatorio del mio chirurgo durò una ventina di minuti, dopo di che fui congedata con un altro "pesciolino rosso" al fianco e un nuovo "palloncino" più gonfio al petto. Avevo vinto sia l'uno che l'altro ma non ero stata di certo al Luna Park; dovevo esserne contenta e in effetti lo ero, e tanto anche, perchè continuavo...

lunedì 30 maggio 2011

Quel giorno era molto caldo, e si sa a metà luglio non può essere altrimenti. Arrivai in ospedale intorno a mezzogiorno, ora dell'appuntamento, e in sala d'attesa c'era più di qualcuno ad aspettare, tra le altre persone  Michela che era stata operata il giorno prima del mio intervento. Anche lei aveva fatto la neoadiuvante, ma già aveva tolto la parrucca e coraggiosamente "sfoggiava" una "quasi pelata"; nell'attesa cominciammo a chiacchierare... era ancora sgomenta per tutti i disagi vissuti durante la terapia... la nausea, il vomito, la stanchezza... e che dire di quell'odore che si portava addosso di ritorno dall'ospedale?! Non riusciva a liberarsene... e dei globuli bianchi che calavano e costringevano a rimandarla quella "benedetta" terapia!? E poi le punture, gli ematomi bluastri, e ancora flebo. Si sentiva a pezzi, gonfia, con le unghie annerite a causa della rottura dei capillari e più di un dente cariato. L'ascoltavo con gli occhi spalancati per lo stupore; è vero qualche problema l'avevo avuto anch'io, ma era niente a confronto di quelli di Michela, e ancora una volta ringraziai per quelle "sbrucciacchiature" attraverso il cerchio di fuoco. Arrivò finalmente il mio turno, il dottor F. C.si affacciò sull'uscio. "Vedo con piacere che qualcuno finalmente ha levato la parrucca", disse guardando in direzione della mia "collega". "Dottore, fa troppo caldo, non la sopportavo più". "Sì è meglio e poi stai benissimo". A questo punto guardò me, come per dire, e tu? " Io niente... la parrucca per ora sta bene sulla mia testa e... non accetto consigli." "Avanti, avanti la signora che parla troppo". Ed entrai. Diretta all'attaccapanni nell'angolo cominciai a sbottonarmi la camicetta, quella a quadretti che mi metteva tanta allegria (era meglio a quegli appuntamenti andare in camicia... sapete, per via della parrucca, per non scompigliarla, già la stagione non era propizia...), sfilai la canottiera, tolsi il reggiseno ad olio o gel che dir si voglia, e appesi tutto a quell'attaccapanni finto acciaio che fa molto ospedale, così tanto per non scordarcelo, e poi mi stesi sul lettino accomodando anche la "bustina acquario" che mi affiancava ancora, fedelissima compagna.

domenica 29 maggio 2011

Non tiravo giù la mantovana della finestra in camera da letto da marzo dell'anno scorso; dopo l'intervento non avrei potuto con quel sistema con cui è posta e con il braccio destro a part-time...Ma oggi ho decretato la fine dell'aspettativa per malattia di quest'ultimo e l'ho messo a lavorare sodo. Certo, un po' si stancava, gli concedevo qualche attimo di pausa e poi riprendeva, così per tutto il tempo fino alla fine dell'impresa. Soddisfatta mi son seduta sul letto, ho alzato gli occhi verso lo spazio vacante mentre la luce e il calore del sole entravano dalla finestra ad illuminarmi la mente e a scaldarmi il cuore coi ricordi. C'era lo stesso profumo nell'aria un anno fa quando cercavo di barcamenarmi tra le mille faccende con un braccio a mezz'asta  e un piccolo promontorio duro e insensibile al posto del seno destro che m'impediva movimenti sciolti e sicuri. Comunque non mi perdevo d'animo, comunque continuavo a... fare tutto come prima, forse non bene ma lo facevo; e mi soffermavo a guardare le mani, erano le mie ma sembravano essere a se stanti, autonome, non condizionate dalla volontà e dal pensiero. Specialmente la sinistra, era incredibilmente solidale con la destra, forse cominciava a rendersi conto di aver vissuto di rendita per troppo tempo, profittatrice incallita, e si dava da fare com'era ben giusto, e devo dire che davvero superava se stessa. Non so perchè oggi come allora mi torna in mente l'apologo di Menenio Agrippa, non c'entra molto ma... immaginare queste mani animate ad operare, ognuna secondo la propria possibilità, per il bene generale mi rende ancora più chiara la grandezza della magnanimità divina che ha voluto donarci due occhi,  due orecchie, due braccia e due gambe e così via ... che non avessimo troppo a patire. Peccato che apprezziamo tali doni, non più dati per scontati, solo quando abbiamo temuto di perderli e non solo quelli.

sabato 28 maggio 2011

Più volte mi è capitato, oggi mi è stato ripetuto. "Ma perchè vai ogni giorno in ospedale?! Invece di dimenticare..." Premesso che un'avventura come il cancro non si può dimenticare, poi a che cosa servirebbe? Non si possono cancellare con una spugna mesi di sofferenza ed ansia ma con coraggio si può avere la volontà di ricordarli come momenti di vita vissuta, esperienza forte di crescita interiore. Andando sempre in ospedale io non faccio altro che rinnovare tale esperienza facendomi forte di quella altrui, annullando, potrà sembrare strano, anche la paura di un eventuale ritorno della malattia. Non nego che a volte anche a me si pone il dubbio e mi basta sentire frasi come, "Ma qui c'è troppa gente", magari riferita ad altri, per sentirmi di troppo e con una domanda martellante nel cervello, farò bene? La risposta mi è arrivata con un certo anticipo già ieri quando Domenica mi ha invitato alla celebrazione di una Messa in suffragio di Mario e poi stamattina da Giovanna, "Amore, dammi il tuo numero di telefono... se ti posso chiamare?!" Con quest'ansia di condivisione è come un'unica vita per tutti, tanto dolore che diventa più facile da vivere e sopportare perchè partecipato e compreso da altri. Non è magnifico tutto ciò? Per me è la motivazione ad andare avanti.
Ora mi aspettano due giorni di "riposo" che mi serviranno per metabolizzare l'esperienze degli altri cinque e farne tesoro. Non si può disperdere al vento seme così prezioso. Vedrò di comprendere dove ho sbagliato perchè si possono sempre commettere errori, anche involontariamente, mi correggerò perchè credo in quello che "sto vivendo" per grazia di Dio, affinchè da quell'atto che io definisco un tempo egoistico perchè mirato a farmi sentire meglio, possano nascere in crescendo azioni sempre più positive. E così non avrò sprecato nè la malattia nè la mia vita.

venerdì 27 maggio 2011

Ed intanto restava tutto in sospeso perchè senza quell'esito non si poteva ricominciare con la chemio. Per fortuna mantenevo la mia serenità perchè mi sentivo supportata dal conforto e dalla disponibilità di tante persone ed una di queste era proprio la dottoressa P. A.
A tre settimane dall'intervento cominciarono "i riempimenti" o "gonfiaggi" dell'espansore; ai 50 cc iniziali di soluzione fisiologica bisognava gradatamente aggiungerne altri fino al raggiungimento della capacità prefissata ed anche oltre per ottenere la massima estensione dei tessuti, più pelle possibile. La mattina del primo riempimento mi guardai allo specchio con attenzione, volevo fissare bene nella memoria quella immagine per seguire poi mano mano la crescita di questo mio nuovo seno, come una ragazzina  all'inizio della pubertà. Con naturalezza, posta davanti all'armadio, inclinai il capo prima a sinistra e poi a destra per scrutare meglio... quell'abbozzo di mammella mi ricordava qualcosa o qualcuno. Il mio volto, inizialmente atteggiato al sorriso si aprì quasi in una risata. Ma certo! Lo specchio rifletteva al posto del seno destro un grande occhio che faceva l'occhiolino, dai che ce l'hai fatta, mi diceva, non importa... per ora è così ma presto passerà e forse, anzi no, sicuramente sarai meglio di prima. Ma come mi era venuto in mente! Allora davvero cominciai a ridere davanti a quella faccina Smile, la cicatrice che percorreva quel lato del petto divenuta simile ad un largo sorriso. Ecco di nuovo il sorriso che non avevo mai perso e che tornava nel mio immaginario come forza vitale per continuare ad... andare avanti. Così ben predisposta mi preparavo ad andare a quel primo appuntamento dopo l'operazione di mastectomia; ero tranquilla, si ricominciava a "ricostruire", a riparare al danno del tumore, e poi... avevo ancora il drenaggio ascellare... magari era arrivato pure il momento di toglierlo quel fastidio, e così speranzosa mi avviai...

giovedì 26 maggio 2011

Quanto più l'epilogo di una storia è triste e doloroso tanto più lo è il vissuto che c'è alle spalle; venirne a conoscenza spesso lascia senza parole con lo stupore di quanto sia sottile la linea che separa la realtà vera, autentica da quella "romanzata", come fosse la sceneggiatura di un film o addirittura di una fiction televisiva. Sono soprattutto i particolari, gl'intrecci dei rapporti e delle situazioni che danno da pensare, ma come può esser vero??! In quest'ultimo periodo ne ho ascoltate tante di storie così ed ogni volta mi rendo conto di quanto io sia da sempre fortunata, dal giorno in cui sono nata, e anche passare attraverso la malattia è stato per me come attraversare un cerchio di fuoco ed uscirne leggermente scottata. L'aver trovato sulla mia strada tante persone meravigliose, professionisti bravi ed umani mi ha convinto di ciò che vado affermando sempre e con tutti.
Il giorno che tornai al Day Hospital e ritrovai il dottor Antonio, Dora, Marta e Grazia, mi sentii come se fossi di nuovo in un porto sicuro; quell'ambiente familiare, quelle persone costituivano dei punti di forza per la mia rinascita. Il dottore in particolare, mi accolse con un sorriso molto aperto che sentii sincero, dato il suo carattere a volte apparentemente scontroso e la sua serietà di comportamento. In quell'occasione mi ascoltò a lungo e mi fece sentire tutto il suo appoggio, la strada da percorrere sarebbe stata ancora lunga ma mi sarebbe stato vicino, questo era sicuro. Nell'attesa dell'esito dell'esame istologico tornai a casa; presto la dottoressa P. A. di cui nel frattempo ero diventata amica, mi avrebbe dato i risultati e da lì finalmente si sarebbe chiarito definitivamente il quadro della mia patologia, sarebbe venuta fuori la carta d'identità del mio tumore.

mercoledì 25 maggio 2011

"Stavo pensando proprio a te... Chissà se oggi è venuta?!" "Oggi ti ho portato gli scaldatelli ( taralli pugliesi con vino, prima scaldati in acqua bollente salata e poi cotti in forno), Giovanna. Come va?" "Ma...io ti ringrazio troppo. Ieri poi li ho mangiati quei biscotti... mentre tornavo a casa. Erano buonissimi. Oggi pure gli scaldatelli! Mi piacciono assai. Come ti posso ringraziare?! Sei gentile. Non ce ne sono tante di persone come te. Quando stai male tanti ti scansano oppure se ne approfittano." Povera Giovanna, senza più fiducia nella vita e negli altri! Quando si era risvegliata dopo l'ultimo intervento aveva provato meraviglia per aver aperto di nuovo gli occhi, ci sperava quella volta che "Gesù Cristo si fosse ricordato di portarsela con sè". E aveva pianto. E ora mi ringraziava "troppo" che è ancor più che "tanto", perchè forse sente di non meritare quello che è invece un suo diritto, l'attenzione, l'affetto degli altri. Giovanna "è" non tanto per esserci, non per un caso, niente e nessuno sono un caso... tutto e tutti tasselli di un grande mosaico assemblato da un unico Artista. Ogni cosa ha un senso; si nasce, si cresce, ci si ammala anche e poi si muore e tutto ha un significato preciso. Quello che mi è successo non è un caso, soprattutto perchè ora la mia vita va in una direzione completamente diversa da prima ed io, sono sicura non ne sono l'unica artefice. Credevo di avere una personalità appena abbozzata, materia da plasmare, con l'avvento del tumore è iniziata per me una lenta evoluzione. Sono stata tanto aiutata, le persone che hanno collaborato per curarmi mi sono state vicine, ed anch'io dovrei come Giovanna "ringraziarle troppo", ma pur dovendo loro tanto, penso che come di marionette i nostri fili sono stati mossi da Qualcuno per un qualcosa che solo Lui conosce. E ci sta bene così.

martedì 24 maggio 2011

L'avevo notata da qualche tempo ma non ero stata capace di avvicinarla, non so perchè... m'inquietava. Però volevo farlo; la vedevo venire sempre sola, con la sua andatura strascicata, magrissima e con i capelli arruffati, in alcuni punti diritti e inclinati in avanti come per un colpo di vento. M'inquietava e non sapevo il perchè. Poi stamattina si è trovata accanto ad altre due amiche che facevano la flebo di calcio, tutt'e tre insieme in successione, e alla fine non mi sono più trattenuta, datomi un piccolo imput (a me ne serve uno proprio mini, come dice mio marito), non sono stata più sulle "mie" e "ho attaccato bottone". Devo dire che se io avevo tirato fuori "il bottone", lei da parte sua aveva messo a disposizione "ago e filo", in altri termini in breve tempo si è aperta allo sfogo e alle confidenze, molto più di quello che pensassi. E per me è stato un altro dono. Mentre raccontava la sua storia di indicibile sofferenza, doppio tumore, umiliazione e solitudine gli occhi le si sono riempiti di lacrime, ed io allora li ho guardati quegli occhi ed erano azzurri, fino a quel momento non me n'ero accorta... e l'inquietudine è caduta. Vincere la paura, trovare il coraggio di farsi avanti ed avvicinare anche chi per un motivo o per un altro non "t'ispira", fa cadere i pregiudizi, abbatte certe categorie mentali capaci solo di creare un isolamento che non fa bene a nessuno in nessun caso, meno che mai nella malattia. "Tieni, Giovanna, ti ho portato dei biscotti all'amarena. Ti piace l'amarena?" "A me... grazie! Certo che mi piace l'amarena. Assai." Ha preso il vassoio e il suo sorriso questa volta è stato più largo non tirato come quando arriva o va via, dice buongiorno o ci vediamo. Per prendere i biscotti ha lasciato poi cadere il batuffolo di cotone che serviva a tamponare il buco dell'ago dopo l'infusione. Un debole zampillo di sangue è venuto via da quel braccio magro e livido a cadere in grandi gocce sulla sua maglia giallo canarino e sul pavimento chiaro del reparto.

lunedì 23 maggio 2011

Non nascondo però che quando Valeria partì provai un attimo di sgomento e un senso di solitudine e disorientamento, un po' quello che succede a un bambino quando, bendato, per gioco viene fatto roteare su se stesso e poi tolta la benda non sa dove dirigere lo sguardo per orientarsi. Così, in casa mi guardavo intorno e non sapevo da che parte cominciare. Mi sentivo ancora debole e mi stancavo facilmente, però non potevo pensarci troppo, sarebbe stato peggio, allora decisi che avrei dovuto riorganizzare l'intera giornata. Al momento le cose erano cambiate e niente era come prima, girare pagina e ricominciare, questa era l'unica cosa da fare. Mi creai un elenco mentale di priorità, il necessario aveva la precedenza, ciò che non lo era veniva automaticamente eliminato. Devo riconoscere che tutto sommato "depennare alcune voci" mi risultò facile, prima sarebbe stato impossibile, quasi fosse una colpa, un reato. Esagero? Chi mi conosce da sempre sa, purtroppo, che dico la verità. Chiaramente "purtroppo" per me che mi son persa tre quarti del piacere di vivere.
Comunque passato qualche giorno, tutto cominciò a procedere per il meglio, mentre diventavo consapevole della mia nuova forza. Dopo cinque giorni tornai dall'oncologo, il dottor Antonio, avevo fretta di sapere come avrei dovuto continuare a... combattere; la chemio andava ripresa, questo sì, ma il tipo di farmaco, i tempi per la frequenza e la durata, questo non mi era noto. Sapevo che sarebbe stato diverso che con l'EC, ma quanto diverso? E i capelli? Quando li avrei rivisti di nuovo? Ormai guardandomi allo specchio mi sembrava quasi impossibile che sarei tornata come una volta... e in un certo senso avevo ragione, perchè oggi posso dire che sarei stata molto meglio. Magari... forse non è vero, ma è che io ora mi vedo, mi sento molto meglio, e questo certo non è cosa da poco.

domenica 22 maggio 2011

A tutto c'è rimedio tranne alla morte, e alle volte anche questa arriva come una risoluzione. Per Mario, Isa non c'erano più terapie, il loro male era tanto infiltrato da negare ogni speranza, li teneva in vita solo la grande capacità di soffrire; poi Qualcuno ha avuto pietà e li ha chiamati a sè, figli tra i figli.
Tante volte mi chiedo perchè a me, invece è stata concessa un'altra possibilità negata ad altri, mi sento "ingiustamente privilegiata", a tratti in colpa. Quando ho confidato, condiviso questa mia sensazione mi è stato detto, "...forse tu servi" e nient'altro, ma riuscirò ad essere all'altezza delle aspettative di Chi crede in me? Certo è che tutto sin dall'inizio, che pur si era presentato tutt'altro che roseo, si dispose in modo tale da far bene sperare; i problemi non mancarono ma le soluzioni non si fecero attendere. Al disagio del drenaggio rotto, ad esempio, pose rimedio Marilina, una delle assistenti del dottor C., mi cambiò personalmente la busta non appena arrivai in ospedale, m'incoraggiò con parole rassicuranti e con il suo bel sorriso e per me fu poi facile tornare a casa, dimenticare l'accaduto e darmi da fare perchè comunque bisognava andare avanti o, come diceva mia nonna, "Chi si ferma è perduto". Per giunta Valeria sarebbe partita il giorno dopo per una breve vacanza ed io ugualmente sarei rimasta sola, sola tra le incombenze quotidiane, sola con le difficoltà pratiche, sola con me stessa. Non mi persi d'animo ma non fu solo per mia capacità, di questo sono sicura, dovevo essere forte per poter superare il momento... l'angoscia... l'abbattimento e rialzarmi per riprendere il cammino là dove la malattia mi aveva imposto la pausa forzata. Assecondai con fiducia il corso degli eventi, pensando ogni volta, "Passerà, passerà anche questa."

sabato 21 maggio 2011

Il futuro non è dato sapere, e forse è meglio così. Innaffiavo l'alto pothos del mio soggiorno; l'osservavo... era imponente già quando mi era stato regalato più di un anno fa in occasione del trentesimo anniversario del mio matrimonio, ora è diventato bellissimo. Le foglie di un tempo sono diventate grandi, ben larghe, di un verde brillante, quelle nate subito dopo si fanno ora strada verso l'esterno in lunghi rami che tendono ad arrampicarsi e a scendere in un intreccio che si perde a vista d'occhio, mentre altre appena spuntate teneramente fanno capolino dalle coste degli stessi rami. Mi fu regalato cinque mesi prima che il tumore si palesasse; quando arrivò a casa per la sua maestosità l'interpretai come augurio di lunga vita, e allora mentre gioivo per quel dono e mi davo da fare per sistemarlo nella posizione migliore, mai avrei pensato di dover vivere di lì a poco tante vicissitudini, anzi se qualcuno fosse venuto ad avvisarmi gli avrei dato del pazzo. Il futuro, imprevedibile, è così e non si può conoscere. Quella pianta mi fu regalata da mio padre e da "sua moglie". Allora da "tua madre", mi viene replicato quando mi esprimo in questi termini con chi non mi conosce; invece no, proprio da "sua moglie", perchè mio padre si è risposato con la cugina di mia madre, e Dio solo sa con quanta foga e sofferenza all'epoca io abbia reagito a tale decisione... stupidamente, sostengo ora, perchè nulla avevo contro quella persona che ben conoscevo e a cui ero anche affezionata. Ma nel mio immaginario, accanto alla figura di mio padre, per quanti sforzi facessi, non riuscivo a vedere altri che mia madre, insostituibile in tutti i sensi, pur comprendendo e giustificando quella decisione. Oggi, dopo aver vissuto a causa della malattia mesi di reale, autentica angoscia riconosco quel mio atteggiamento stupido, d'inutile affanno perchè è sciocco volersi opporre ad una naturale evoluzione d'eventi, alla legittima volontà altrui e non ci si può arrogare il diritto di sostenere sempre il giusto e di controllare ogni situazione. Chi siamo per comportarci così?

venerdì 20 maggio 2011

C'erano due angeli all'apparenza fragili ma forti nell'essere, erano due angeli gemelli, identici in tutto ma uno reggeva un cuore che era tutta la sua forza. Oggi quel cuore si è fermato e l'angelo è volato via, è tornato su in Cielo e non da solo. "Tutto finirà quando tornerà il sole" e così è stato, davvero tutto è finito, la sofferenza, forse il rimpianto, tutta una vita. Le rose ormai sono sbocciate ma a quel roseto non potrà affacciarsi l'angelo dal cuore grande... lo immaginerà il suo gemello che è qui di fronte a me e il colore e il profumo di quei fiori ricorderanno chi ormai non c'è più.
Questo è ora il presente. 
Stamattina ho incontrato proprio sotto casa una persona che mi ha riportato indietro nel tempo. Ne è trascorso tanto: un tuffo nel passato... e son tornata ragazzina, adolescente e fresca sposa. Quell'incontro ha asciugato le lacrime per quell'angelo volato via, mi ha ridato il sorriso perchè nostalgia fa rima con malinconia spesso solo a parole.
Questo è il passato che ritorna.
All'ombra dei tigli rinverditi nel maggio ormai inoltrato, il presente ed il passato si fondono verso un futuro che non è dato conoscere nella meravigliosa parabola che è la vita.

giovedì 19 maggio 2011

Non si può lasciare un pur semplice segno considerando se stessi al centro dell'universo, sentendosi perseguitati dalla sorte, trascurati da Dio e dagli uomini. Questo atteggiamento porta alla chiusura e a piangersi addosso, niente di più sbagliato. Non serve neanche spostare l'interesse da sè esclusivamente al resto del nucleo familiare, si rischia di diventare ansiosi e soffocanti: l'anima ha bisogno di una boccata d'ossigeno, d'aprirsi al mondo perchè del mondo facciamo parte. Questo io prima non lo capivo, la malattia, il suo evolversi in un certo modo mi ha posto sulla strada giusta verso l'armonia e l'equilibrio. Me ne sono resa conto subito, appena sono tornata a casa dopo l'intervento; in ospedale avevo conosciuto tante persone, si erano stabilite delle relazioni tali che a me ad un certo punto non ho pensato più, o meglio non in maniera esclusiva e drammatica. Così pure con mio marito ed i miei figli sono diventata molto tollerante, non considerandoli una "mia proprietà", dei "beni", degli "arredi" che riempissero e dessero motivazione alla mia esistenza. L'ansia nei confronti di ogni loro azione o movimento, che fino ad allora a volte mi aveva tolto il respiro, finalmente si andava allentando ed io all'improvviso mi ritrovavo in pace con me stessa e con loro. La sera dopo la dimissione Francesco, mio figlio ebbe un incidente stradale che alla fine per fortuna non fu grave, ma il suo ritardo notevole nel tornare a casa, la "mia" auto un bel po' disastrata, tutta la tensione che in un contesto del genere sarebbe stata più che naturale, in quel momento fu molto contenuta: era successo "un qualcosa" che stava già passando e, affrontato nel modo giusto, era anche superato. Mi accorgevo tutt'a un tratto dell'esistenza di un'altra ottica della vita e di una maniera diversa di valutarne gli eventi grandi e piccoli.

mercoledì 18 maggio 2011

Mario, lo chiamavo io, Giovanni, Dora; oggi Qualcuno lo avrà chiamato figlio e nei suoi occhi non ci sarà stata più la languidezza della sofferenza, ma finalmente la luce della vita, una nuova vita.
Aveva chiesto di me per tutta la giornata di festa, m'aveva riferito Domenica, ma non ero a casa ed era stato quindi impossibile contattarmi. Poi ieri, un piccolo miracolo ed ho potuto essergli vicino ed accarezzargli la fronte... così è stato... senza rimpianti. Nessuno può essere lasciato solo, nella sua solitudine: una carezza, un abbraccio, un piccolo segno che a lui qualcuno tiene, in modo esclusivo tutto speciale, e il vuoto si colma, non esiste paura, si ravviva la speranza. Quello che più si teme è l'essere dimenticati, cadere nell'oblio. Ricordo che anche la mamma dell'amore della mia vita, ammalata di cancro, in un momento critico di grande dolore diede in una domanda inaspettata, visto che apparentemente mostrava di essere all'oscuro delle sue condizioni. "Ma vi dimenticherete di me?" Non ci fu risposta, nessuna era possibile e d'altra parte come si può "archiviare" un essere umano? Ci pensai anch'io all'inizio di questa mia storia... sarei morta e tutti a poco a poco mi avrebbero scordato, soffrii tanto a questo pensiero... no, non poteva essere! Anche lontana da questa terra avrei voluto continuare a... vivere,  perchè non si muore mai del tutto se si continua ad essere presenti nella memoria altrui. Ecco, è così che la speranza non muore mai, anche quando tutto finisce; la vita continua, per chi crede in un'altra dimensione, un altro mondo, ma anche per chi sfortunatamente fede non ha, continua in altro modo ancora qui, in questo mondo se si riesce a lasciare anche un piccolo segno.

martedì 17 maggio 2011

La mia attuale, naturale fragilità fa sì che nel cuore lascino il segno emozioni fortissime che si susseguono al ritmo del quotidiano; nell'ambito familiare vicende o condizioni d'animo dei miei cari vengono da me vissute con un'intensità tale da sentirmene quasi responsabile, riguardo quelli poi che percorrono la mia stessa difficile strada, una forte empatia mi permette di essere con loro sempre, quasi a voler non dico dimezzare, ma almeno ridurne in parte la sofferenza. Per questo motivo a volte la partecipazione è così sentita da far venir meno le parole e da non riuscire ad esprimere raccontando tutto ciò che provo, un misto di rabbia, di dolore, d'incomprensione e... di tanto altro ancora: le parole non basterebbero.
Oggi è una di quelle volte, il senso d'impotenza non mi abbandona, mi sento un po' una sopravvissuta con un carico sulle spalle troppo pesante, vorrei dar forza, coraggio a chi mi è molto vicino, conforto e rassegnazione a chi in me ha trovato un'oasi, ma non posso, lo vorrei tanto ma forse non ne sono capace o non ne ho i mezzi. E il peso intanto aumenta non riuscendo a scaricarlo almeno in parte con le parole.Tuttavia non posso concludere questa mia giornata senza cercare di "sviscerare" ciò che ho dentro, non riuscirei a riposare, a prender fiato, allora proverò col ricordare un evento di tantissimi anni fa, quando avevo poco più di dieci anni, il giorno della mia Prima Comunione. Ricevuta nella semplicità estrema, senza feste nè fronzoli inutili perchè fortemente voluta da me che l'aspettavo da troppo tempo, segnò il mio futuro immediato e non, in quanto meno di due settimane dopo una delle mie sorelline volò in cielo lasciando tutti sgomenti ed increduli. Non so ma di quella combinazione di fatti per un certo periodo mi sentii "colpevole" e ancor oggi quando mi torna in mente senso di forte responsabilità e d'impotenza si fondono insieme a turbare la mia anima. Proprio i sentimenti che mi sono stati compagni in questo giorno che lentamente sta scivolando via.

lunedì 16 maggio 2011

E ce l'ho fatta! Finalmente sono riuscita a smontare la tenda in soggiorno, a lavarla... s'intende a mano nella vasca da bagno per timore di rovinarla, e addirittura a rimontarla stamattina con l'aiuto del compagno della mia vita, che questa volta è stato "compagno" a tutto tondo, perfetto. Per i più non sarà un granchè d'impresa, per me è stata un'altra piccola conquista, un'ulteriore tappa verso la completa autonomia. "Se vuoi te lo metto per iscritto e lo sottoscrivo: non puoi lavare vetri e smontare tende, rischi di vedere il braccio destro gonfio e poi... poi non lamentarti, sai?" Il dottor Antonio mi aveva avvertito qualche mese fa ed io ogni volta che entravo in quella stanza della mia casa pensavo, aspetto un altro po'... I mesi son passati e ieri non ce l'ho fatta più... ma sì, piano piano senza stancarmi...ci riuscirò: e così è stato ed ora sono contenta di averlo fatto, soddisfatta di quest'altra piccola cosa che ho dimostrato a me stessa, è una sciocchezza, lo so... ma che prova di determinazione per me è stata non si può credere: voler tornare a camminare a piccoli passi con le mie gambe.
E tornando indietro con i ricordi penso a quanta strada ho fatto, ad esempio... dal giorno del drenaggio rotto ad oggi, come ho imparato a fare scelte, a prendere decisioni senza ripensamenti, ad assumere delle responsabilità anche forti volendo soprattutto scaricarle da altri che, pur amandomi tanto non potevano e non dovevano fare ciò che spettava solo a me. Cominciava così il mese di luglio, ed ero da poco di nuovo a casa, frastornata, confusa, un tantino arrabbiata, disorientata, con la voglia di ricominciare, di continuare e... con la bustina del drenaggio rotta che perdeva e mi ricordava quali erano i miei innumerevoli limiti per il momento, ma solo "per quel momento".

sabato 14 maggio 2011

Quando gli anni che si compiono son tondi vanno festeggiati degnamente, ma il termine "festeggiare", semplicemente è troppo banale, "celebrare", ecco questa è la parola giusta, che è un po' "ricordare", "fare  bilancio", "pensare di realizzare il futuro". Il futuro che è ancora tutto nei tuoi pensieri, vero Vale?
Oggi "la mia forte figlia" compie trent'anni, vissuti, come lei dice, facendo che?  Facendo tanto, rispondo io, tutto fin dal giorno che è nata quando rivoluzionò, sconvolse la mia vita. Preannunciò la sua venuta prossima proprio nel momento in cui a San Pietro stava accadendo qualcosa d'impensabile, un attentato ad un Papa, e questo già la dice lunga; e poi... all'inizio della "dolce attesa" un terremoto sconvolse quell'Irpinia che ora tutti ricordano per questo... e allora??! E' stata ed è così... un moto continuo di pensieri, ambizione e speranze, disilluse e mai perse; gli impensabili picchi del suo modo di essere stupiscono sempre e a volte lasciano senza parole. Ma da chi avrà preso? Ce lo chiediamo spesso, forse un po' da me, un po' da suo padre, ma in questo risultante mix  esplosivo, quale lei è, non ci ritroviamo, nessuno dei due. E' meglio, è peggio?! Non si può dire: E' LEI, unica e forte figlia che mi ha ricambiato il dono della vita quando mi sono ammalata di tumore e per mano, anche a volte scuotendomi con violenza, mi ha accompagnato per un buon tratto di strada, mi ha fatto crescere fino a quando ho preso ad andare da sola, "Hai visto, mamma?!! Sei diventata grande, non hai più bisogno che qualcuno ti accompagni... vai da sola... HAI VINTO!"  E questa vittoria, Vale, la dedico a te, che non mi hai mai delusa, che mi vuoi proteggere pur avendo bisogno di esserlo a tua volta, perchè non si finisce mai e tu lo sai... io sarò  per sempre tua madre e tu sarai per sempre "la mia piccina". BUON COMPLEANNO, PICCOLA!
L'altro ieri per me giornata di FOLLOW UP semestrale; tutto a posto, gli esami sono stati positivi e nient'altro d'aggiungere se non che la positività è ancora a mio favore, meno male, e che si spera lo sia a lungo, ad oltranza.
 E' chiaro come in questo contesto sia facile seguire quell'unica via senza dubbi nè ripensamenti, anche se credo sarebbe stata la stessa cosa in una situazione meno felice, perchè sono fermamente convinta  che ciò che è scritto non può cambiare, tanto meno per mano d'uomo. Pensandola in questo modo ho imparato ad affrontare ogni momento di questa mia storia con immensa tranquillità che viene non dalla rassegnazione ma è frutto di serena consapevolezza. E anche quel giorno quando mi accorsi che la bustina del drenaggio era rotta, passato un primo momento di sgomento non mi persi d'animo e di fronte al dilemma, come avrei fatto a trascorrere la notte così combinata, mi balenò un'idea quasi da brevetto. Era necessaria un'altra strategia visto che stavo esaurendo la scorta di magliette, i pigiami non erano un corredo e le lenzuola anche, ed intanto dovevo pur "posare le stanche membra" a letto. Presi così un sacchetto per alimenti della misura più o meno della bustina "incriminata", la "confezionai" ben bene stringendone la sommità con un elastico e la sistemai sotto la casacca del pigiama. Me ne andai a letto tranquilla, sicura che avrei superato brillantemente quell'ennesima prova, quel disagio "appiccicaticcio", e poi, pensai, "domani è un altro giorno!" Non mi addormentai subito, anche perchè ogniqualvolta dovevo girarmi, facevo un tale rumore con quel sacchetto da sentirmi confezionata per intero, come un pullover su uno scaffale del negozio posto e riposto senza interruzione. Ma la nottte passò pure, io dormii comunque e alla fine arrivò anche il giorno.

venerdì 13 maggio 2011

Da quando è iniziata questa mia avventura mi sono ritrovata ancor più riflessiva. Ho avuto sempre la tendenza a considerare ed analizzare ciò che mi succedeva, poi con la malattia, dopo il primo impatto shock ho cominciato a studiare la strategia per combattere, ho imparato ad affinarla, gestirla fino a farla divenire la mia più grande arma. Uno dei suoi aspetti è quello di terminare ogni giornata, che ora più che mai considero grande dono di Dio, facendone un resoconto, una specie di "chiusura cassa" che mi rivela quanto di buono ho ricavato impegnando le mie risorse che scopro sempre più grandi e numerose. Sono così felice di quest'altra possibilità che l'entusiasmo non mi viene mai meno, non mi fiacca la stanchezza e riesco sempre ad addormentarmi con la gioia e l'aspettativa del domani, come mi succedeva da bambina, da ragazzina alla vigilia di ogni mio compleanno quando con curiosità ed emozione  pensavo a me protagonista per un giorno. E stasera, anche a termine di una  giornata un po' strana, provo la stessa sensazione, aspetto... impegno al massimo il mio pensiero rivolto a domani... spero di mantenere la coerenza del "pensare" con il "fare"... che io non abbia a pentirmi. Perchè purtroppo è questo che noto immergendomi totalmente nella realtà esterna al mio piccolo mondo, la mancanza di coerenza scaturita dalla volontà di manipolare la verità a proprio uso e consumo come se fosse un bene solo proprio, opinabile e dal valore soggettivo. Come ho già sostenuto in altra occasione sembra così di essere all'interno di una trama pirandelliana, tanti personaggi in cerca d'autore, senza una vera identità, confusi, inquieti che vorrebbero posare, capire e poi procedere per una strada, unica senza mai dover essere costretti a tornare indietro. E per giunta non per propria volontà.

mercoledì 11 maggio 2011

Riacquistare la propria dimensione dà maggior credito alla speranza perchè così non le si chiude la porta in faccia.  Anche quando tutto è perso essa continua ad... esserci perchè è alimentata dalla certezza di poter vivere senza rimpianti, senza il rimorso di non aver fatto ciò che era da fare e di non aver accompagnato lungo il difficile percorso. Per questo continuare a... parlare di argomenti solo all'apparenza banali che riguardano la vita di tutti i giorni non è da insensibili e superficiali, tutt'altro, e con la saggezza della riflessione ben si comprende quanto sia proprio il quotidiano a lasciar intravedere la possibilità del domani.  E certamente ieri a Mario, durante il suo altalenante dormiveglia, i nostri discorsi sul giusto riutilizzo delle mozzarelle un po' passate non hanno dato fastidio ma conforto, suscitando in lui insieme con la nostalgia dei tempi in cui era più partecipe anche il desiderio di tornare a far parte di quella normalità dalla quale è stato forzatamente escluso a causa della malattia. Forse non ci riuscirà... chi può dirlo?!?... ma almeno per un po' saranno state lontane l'angoscia e la disperazione. L'ho detto stamane anche a Fernando, un paziente operato di carcinoma alla trachea, che non accetta la sua condizione di poter "parlare", farsi ascoltare, schiacciando un pulsante posto sulla gola. La tracheostomia per lui non è una condizione è un dramma da cui più volte ha pensato di fuggire anche con un gesto estremo... ma sarebbe giusto? No, non è certo giusto privarsi di tutto quello che la vita offre, di bello e anche di brutto, della possibilità di combattere e dimostrare a se stesso, agli altri e pure alla malattia che è uno solo a condurre il gioco volendo ad ogni costo e nonostante tutto poter continuare a... gioire delle proprie giornate, del piacere di aprire gli occhi al mattino e di poterli chiudere alla sera con la serenità di aver accettato ciò che è stato e sarà.

martedì 10 maggio 2011

"Che cosa è successo, Domenica?" Dal fondo del corridoio stava arrivando in lacrime. "Mario si è sentito malamente ieri e oggi si credeva di murì. Finalmente l'hanno attaccato alla flebo di ferro e poi deve fare quella di vitamine. Speriamo..." Sono entrata nella stanza e Mario era nervoso come non mai, l'avevo visto così solo quel giorno che aveva litigato con la diabetologa che "non aveva avuto pietà e rispetto di lui che stava malato" e l'aveva fatto aspettare più di tre ore prima di riceverlo. Stamattina era teso come allora, no, forse più teso ancora perchè è passato del tempo e intanto la sofferenza è aumentata e con la sua quella di sua moglie che ormai non sa trattenere le lacrime. E come darle torto? Stare vicino a chi soffre toglie energie, sfianca, non poter fare niente disorienta, e uno sfasamento spazio- temporale diventa padrone di entrambe l'esistenze, come se si fosse sempre nello stesso luogo in un tempo senza domani. "Mario, ti ho portato la torta di mele. La mangi dopo?" Mi ha guardato come se non avesse capito, sul volto una smorfia tra il dolore e il disgusto. "Grazie, Maria." E ho capito che quel volto era una maschera. Con la naturalezza dei gesti quotidiani ho messo la busta con la torta sul tavolo, proprio vicino alla finestra e quella con i giornali che porto in reparto a frenare il cuscino dove Mario appoggia la testa per dormire, perchè riesce ad appisolarsi solo sul tavolo da quando gli è spuntato anche un grosso bubbone sul lato destro del collo. Non può stare a letto, sdraiato si sente soffocare. Ogni giorno di più. Ha pianto tanto nel raccontare che ha sognato la Madonna, l'ha descritta con dovizia di particolari sempre tra le lacrime, poi sfinito è crollato in un sonno che ha riportato la quiete. "Nonna Mimma", come i nipotini chiamano Domenica, ha tirato un sospiro e finalmente si è seduta, piano piano ha ripreso il suo sorriso ed io sono rimasta lì, in quella stanza perchè lì c'era bisogno di non pensare, di rivalutare lo spazio e il tempo e di prenderne coscienza per poter continuare a... vivere senza perdere di vista la speranza.

lunedì 9 maggio 2011

Anche se questa è una festa commerciale ed è scontato che la mamma venga festeggiata se non tutti i giorni almeno qualcuno in più di una domenica di maggio, tale occasione non può passare sotto silenzio. Non me la sento, magari per non cadere nella banale retorica dirò solo qualcosa, ciò che provo, come sempre, con tutto il cuore.
Nella mia bacheca su fb stasera ho scritto a commento di un link, "Nonostante tutto sempre e comunque mamma", l'ho scritto e ci credo veramente. Se penso a quanti pesi ho portato tutti da sola per proteggere i miei figli! Avrei tenuto dentro, se fosse stato possibile, persino il segreto della malattia perchè non si sentissero persi e non avessero da soffrire lungo un percorso fitto d'incognite. Ma non potè essere così, e allora... nonostante tutto sempre e comunque mamma! Mi son rialzata e mi son detta, devo farcela da sola, per me, per loro e così è stato, ho continuato ad... essere la mamma di sempre, sotto certi aspetti anche migliore. Proprio come aveva fatto la mia di mamma, coraggiosa, instancabile eroina di una battaglia senza fine. Il sorriso fu la sua arma, il suo scudo e noi, guardando lei ci paravamo sotto lo stesso. Quando fu prossima alla fine aggiunse,"Comunque vada andrà bene" e ci proibì le lacrime quando non ci fosse stata più. Mamma, quanto mi facevano bene le tue parole, quegli occhi lucidi di serenità... sempre e comunque mamma... nessuno più di te. Ci sei rimasta dentro, nei pensieri, nel cuore... sempre e comunque tuoi figli anche se ora non ci sei più.

domenica 8 maggio 2011

Pensavo... la vita è tutto un fuori programma... la vita di ognuno. Prendiamo la mia, per esempio, fu un fuori programma sin dall'inizio, ancor prima che nascessi quando la mia mamma si accorse di aspettarmi, poi molto più tardi inaspettatamente quando non conclusi gli studi universitari, ed ancora... quando incontrai l'uomo che amo e lo sposai. Chi poteva pensarlo?!? Non era neanche il mio tipo! Ed ecco, dopo tanti anni, pur tra naturali alti e bassi non siamo stanchi di esserci vicini. Fu un fuori programma anche trovarmi tra le braccia al primo parto una femminuccia, visto che dalla forma della pancia tutti dicevano che sarebbe stato un bel maschietto. Una sorpresa dopo l'altra poichè la seconda volta, la "teoria" della luna crescente o calante fu smentita, il "sesso ripetente" non si verificò ed arrivò Francesco. Se nulla si può programmare e le sorprese, tutto sommato son queste, è facile affrontare, accettare, superare; ma al di sopra di ogni programma, aspettativa ci sono cose anche che arrivano e paralizzano la volontà, immobilizzano il corpo, pietrificano la mente. Questo è stato il tumore per me; arrivato all'improvviso, inaspettato ospite, al termine di una serie di progetti, i più realizzati, altri no. E allora? Doveva esser tutto finito? Non lo è stato, almeno per ora... un fuori programma anche questo. E quel giorno del mio rientro a casa dopo l'intervento?! L'"accidente" del foro nella bustina del drenaggio non guastò forse la gioia di una piccola vittoria? Non era cosa comune, pure era successa.
Poniamo che "a mente serena", se fosse possibile, continuassi a... ricordare tutti i fuori programma di questa mia esistenza, li troverei davvero numerosi e
soprattutto in questi ultimi tempi. Lunghi periodi, settimane, persino giornate... come quella di oggi, iniziata come tante, come le altre, ma vissuta con l'ansia e la non consapevolezza, appunto di un fuori programma.

sabato 7 maggio 2011

Era finita la degenza in ospedale e dopo il pranzo con la mia famiglia in mensa, così per festeggiare, feci rientro nel primo pomeriggio. Prima di salire su avevo incontrato una vicina di casa con cui non ero solita fermarmi, che nel chiedermi come stavo aveva indugiato un po' troppo a guardare in direzione del seno. Chissà... forse l'avevo delusa, probabilmente si sarebbe aspettata una "zona pianeggiante" e invece... Per giunta avevo raccontato ogni cosa sorridendo... anche troppo, e allora... allora non le era rimasto niente, non poteva curiosare oltre, non poteva compatirmi, meglio dire solo, "Mi fa piacere e... auguri" e andare via. Poi una volta a casa tutto mi era apparso subito diverso; l'ambiente domestico, piccolo e ridimensionato, quasi soffocante, la piccola Biù che si prodigava in feste, esageratamente agitata, il volume dei suoni e delle voci molto elevato tanto da provocarmi fastidio e farmi sentire confusa e stordita. Cominciai a sudare e il sudore freddo mi fece rabbrividire; all'altezza del drenaggio il freddo fu più intenso... umido. Passai una mano e mi accorsi che non si trattava solo di una sensazione. Diedi un'occhiata: un'orrenda macchia tendeva ad allargare i suoi confini sotto i miei occhi. Che cosa era successo? Pensai, forse entrando in auto avevo fatto un movimento sbagliato, s'era aperto il rubinetto ed era fuoriuscito del liquido, guardai ma era ben chiuso, allora? Sperai comunque che non succedesse più e intanto cambiai la maglietta. Dopo un po' ne cambiai un'alta e un'altra ancora... ma da dove veniva fuori tutto quel liquido?!? Apparentemente non si vedeva nulla, sembrava tutto a posto ma era chiaro a quel punto che doveva esserci un foro anche piccolo, una "perdita" e intanto io continuavo a... cambiare magliette. Questo inconveniente benchè stupido, banale mi fece rabbuiare; non so perchè ma sembrava sottolineasse la mia estrema fragilità.

giovedì 5 maggio 2011

Mentre stavo andando via, una barella ritornava dalla sala operatoria. Anna, "la mia amica dell'ospedale" tornava in stanza dopo aver subito l'intervento al seno, una quadrantectomia. Era ancora sotto il parziale effetto dell'anestesia, ma mi riconobbe e sorrise, trovando la forza per dirmi:"Come stai bella! Grazie." Forza Anna... Ce la fai... Ce la facciamo tutti. Sempre. Anche quando sembra impossibile, anche quando non ci sono i presupposti. Sempre. Perchè è dentro che non bisogna mai arrendersi e cedere il passo alla disperazione.
Pensando a tutti gli incontri che ho fatto, alle conoscenze, alle relazioni umane che ho instaurato, mi ritrovo a riconsiderare questa "mia" vita, unica ma non a se stante, che va parallela ad altre, anch'esse uniche ma non a se stanti... come binari di un'estesa ferrovia, tutti diretti verso una sola meta, che s'intersecano su scambi, si portano a stazioni diverse, in tempi diversi, ma non possono essere gli uni senza gli altri... esistenze che si avvalgono di altre... vite umane come binari.
E così mi spiego perchè ieri Francesca mi ha chiesto, "Posso sedermi qui?" e ha cominciato a raccontare di sè e a mettere a nudo con una persona che conosceva appena tutta la sua sofferenza. Per lo stesso motivo stamattina quando le ho dato un vassoio di biscotti all'amarena mi ha abbracciato forte forte...con un calore...come se mi conoscesse da sempre.
"Buongiorno, signora Lucia! Vi ricordate di me?" "Come no??!" Un bacio grande, sempre stamattina, a quella signora Lucia, che seduta di fronte un anno fa "mi accolse" nel primo giorno di chemio con un sorriso che è rimasto impresso nella mente e soprattutto nel cuore, divenuto per me emblema di forza e coraggio.

mercoledì 4 maggio 2011

Un altro intoppo fu sistemare il drenaggio "formato ridotto"(si fa per dire) sotto la mia bella polo a righe. La maglietta dentro o fuori la gonna? Comunque la mettessi mi pareva sbagliato; secondo me quella specie di mp3 del tutto indesiderato, posto all'altezza delle costole, si notava lo stesso e poi quel tubicino... uffa! Mi sentivo tanto bionica, un robot, una replicante di me stessa... in un'unica parola MOLTO INFASTIDITA. E a disagio. Ma mi conveniva continuare così, o era molto meglio adattarsi, anche "recitare una parte", quella della persona senza alcun problema, tanto alla fine non cambiava proprio nulla, anzi sì, poteva cambiare ma solo in peggio? Il drenaggio era necessario perchè il braccio non rischiasse di gonfiarsi, avrei dovuto ogni giorno tramite un piccolo rubinetto svuotarlo e misurare la quantità di liquido drenato; quando avesse raggiunto il minimo consentito allora sarebbe stato il momento di rimuoverlo. Beh, anche questa "incombenza" mi seccava e non poco. E se avessi sbagliato? Quanti dubbi, quanti disagi! Era un chiaro frutto della mia mente, stanca, stressata dalla prolungata angoscia per gli eventi; una fatica dopo l'altra... non ce la facevo più. Il "corpo" non ce la faceva più, ma lo "spirito", quello no, aveva sempre la stessa energia perchè SENTIVA quanto fosse bella la vita, nonostante tutto. Assaporava la gioia delle piccole cose, la sicurezza dei grandi affetti, il piacere di vedere un mondo a colori. Poteva mai mollare? Certamente no, non l'avrebbe fatto mai anche se la strada da percorrere non fosse stata tanto lunga. Così trovai ancora la forza di non pensarci... al reggiseno mezzo vuoto, alla parrucca che mi dava prurito, alle note stonate di quel mp3 che non avevo chiesto, e terminai di vestirmi e finalmente fui pronta per l'ora di pranzo. Di lì a poco sarebbero arrivati i miei figli e l'amore della mia vita, insieme saremmo scesi in mensa per "festeggiare" quest'altro nuovo inizio, chiudendo con sospirato sollievo un altro capitolo doloroso.

martedì 3 maggio 2011

Continuare ad... andare avanti e per il momento dovevo cominciare a prepararmi, a vestirmi per uscire dall'ospedale. Che impresa! Era meglio cominciare presto, di buon mattino così per l'ora di pranzo sarei stata pronta, un po' come si fa quando ci si deve sposare, una preparazione lenta e accorta. L'avevo detto, no?!? Quello per me era un grande evento e come tale andava vissuto dall'inizio alla fine. Un bel respiro profondo e... per cominciare tolsi il "mio"reggiseno ad olio o gel che dir si voglia dalla scatola; lo avevo tenuto altre volte in mano ma non mi era sembrato così pesante, chissà!... Lo indossai con un po' di fatica, agganciarlo spingendo indietro il braccio destro ancora dolente non fu semplice. A guardarmi, diciamo così, dall'esterno, nulla da eccepire, sembrava che non fosse cambiato niente... con quell'imbottitura e push up! Ma una sensazione di vuoto, di vera e propria mutilazione là, sul lato destro mi diede quasi dolore. Sollevandomi sulla punta dei piedi mi guardai allo specchio del bagno, volevo vedermi bene, forse in questo modo avrei sentito meno dolore... due lacrime scesero non volute, crudeli a farmi ancora più male. Chiusi gli occhi quasi a voler eliminare quell'immagine dalla mente, quando li riaprii erano asciutti: dovevo o no continuare a... vivere? E allora come era già accaduto per i capelli, con la parrucca in testa: quella era un'altra nuova immagine di me, sarebbe durata fino alla ricostruzione e meglio sarebbe stato accettarla e trovarla persino gradevole. Mi venne allora da sorridere perchè mi balenò un ricordo, un ricordo lontano, quando bambina intorno ai nove anni mi venne il desiderio di guardarmi allo specchio con i seni. Avevo preso due mandarini e li avevo messi sotto la maglietta; mi era piaciuto così tanto vedermi come sarei stata "da grande"! Ma poi tirando giù la maglietta uno dei "seni" era sfuggito al controllo ed era caduto miseramente lasciandomi davanti allo specchio con uno sguardo fortemente deluso. Avevo raccolto il mandarino e riprovato ancora e il sorriso era ritornato ad illuminare il mio volto di bambina. Ecco... quel giorno mi sentii un po' così, delusa ma ci sarebbe stato un domani, il sorriso e allora sì, dovevo continuare a... sorridere.

lunedì 2 maggio 2011

Mi chiedo se le prove a cui ti sottopone la vita, le prove dure intendo, arrivino per testare la forza del carattere oppure per rafforzare lo stesso; certo è che una volta fuori, ne esci come uno straccio dopo un giro di centrifuga in lavatrice, strizzato, aggrinzito, malmesso. E per ritornare all'aspetto originario ce ne vuole; questo per lo straccio... per me, quell'ultimo giorno del mese di giugno, inizialmente fu così, quasi quasi avevo paura di lasciare l'ambiente ospedaliero comunque protettivo, dove mi sentivo al sicuro. Fuori mi aspettava la vita di tutti i giorni, quella normale ed io non mi sentivo tanto sicura di farcela; avevo timore di essere ancora troppo debole, il braccio lo muovevo abbastanza ma non potevo fare sforzi, sollevare pesi e in casa, si sa, non puoi "supervisionare" ogni movimento prima di farlo, però dovevo uscire prima o poi e o prima o poi sarebbe stata la stessa cosa. Qualche giorno avanti, già presa da questi dubbi avevo telefonato su al "quinto piano, quello più vicino al cielo", ai miei angeli custodi, mi aveva risposto Dora. "Dai Mary, non temere, andrà bene. Il più l'hai fatto. Senti... ti anticipo una cosa, non dovrei ma lo faccio lo stesso. Il test a cui ti abbiamo sottoposta per verificare la risposta del tuo organismo alla prossima terapia con i TAXANI, è risultato positivo al 100%; sai cosa vuol dire? La possibilità di un altro tumore al seno, stando così le cose, è pressochè nulla. Ti dico solo questo: il dottore ha esultato a questa notizia e te la voleva riservare quando fosse arrivato per te un momento buio, di abbattimento. Credo però che a te faccia bene saperlo adesso, prima di ricominciare a vivere, per prendere coraggio." Al momento mi avevano rassicurato quelle parole, Dora ci riesce sempre con un'energia ed un trasporto quasi contagiosi, poi quella mattina erano tornati i brutti pensieri... ma dovevo farcela, farcela ancora... dovevo continuare a...

domenica 1 maggio 2011

"Domani torni a casa." "E i drenaggi?" Fu questa la mia risposta immediata. Quanto fastidio mi avevano dato quei tre benedetti drenaggi, due per la mammella,uno per l'ascella; soprattutto quest'ultimo era stato un tormento, di notte specialmente quando a letto nel rigirarmi strattonavo, schiacciavo il tubicino procurandomi un dolore tale da svegliarmi di botto. "Vedremo... forse uno te lo porti a casa." Benissimo, pensai, questo ci mancava, anche il souvenir... però, pazienza... tornavo a casa! Il peggio era alle spalle, il tumore non c'era più ed ora per me era tutto in ripresa. La sera cominciai ad organizzarmi per il rientro del giorno dopo, preparai il borsone con cura e mentre riponevo ogni cosa rivivevo istante dopo istante quell'ultima settimana, la decisiva. Ero molto emozionata. Lasciai da parte gli indumenti che avrei indossato, prima di tutti il mio reggiseno ad olio o gel che dir si voglia, poi una sistematina alle ciocche della parrucca, e infine un profondo respiro... coraggio! Tanto me ne serviva per ricominciare a vivere, per poter archiviare quella brutta avventura. Ma lo volevo poi veramente, volevo dimenticare quei brutti mesi? Forse avrei voluto ricordarli in un modo diverso, senza paure e con la consapevolezza di una nuova forza. Presi sonno molto tardi come alla vigilia di un esame, di una partenza o dell'andare in sposa, perchè per me tornare a casa il giorno dopo sarebbe stato un vero e proprio evento.
TORNO A CASA! Aprii gli occhi all'ultimo giorno del mese di giugno e diedi il buongiorno ad una nuova vita, ad un'altra possibilità offertami dal buon Dio, non l'avrei certo sprecata. Feci colazione, poi mi chiamarono in medicheria per togliermi due dei tre drenaggi (quindi tornavo a casa col souvenir)e il resto della fasciatura. Il terzo drenaggio mi fu lasciato in formato ridotto in modo da poterlo mimetizzare sotto gli abiti e la ferita ormai in via di cicatrizzazione vide la luce. Fui tentata di darle una rapida occhiata, ma mi trattenni; a casa, a casa sarebbe stato meglio.